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Massolo: l'occasione per un piano di pace

Giampiero Massolo Ansa - Mohammed Badra
Pubblicato il 06-08-2020

La terribile esplosione nel porto di Beirut

La terribile esplosione nel porto di Beirut. La nostra attenzione, rivolta altrove, che torna in Medio Oriente. Ancora poco chiare le cause: se davvero un incendio ha fatto brillare tonnellate di nitrato di ammonio o anche un deposito di armi; se sia stato un attacco deliberato, di chi e perché. Paradossalmente, per com' è oggi la situazione mediorientale, dare risposta a queste domande - pur nella sanguinosa drammaticità dell'evento - non conta più come prima sul piano strategico.

Certo, il Libano viene colpito duramente, la sua capitale devastata, in un momento di gravissima crisi istituzionale, economico-finanziaria e di forte malcontento popolare. Il Paese rischia un approfondimento della pluriennale partizione di influenze tra Hezbollah filo-iraniani, forze sunnite e filo saudite. Uno stallo delicato. Sul piano più generale, tuttavia, almeno in questa fase, nessuno sembra avere interesse a esasperare la tensione. Israele attraversa a sua volta un periodo di difficoltà, alle prese con la seconda ondata di covid, con una disoccupazione al 20% e il pil in calo. Hezbollah tende a ripiegare, afflitta pesantemente dal progressivo venir meno dei finanziamenti di un Iran fiaccato dalle sanzioni.

Non pare il momento migliore per un confronto generalizzato. Israele preferisce contrastare le attività sciite in modo mirato, colpendo depositi di armi e individui in Libano e in Siria. Nasrallah, leader di Hezbollah, non è andato finora oltre azioni e ritorsioni puntuali (pur non rinunciando del tutto all'ipotesi di un contrasto più sistematico a Israele che ricompatterebbe la su a organizzazione).

Al di là delle ragioni economiche e finanziarie, tuttavia, è anche il mutamento delle dinamiche complessive nella Regione mediorientale a far ritenere meno probabili nuove conseguenze generalizzate. I bassi prezzi del petrolio e il regime sanzionatorio, intanto, hanno attenuato la capacità iraniana di consolidare con i propri proxies la sua influenza nei Paesi del "crescente sciita". Il venir meno del pensiero strategico e dell'efficacia operativa del Generale Soleimani, rimasto senza veri successori, indebolisce il disegno di una egemonia iraniana da Baghdad, allo Yemen, fino alle coste mediterranee del Libano. E allenta il controllo sui proxies stessi che rischiano di trasformarsi in schegge impazzite.

Il formarsi, poi, di una inedita coalizione in funzione anti iraniana tra Israele, Arabia Saudita e alcuni Paesi del Golfo, in sintonia con le priorità dell'amministrazione Trump, ha in qualche modo sparigliato le alleanze. E ha forse contribuito a una percezione israeliana di minore insicure zza nella regione. Il progressivo tramonto della soluzione della controversia israelo-palestinese, infine, come priorità assoluta per gli equilibri regionali, ha tolto molto carburante e molte connotazioni ideologiche ai conflitti in atto. E ha fatto addirittura ritenere risolvibile attraverso compensazioni finanziarie e investimenti il nodo della causa palestinese: un'illusione verosimilmente, ma dà la misura del m utamento di clima. Elementi, tutti questi, che si prestano ad una duplice lettura.

Influiscono in senso stabilizzante, da un lato, perché limitano oggettivamente le spinte centrifughe. Ma dall'altro, non sono di per se' dirimenti e lasciano spazio a conflittualità locali non gestite, suscettibili di sfuggire perico losamente di mano. E' probabilmente sotto quest' ultimo profilo, per i rischi che comporta, che si avverte maggiormente il vuoto di leadership succeduto al progressivo disimpegno americano dalla regione.

Washington, con Barack Obama prima e ora con Donald Trump, ha le sue buone ragioni: la tendenziale indipendenza energetica che rende meno strategica la tutela delle tradizionali rotte petrolifere, la lontananza geografica che fa percepire attenuata la minaccia jihadista e dei flussi migratori, la fatica dell'opinione pubblica americana per le guerre combattute lontano da casa, l'attenzione accresciuta per l'Asia e per la Cina come avv ersario sistemico. Non vi sono altre Potenze in grado di sostituirsi agli Stati Uniti nel loro ruolo complessivo.

Ma sul piano locale - e Libano, Siria, Libia ne sono esempi significativi - i candidati abbondano. Dalla Russia, alla Turchia, ai Paesi del Golfo. E si moltiplicano pericolose sit uazioni di stallo. Se non vogliamo regalare ad altri il Mediterraneo, faremmo bene come Unione europea a spingere Washington a tornare a impegnarsi e coordina rsi un po' di più. (La Stampa)

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