Ma cos’è questa pace?
Non c’è da stupirsi se ognuno la intende come vuole. La pace non ha mai potuto godere di una chiara definizione positiva. E’ sempre stata definita in modo negativo (pace come assenza di guerra) e, per questo, continua ad essere un concetto “debole”, generico e confuso che consente gravi arbitri e strumentalizzazioni.
La pace ha molte dimensioni: una interna e una esterna, una personale e una politica, una microsociale e una macrosociale, una locale e una internazionale, c’è la pace interiore e la pace nel mondo, la pace tra gli uomini e le donne e la pace con la natura,... Il nesso che esiste tra queste dimensioni viene spesso trascurato o strumentalizzato per giustificare scelte e comportamenti contrari alla pace.
In termini positivi, la pace nel mondo può essere definita come l’ordine sociale e internazionale nel quale tutti gli esseri umani possono godere di tutti i diritti umani. La pace è il frutto maturo della giustizia e del pieno rispetto dei diritti umani.
La pace non è quindi solo un valore ma un diritto e un obiettivo da perseguire con gli strumenti della politica, dell’educazione e della solidarietà. Essa non va mai intesa come una condizione statica ma dinamica. La pace non può mai essere associata con passività e arrendevolezza nei confronti della violenza o dello statu quo. Al contrario, chi vuole davvero la pace è chiamato ad un impegno costante per la promozione di tutti i diritti umani per tutti, della giustizia e della democrazia a tutti i livelli.
Se oggi la pace è sempre più in pericolo, se la pace continua ad essere un sogno irrealizzato per miliardi di donne, uomini, bambine e bambini è perché invece di promuovere il rispetto dei loro fondamentali diritti e risolvere le grandi crisi mondiali molti governi esercitano politiche di potenza violando la legalità e il diritto internazionale.
Per costruire la pace nel mondo c’è bisogno di persone, forze politiche e governi determinati a ripristinare il primato della politica sull’economia e sulle armi. C’è bisogno di persone decise a mettere la pace e il bene comune al centro della politica, capaci di prendersi cura dei problemi di casa nostra e del mondo (la separazione di queste due dimensioni è ormai impossibile) con la cultura della prevenzione, l’etica della responsabilità, uno spirito di giustizia.
Oggi la rinuncia alla guerra come “strumento di pace” non è più dettato solo dalla coscienza ma dalla realtà che si è incaricata di dimostrare come la guerra sia uno strumento incapace di risolvere i problemi: non chiude i conflitti che voleva chiudere ma li riapre in forme più nuove e terribili.
La pace ha bisogno di istituzioni che operano per la pace dal quartiere all'Onu. C’è un ruolo insostituibile che spetta alle città e alle comunità locali, ai Comuni, alle Province e alle Regioni e c’è il bisogno assoluto di difendere, rilegittimare rilanciare, rafforzare e democratizzare l’Organizzazione delle Nazioni Unite, casa comune dell’umanità.
Se la guerra si fa con un numero sempre più ridotto di militari, la pace esige invece la partecipazione di tutti. Per questo bisogna sostituire la pace negativa con la pace positiva e combattere il virus della disillusione, della rassegnazione e dell’indifferenza. Per questo bisogna rafforzare il grande movimento della società civile che si sta affermando in tutto il mondo. La pace si impara e si insegna. L’educazione alla pace deve essere permanente, sistematica, orientata all'azione e al cambiamento. "La pace che pronunciate con la vostra bocca diventi opera delle vostre braccia" (San Francesco).
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