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Quando la lingua s'imparava in chiesa

Giuliano Landolfi Pixabay
Pubblicato il 08-09-2020

Chi viveva nei piccoli centri frequentava fin dall'infanzia la chiesa

Quale ruolo ha rivestito l'istituzione ecclesiastica nella diffusione della lingua italiana fra la popolazione dialettofona del passato?

La questione finora non è stata affrontata in modo approfondito. Lasciando agli specialisti il compito di un' analisi specifica, ecco alcune riflessioni. Il fatto che fino al Vaticano II la liturgia fosse celebrata in latino e che la Chiesa fosse di ostacolo alla lettura della Bibbia in italiano ha senza dubbio limitato la diffusione della lingua nazionale tra la popolazione, ma questo non implica che essa non abbia costituito in moltissimi casi l' unica occasione per le popolazioni analfabete prima e scolarizzate a livello elementare poi di apprendere l' idioma nazionale.

Gli studiosi ritengono ancora che fino agli anni Sessanta del secolo scorso il 66% della popolazione italiana abbia usato il dialetto nelle relazioni quotidiane, servendosi dell' idioma di Dante soltanto in casi particolari, come durante il servizio militare e in occasione di atti pubblici. In seguito l' innalzamento della scuola dell' obbligo (espressione veramente poco felice!), l' emigrazione interna, i contatti tra le diverse parti della Penisola, la diffusione della radio e della televisione, la crescita del benessere contribuirono in modo determinante a mutare la situazione.

Questa sommaria analisi, tuttavia, non tiene in considerazione il ruolo assunto dalla Chiesa nel processo di apprendimento della lingua nazionale. La popolazione, che viveva nei piccoli centri, frequentava fin dall' infanzia la chiesa e, pur essendo i riti officiati in latino, non mancavano i momenti per apprendere l' italiano. Per i piccoli era l' unica occasione di diventare bilingui, sia pure nei primi anni in modo prevalentemente passivo. Le prediche dei parroci, i canti, le preghiere aiutavano la popolazione a un diverso tipo di espressione, i cui termini entravano nella mente.

Quando poi si accedeva alla scuola elementare, non ci si trovava di fronte a testi scritti in lingua "straniera", non si sentiva impartire l' insegnamento del leggere, dello scrivere e del far di conto in uno strumento espressivo completamente estraneo. La stessa frequenza al catechismo con le formule di san Pio X che venivano apprese a memoria supportava l' uso di uno strumento di espressione estraneo alla quotidianità.

Quando poi si lasciava la scuola per il lavoro, se eccettuiamo casi particolari, la frequenza alle funzioni rappresentava pressoché l' unico modo per continuare a rapportarsi col linguaggio nazionale. I comizi, le audizioni in radio avvenivano in momenti sporadici. Raramente si leggevano giornali e il cinema nei piccoli centri non era ancora presente. La frequenza alle cerimonie religiose, pertanto, permise al nostro popolo di formarsi una coscienza linguistica e di sentirsi parte di una società assai più vasta, con cui condivideva lo strumento espressivo. Per tale ragione oggi andrebbe approfondito questo aspetto, nel periodo cioè in cui sopravvivono ancora testimonianze di quel mondo dialettofono, così lontano dalla società attuale aperta a una dimensione globale.

Si tratta di colmare una lacuna presente nella storia della lingua italiana, che non riguarda lo studio di vocaboli mutuati dalla liturgia o dai testi sacri, ma di quella capillare opera di diffusione operata dal mondo ecclesiastico per troppi versi ancora sconosciuta. (Avvenire)

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