Muroni, Legambiente: il futuro è rinnovabile
Per tutta l’estate abbiamo visto immagini di roghi, incendi in grado di distruggere migliaia di ettari di territorio boschivo. Con l’approssimarsi dell’inverno e la “certezza stagionale” del maltempo, rischiamo di pagare le conseguenze di tanta distruzione ad opera di piromani e criminalità organizzata. Ad aumentare il pericolo anche il cemento che è stato sostituito al verde, impedendo alla terra di assorbire l’acqua. Il rischio idrogeologico è dietro l’angolo. Ne parliamo con Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente eletta nel 2015, che ci presenta anche il futuro delle energie rinnovabili, tra la politica di Trump e il piano trentennale cinese. L’Italia procede a rilento, facendo anche passi a ritroso: 15 miliardi all’anno investiti in fonti fossili.
Con l’arrivo dell’inverno, ci lasciamo alle spalle le immagini dei roghi estivi, ma attendiamo le conseguenze. Quanto si è perso? Avete una stima?
Si parla di centinaia di migliaia di ettari andati a fuoco in tutto il Paese, di questi il 30% nei parchi e nelle aree protette: si tratta di zone particolarmente preziose dal punto di vista naturalistico. Lo stato attuale a seguito degli incendi estivi sta creando una situazione in cui il territorio sarà ancora di più a rischio: un territorio percorso dal fuoco è un territorio esposto ad un pericolo idrogeologico. Se dovesse essere un inverno particolarmente piovoso credo che ci troveremo in difficoltà in molte parti d’Italia. Le zone collinari, le montagne disboscate dagli incendi sono zone più fragili in cui frane, a seguito di alluvioni, possono avvenire molto più facilmente. Ci sono regioni che dovranno, sicuramente, essere più attenzionate di altre in modo da non farsi trovare impreparati.
Scorrendo il sito di Legambiente, un argomento che ricorre con frequenza è il “consumo di suolo”. Ci spiega di cosa si tratta?
Un suolo consumato, ovvero ricoperto da costruzioni, strade, cementificazioni da varia natura è un suolo sottratto alla collettività, spesso sono zone utili per la produzione agricola, e crea, anche, una fragilità molto forte e molto più importante sul territorio, perché un suolo cementificato perde la capacità di assorbire l’acqua in eccesso, aggravando ancora di più il rischio idrogeologico. Si continua a consumare suolo per costruire case che rimangono vuote e si perde l’occasione per dare il via a un processo di riqualificazione degli edifici già esistenti, che potrebbe rispondere ad una giusta esigenza di economia e di creazione di posti di lavoro. Consumare suolo non porta crescita economica ma sottrae un bene collettivo, comune, al futuro dei nostri figli. Legambiente recentemente ha aderito ad una ICE, un’iniziativa dei cittadini europei. Abbiamo raccolto centinaia di migliaia di firme in tutta Europa, con la collaborazione di altre associazioni ambientaliste europee, per chiedere all’Unione Europea di fare una direttiva che costringa gli stati membri ad occuparsi di questo tema. In Italia abbiamo raccolto oltre 83 mila firme, che per un tema così complicato sono moltissime, e bisogna anche ricordare che da oltre 500 giorni giace in Senato una legge che si occupa proprio di questo tema e che, probabilmente, non vedrà la luce neanche in questa legislatura, mentre è fondamentale che il Paese decida di difendere il suolo come bene comune.
Ogni anno Legambiente redige il rapporto sulle ecomafie. Questi due fenomeni di cui abbiamo parlato fino ad ora potrebbero essere legati alla realtà delle ecomafie? A che punto siamo con questa piaga?
