NATALE, IL PRESEPE SIA IN TUTTE LE CASE, IN TUTTE LE SCUOLE, IN TUTTE LE STRADE
Una frase provocatoria scritta sui social qualche giorno fa ha scatenato una bufera prenatalizia di cui avremmo fatto volentieri a meno: «Quest’anno non fare il Presepio credo sia il più evangelico dei segni. Non farlo per rispetto del Vangelo e dei suoi valori, non farlo per rispetto dei poveri...».
Questa affermazione, affidata a Facebook da don Luca Favarin, ha scatenato in poche ore un polverone da migliaia di commenti online, per lo più di inferociti leoni da tastiera che se la prendono con il prete di periferia che nel corso della sua vita pastorale ha accolto, integrato e trovato un lavoro a centinaia di migranti.
Eppure, in questo caso, la nettezza di una frase senza sfumature non mi trova d’accordo. Cerchiamo però di contestualizzarla meglio: come afferma don Luca in un’intervista a Radio Padova, il presepe può talvolta essere il simbolo dell’ipocrisia di qualcuno che manifesta accoglienza nelle proprie case, ma poi grida ai migranti, ai diversi, ai poveri di tornarsene a casa loro.
Ma forse don Luca, questa volta, ha “confuso” la falsità di alcuni con l’autentica simbologia a cui credono i molti che fanno il Presepe perché vogliono dare il benvenuto alla speranza, alla bontà e alla diversità.
Il Presepe siamo chiamati a farlo nelle case, nelle scuole, negli uffici e nelle strade perché ci pone delle domande. Il Natale, quel Bambinello venuto al mondo nella mangiatoia, sia simbolo di rinascita del Presepe e testimonianza della nascita di Gesù nel cuore di ognuno di noi.
Oggi siamo seduti, alla vigilia di Natale, /noi, gente misera, /in una gelida stanzetta, /il vento corre fuori, il vento entra. /Vieni, buon Signore Gesù, da noi, /volgi lo sguardo:/perché tu ci sei davvero necessario. (B. Brecht).
Francesco d’Assisi, inventore del Presepe, ha voluto che quest’ultimo facesse nascere dentro di noi il battito di un cuore ospitale e attento agli altri.
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