Natale ad Assisi, Padre Fortunato: Ritroviamo emozione e tenerezza
«Il presepe ci dice che davanti a Gesù non ci sono differenze, c’è solo la dignità della persona»
Intervista di Sofia Coletti de La Nazione
«Il Natale non è una favola per bambini e San Francesco l’aveva compreso così bene che ha ‘drammatizzato’ il presepe, ha pianto perché vedeva e notava che l’Amore non era amato». Riprendendo le parole dei Pontefici, «soprattutto di questi ultimi anni», Padre Enzo Fortunato avvia la sua riflessione sul valore del Natale e del presepe. Il direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi e della rivista San Francesco spiega il significato più profondo del Natale, la valenza spirituale e identitaria del presepe.
Padre Enzo, qual è il valore più autentico del Natale?
«A livello rituale, il Natale è Dio che parla all’uomo, un Dio che si fa prossimo, è il nobilitare tutto ciò che è umano. Il significato religioso io lo traggo da uno dei testi più belli per capire la dimensione del Natale, le prime parole del ‘Dei verbum’ del Concilio Vaticano II: ‘Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso... nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con sé’. E’ un Dio che si rivela per stare con l’uomo».
A livello francescano?
«C’è San Francesco che mette in scena per la prima volta il presepe perché l’uomo, in qualsiasi condizione si trovi, possa vedere e possa commuoversi. E poi c’è la dimensione esistenziale».
Quali significati ha il presepe in questa dimensione?
«Il presepe ci dice che ogni notte buia dell’uomo, la solitudine o la disperazione, la crisi o le difficoltà, la povertà o l’indigenza può essere illuminata e abitata dalla luce della pace. E ancora, la stella cometa che ha guidato i Re Magi può rappresentare per ogni uomo smarrito una bussola, una stella polare per riprendere il cammino».
Che altro simboleggia la stella cometa?
«Ci dice anche che è possibile la convivenza pacifica tra culture e classi sociali diverse, penso ai poveri accanto al presepe ma anche ai ricchi come i Re Magi, penso all’israeliano e al palestinese (è lì che Gesù si incarna) ma anche agli uomini che vengono da mondi diversi. In fondo i Re Magi rappresentano l’interculturalità. Il presepe ci dice che davanti a Gesù non esiste un uomo più ricco o più povero, più grande o più piccolo, esiste solo la dignità della persona».
Invece per i bambini quanto è importante il presepe?
«Per loro fare il presepe ha anche una caratura educativa e pedagogica molto forte. Oltre ai tanti messaggi del presepe qui entrano in gioco anche la creatività e la condivisione, dell’unire idee diverse per realizzare qualcosa insieme. Nelle scuole come nelle famiglie».
Qual è la sfida più grande?
«E’ il recupero, in un mondo assuefatto alla tecnologia, delle emozioni e della tenerezza».
Una sua riflessione personale?
«Mi sono chiesto perché il più grande appuntamento della storia tra Dio e l’uomo, che segna profondamente la nostra civiltà, avvenga di notte».
E quale risposta si è dato?
«Che il figlio della notte ha la capacità di comprendere ogni oscurità e disperazione della vita e dare senso e significato alle nostre notti».
Cosa pensa della nostra iniziativa sui presepi umbri?
«La condivo molto e invito ad accoglierla».
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