C’è sicuramente un collegamento, anche se non è così immediato. Gli incendi che abbiamo conosciuto questa estate sono per la maggior parte dolosi, non direttamente per mano della criminalità organizzata ma piuttosto di piromani che per vari interessi appiccano il fuoco. Ovviamente ci sono state delle situazioni in cui la criminalità ha dato un chiaro messaggio nell’appiccare incendi: il fuoco è uno strumento importante per affermare il controllo sul territorio. Tante parti vanno a fuoco per mano delle mafie che vedono nella presenza del verde e dei parchi un ostacolo ai propri interessi economici. Nel campo delle ecomafie questo Paese ha ancora tantissimo da fare, però l’approvazione – due anni fa – della legge in materia di ecoreati ha aiutato le forze dell’ordine, la magistratura a combattere questo fenomeno con, finalmente, armi adeguate. Sarà un percorso lungo da fare ma siamo in movimento.
Usciamo dai confini italiani. La situazione internazionale come si presenta, anche alla luce della politica di Trump? A che punto siamo con la questione dei combustibili fossili? I grandi Paesi lo vogliono veramente?
C’è un andamento mondiale che vede nella Cina, ad esempio, un soggetto forte che tende alle energie rinnovabili con un piano di sviluppo trentennale. Non basterà, certamente, la presidenza di Trump a fermare il percorso verso la sostenibilità ambientale e le energie rinnovabili. Nel nostro Paese stiamo invece regredendo da un certo punto di vista: per anni sono state incentivate le energie rinnovabili ma ad un certo punto si è iniziato ad ostacolare questa corsa verso le rinnovabili. Considerate che nel nostro Paese le fonti fossili sono finanziate per 15 miliardi all’anno: si continua a finanziare un sistema di produzione dell’energia che è fallimentare riguardo al passato e non punta alle rinnovabili. L’ultima strategia energetica nazionale parla molto di gas e poco di rinnovabili, mentre noi siamo fermamente convinti, come confermano i dati e l’azione dei grandi player a livello internazionale, che il futuro è nelle rinnovabili e nella sostenibilità della produzione energetica.
Perché in Italia siamo ancora così indietro, o come sostiene lei, stiamo regredendo?
Credo che ci sia un problema serio di consapevolezza culturale e di qualità della classe dirigente. Non parlo solo della politica ma anche della classe industriale. Clamoroso è il caso della Fiat auto che continua a non credere nell’elettrico quando, invece, il mondo sta andando in quella direzione.
La nostra classe imprenditoriale, politica e, più in generale, dirigente non sono all’altezza della sfida posta dalla competizione internazionale. C’è un deficit culturale e di capacità di visione, di capire quali sono i trend internazionali e verso dove l’Italia deve andare, che comunque ha una serie di concrete capacità e brevetti in grado di giocare un ruolo importante sul piano della qualità a livello internazionale.
Ultima domanda. Tra i principali messaggi lanciati in tema ambientale c’è quello di Papa Francesco con l’enciclica Laudato si’, che ha come modello di riferimento il Cantico delle Creature di san Francesco. Papa Francesco e san Francesco sono un binomio da cui prendere esempio? E come?
Papa Francesco ha fatto un gesto straordinario: ha reso la qualità ambientale e la sostenibilità non un tema di settore, ma lo ha messo al centro dell’agenda politica internazionale. L’enciclica non parla solo ai cattolici ma è globale, parla al mondo e intercetta le sensibilità. Il testo tratta temi altissimi con elementi molto concreti e da questo punto di vista è davvero una risorsa preziosa. San Francesco è naturalmente un esempio insuperabile non solo per l’approccio al consumo, al possedere, all’avere ma possiamo dire che sia il precursore della cultura dello sharing, della condivisione. La figura di san Francesco incarna anche il tema dell’amore per gli animali, del benessere animale e della consapevolezza che l’uomo è solo una delle specie esistenti sul nostro pianeta. Questa cultura che viene da lontano e che diventa attuale e moderna con l’enciclica di papa Francesco, è uno dei momenti più importanti nella storia della difesa dell’ambiente a livello globale ed è un punto di non ritorno. Papa Francesco ha saputo imporre ai potenti del pianeta un tema talmente attuale e terribilmente ignorato, grazie a questo è stato sottoscritto l’accordo di Parigi della COP21. Difronte a una tale potenza comunicativa e consapevolezza i grandi della terra non si sono potuti sottrarre al proprio dovere.
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