Meditazione e fede, rischio o opportunità?
«M' inoltrai non seppi dove / là rimasi non sapendo, / ogni scienza trascendendo »: è l' avvio di uno dei testi più noti di Giovanni della Croce, il mistico spagnolo considerato uno dei più rilevanti, se non la massima espressione, della teologia apofatica. Quella teologia che dice e non dice, che lascia intuire ciò che non può essere reso fino in fondo dal linguaggio teologico. La poesia citata è scritta in metro di ballata e ispirata a un rapimento mistico fatto risalire agli anni settanta del '500. Nelle sue opere - ad esempio nel Cantico spirituale, una delle più note - egli non ha difficoltà a dar voce al corpo, tanto che qualche studioso ha parlato di scritti erotici. In realtà egli celebra l' unione dell' anima con Dio attraverso il linguaggio dell' oscurità e - ha commentato Divo Barsotti - della poesia, capace più della speculazione razionale di esprimere un' esperienza religiosa.
Come hanno ben rimarcato vari autori, poeti e critici letterari, ma anche studiosi del cristianesimo, da Marco Vannini a Laura Bosio, da Marco Guzzi a Rosita Copioli, da Enzo Bianchi a Pietro Citati, il patrimonio della mistica (e quello della patristica) è stato per decenni pressoché ignorato nella predicazione della Chiesa, che ha privilegiato l' impegno sociale e politico. Anche per questo motivo molti fedeli si sono fatti attrarre dalle forme di spiritualità di tipo orientale, ritenute più capaci di rispondere alle emozioni delle persone, alle domande di ben- essere, al bisogno di meditazione, per dare sollievo al corpo e allo spirito. Fra queste tendenze orientaleggianti, la moda più recente che impazza in America ma che si è affacciata anche in Europa è la cosiddetta mindfulness, diffusasi non solo negli ospedali e nelle aziende, ma persino nei conventi.
Di cosa si tratta? Di per sé, una prima definizione la indica come uno stato mentale che racchiude piena coscienza di sé, prontezza e attenzione. Nella tradizione buddhista significa essere perfettamente consapevoli di ciò che si fa in ogni momento. Ma come fenomeno più recente si tratta di una tecnica di meditazione che si è sviluppata in protocolli precisi da applicare nel mondo della scuola e della sanità, con lezioni settimanali e giornate di ritiro. Corsi di mindfulnesssono rivolti alle persone malate di tumore o in preda all' alcolismo, così come ai manager aziendali colpiti da stress. Il benessere psicofisico del praticante viene assicurato. Ma è tutto vero? Per rispondere a queste domande, ma anche per verificare se si tratta solo di tecniche o se invece non vi sia un sostrato filosofico-religioso, è utile leggere un breve ma ficcante saggio di Iacopo Iadarola, Mindfulness. Un' opportunità per i cristiani?, appena pubblicato dalle edizioni Ares (pagine 160, euro 14,80).
L' autore è carmelitano scalzo; la sua è stata una conversione adulta, dopo aver compiuto numerosi viaggi in Oriente. Subito nella prefazione egli dichiara: "Dopo che la New Age ha sdoganato l' industria dello yoga e il business della Meditazione trascendentale, è la mindfulness l' ennesima moda che si offre sui banchi del supermercato spirituale d' Occidente? Oppure in essa brilla qualcosa di buono che può arricchire la nostra esperienza di preghiera e di vita cristiana?". Iadarola esamina gli scritti dei propugnatori della mindfulness, come il biologo americano Jon Kabat-Zinn, per scoprire come il fenomeno, inizialmente presentato come una pratica religiosamente neutrale, negli ultimi anni abbia mostrato riferimenti sempre più evidenti al buddhismo. Basta prendere in mano la sua opera più famosa, Mindfulness per principianti. Pur essendo cosciente della storia del cristianesimo, che sempre ha saputo valorizzare i cosiddetti semi del Verbo, vale a dire gli elementi di una cultura o di una religione che si possono rivelare un tesoro anche per i credenti in Cristo, a parere di Iadarola l' opportunità dell' integrazione della mindfulness nella spiritualità cristiana non è aual spicabile.
Egli si rifà al documento del 1989 redatto dall' allora cardinale Ratzinger, quand' era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, dedicato ad alcuni aspetti della meditazione cristiana e rivolto in particolare al valore che possono avere per i cristiani forme non cristiane di meditazione, soprattutto provenienti dall' Oriente. Nel testo, cui contribuì in maniera decisiva il teologo Hans Urs von Balthasar, si può così leggere: "C' è chi si rivolge oggi a tali metodi per motivi terapeutici: l' irrequietezza spirituale di una vita sottoposta ritmo assillante della società tecnologicamente avanzata spinge anche un certo numero di cristiani a cercare in essi la via della calma interiore e dell' equilibrio psichico". Parole valide ancor oggi per quanto riguarda la mindfulness e le nuove tecniche di meditazione introdotte dall'Oriente in generale.
A parere di von Balthasar, due rischi sono connessi: la pseudognosi, che tende a una conoscenza superiore che rende superflua la fede, e il messalianismo, che identifica lo Spirito Santo con l' esperienza psicologica della presenza di qualcosa. Si finisce insomma per minimizzare la dimensione dell' incarnazione e del dialogo personale fra uomo e Dio per affermare uno spiritualismo intimista che cancella ogni forma di preghiera. Rileggendo i libri di un altro divulgatore della mindfulness, Thich Nhat Hanh, che mira a una sua inculturazione cristiana, Iadarola li definisce non convincenti: lo Spirito Santo è ridotto a un' energia e la resurrezione di Gesù a un momento di rinnovamento.
Anche padre Antonio Gentili, uno dei più attenti studiosi della spiritualità orientale e tra i massimi e sinceri fautori del dialogo interreligioso, nella postfazione invita alla prudenza e al discernimento: si tratta di cogliere il grande contributo che le tradizioni asiatiche offrono all' esperienza orante cristiana ma anche di essere coscienti dei rischi che si aprono. Che le tecniche orientali risultino efficaci sul piano psicofisico è acclarato, come lo è l' agopuntura, ma possono servire davvero alla preghiera cristiana? (Avvenire)
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