Milano. Tre bimbe, un tugurio e un mutuo. La casa popolare? Non possono averla
«Mio marito Senaka Malawara è arrivato dallo Sri Lanka nel 1998 non di nascosto con i barconi ma in aereo, suo padre era già qui da anni e gli ha pagato il biglietto. Ha trovato lavoro in una fabbrica di manichini e, grazie allo stipendio, nel 2008 ha potuto chiedere un mutuo per comprare casa. Io l’ho raggiunto a Limbiate con il ricongiungimento familiare». Un mutuo di 750 euro al mese su uno stipendio di 1.100, con un traguardo di 120mila euro totali, ha dell’impossibile, ma Senaka vuole fare le cose in regola e dare a Pramila una vera famiglia. Nel 2010 nasce Isuli e la vita continua senza agi ma anche senza scossoni, almeno finché la ditta di manichini chiude e Senaka, che fa lavori saltuari e non vuole pesare sulle minime entrate che sua moglie si guadagna facendo pulizie, frequenta la mensa delle suore francescane di via Ponzio, a Milano. È lì che spesso i volontari lo vedono cadere a terra privo di conoscenza: «L’ho indirizzato all’Istituto neurologico Besta – racconta Ornella Messa, volontaria al centro d’ascolto delle suore –. La diagnosi fu grave: epilessia farmacoresistente, con crisi sempre più frequenti e violente». A Senaka viene così riconosciuto l’80% di invalidità con una pensione di 290 euro al mese, troppo pochi per mantenere la famiglia, pagare il mutuo e le bollette, e non è l’unico in quello stabile a non farcela con le spese, tant’è che l’amministratore è costretto a tagliare il riscaldamento. «Sei inverni al freddo sono terribili», riprende Pramila, «Isuli era sempre malata, abbiamo provato con le stufette elettriche ma le bollette erano altissime. Nel frattempo sono rimasta incinta e ho scoperto di aspettare due gemelline, per mesi non ho potuto più fare pulizie... per fortuna la Caritas e tanti bravi italiani ci hanno aiutati con la spesa». Non così la banca, che addirittura si è trattenuta la pensione di invalidità per le rate del mutuo: «Era un atto illegale e come associazione San Bernardino della Caritas abbiamo scritto alla banca di tenersi la casa ma di non prendersi i soldi di quel pover’uomo – spiega Ornella Messa, carte alla mano –, non ci hanno nemmeno risposto». Senaka era prontissimo a lasciare la casa, lo ha pure scritto a sua volta, "non potremo mai pagare il mutuo, rinuncio all’immobile", ma di nuovo nessuna risposta.
Nel frattempo nel 2014 il dottor Giuseppe Didato del Besta lo ha operato al cervello e da allora Senaka non ha più crisi e fa lavoretti saltuari, ma ha bisogno di cure e vive sotto stretto controllo medico. E Pramina? «Due persone meravigliose mi hanno messa in regola a Milano, un ingegnere di 96 anni e sua moglie per i quali faccio tre ore al giorno di pulizie – si illumina –. Grazie a loro ho un permesso di soggiorno che rinnovo ogni anno e il diritto a mettermi in graduatoria per la casa popolare a Milano, perché il Comune di Limbiate non ne possiede». E qui torniamo al problema kafkiano dell’inizio. Ora l’intero palazzo è stato messo all’asta per morosità, ma l’appartamento di Senaka è andato due volte invenduto seppure a soli 21mila euro, per assurdo gli resta incollato come una maledizione. «Per fortuna comunque hanno già lo "sfratto esecutivo" da luglio 2018 – rincara il paradosso la volontaria –, ora speriamo che li sfrattino davvero». In lista a Milano sono all’800° posto, ma con tre minori in condizione tanto precaria la norma prevede una deroga alla graduatoria, se non che – si legge nella lettera del Comune milanese – la cosa avverrà quando "saranno disponibili alloggi idonei per il Suo nucleo familiare", appunto dai 75 metri quadri in su. Non basta: Pramina, essendo in Italia da 12 anni, ha ormai diritto al permesso di soggiorno di lunga durata, ma qui c’è l’altro cane che si mangia la coda perché per averlo ci vuole il famoso "alloggio adeguato", oltre a un reddito più alto del suo, «quello che avrei se abitassi già a Milano, dove lavorerei il doppio delle tre ore al giorno attuali». Così va avanti con il permesso annuale (ogni rinnovo le costa 450 euro) ed estenuanti viaggi quotidiani tra Limbiate e Milano, dividendosi tra lavoro e figlie...
Anche se a guardare il sorriso con cui ne parla sembra una persona felice. «Sono grata a tante persone», spiega lei, «quando le piccole hanno la febbre io posso lavorare perché la vicina, una signora italiana, me le tiene anche a mangiare. E poi c’è l’inquilina dell’ultimo piano, pure lei italiana, che ogni martedì regala alle bambine una cesta di frutta. E a Natale una famiglia di Milano addirittura le ha ospitate in una splendida casa per due settimane di vacanza da scuola, per loro è stato un sogno. Ci vogliono tutti bene». Anche gli assistenti sociali di Limbiate, che per i due mesi più freddi avevano trovato per madre e figlie una casa di accoglienza a Garbagnate, ma Pramina ha declinato perché «per Isuli la sua scuola era troppo importante», così il Comune si è accollato le bollette della stufetta elettrica. «La accendiamo solo dopo le quattro, quando rientrano dalla materna», assicura la madre. Che insiste più volte: «Non vogliamo niente gratis, gli affitti popolari sono moderati e noi pagheremo regolarmente».
Sono di fede buddista, ma il tempio è lontano e lei tutti i giorni passa in chiesa, «prego Dio, ma prego davanti alla statua della Madonna, perché anche lei ha in braccio un bambino», si commuove. Prega per gratitudine, per quelli che chiama «i miei benefattori», e per la malattia di suo marito, per il futuro delle sue figlie... Isuli sa già cosa farà da grande, «il medico dei bambini», Minulji mira più in alto e grida felice, «la principessa». Perché alla fine i bambini, poveri o ricchi che siano, sognano tutti alla stessa maniera.
Lucia Bellaspiga, Avvenire
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