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Muore una ragazza, rivolta nel centro di accoglienza di Cona

Redazione online Facebook - Officiel Italie immigration
Pubblicato il 30-11--0001

La rivolta è scoppiata lunedì pomeriggio e ha trasformato in una polveriera il campo profughi di Cona, l’ex base missilistica del Veneziano che tra molte polemiche ospita mille richiedenti asilo. All’interno, prigionieri fino a notte fonda, 25 operatori che sono stati lasciati uscire solo intorno alle 1.40 della notte. Si tratta di ragazzi (ma ci sono anche due medici e un’infermiera), in buona parte italiani, che durante il giorno si occupano della struttura distribuendo i pasti e organizzando le attività dei richiedenti asilo. Quando è iniziata la protesta si sono dovuti barricare nei container e negli uffici che costituiscono l’area amministrativa di quella che in pochi mesi è diventata una piccola città dell’accoglienza, gestita da Ecofficina, cooperativa che a furia di vincere appalti per la gestione dei profughi in Veneto è arrivata a fatturare oltre 10 milioni di euro l’anno.



Il ritrovamento del corpo

Intorno alle 17, i migranti si sono presi l’intera base, hanno spento le luci e dato fuoco a dei bancali. Roghi organizzati per protestare contro le condizioni in cui si trovano a vivere all’interno della struttura. A scatenare la rabbia, la morte di una di loro: un’ivoriana di 25 anni, Sandrine Bakayoko, arrivata a Cona quattro mesi fa con il fidanzato, dopo un viaggio in gommone che dalla Libia l’ha portata sulle coste della Sicilia. Da lì il trasferimento nel Veneziano. All’alba di ieri si è sentita male, in bagno, ma il compagno l’ha trovata priva di sensi soltanto intorno a mezzogiorno. «Ho sfondato la porta e l’ho trovata lì, distesa a terra», racconta. «Stava male da giorni, tossiva, aveva la febbre. Questo non è un posto dove ospitare delle donne». I profughi dicono che i soccorsi sono arrivati troppo tardi. Ricostruzione smentita dagli operatori del 118, anche se la procura di Venezia ha aperto un fascicolo e oggi ci sarà l’autopsia per chiarire le cause del decesso.



I roghi e la protesta

La morte della ragazza ha innescato la reazione rabbiosa degli altri ospiti della struttura. I migranti hanno occupato l’ex base militare, accendendo i falò. Quando alcuni operatori hanno cercato di mediare sono stati respinti e la tensione è salita ulteriormente dopo che alcuni profughi hanno trovato il modo di accedere ai locali in cui si trova la centralina elettrica. Luci spente, e solo il bagliore dei fuochi a illuminare il centro di accoglienza.



La testimonianza

«Per un po’ ha funzionato il sistema elettrico di emergenza — raccontava ieri sera uno degli operatori — ma da qualche ora siamo rimasti al freddo e al buio. Se tentassimo di riavviare l’impianto di illuminazione esterno rischieremmo di essere aggrediti. Ogni tanto qualcuno prende a pugni la porta, siamo terrorizzati. Urlano e alcuni di loro hanno in mano delle spranghe. Ci hanno detto: “Stanotte dormirete qui”. Non abbiamo scelta...». Le forze dell’ordine hanno avviato una mediazione. «Per ora è più sicuro che restino lì dentro», ha spiegato nella notte uno dei carabinieri intervenuti. «La protesta — ha aggiunto — sta scemando, appena ci saranno le condizioni per farli uscire senza pericoli, li accompagneremo fuori». A tarda notte poi la liberazione: gli operatori sono stati fatti uscire con delle auto che sono state colpite dai migranti. «Martedì non ci presenteremo a lavoro» hanno detto alcuni di loro. (Andrea Priante e Davide Tamiello - Corriere)

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