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L’Umbria di Canova

Andrea Cova Canova
Pubblicato il 30-11-2022

L’artista aveva a cuore gli affreschi della Basilica

La chiusura di questo anno porta con sé anche la conclusione delle celebrazioni per i duecento anni della morte di Antonio Canova, acclamato come uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Tra le tantissime esposizioni in occasione del bicentenario, siamo andati a visitare quella umbra, “Al tempo di Canova, un itinerario umbro” – prorogata fino all’8 gennaio – che si snoda in due sedi espositive del centro storico di Perugia: MUSA, museo dell’Accademia di Belle Arti e Palazzo Baldeschi al Corso. Esposti a palazzo Baldeschi abbiamo visto degli schizzi (di proprietà dei Musei Civici di Bassano del Grappa) raffiguranti affreschi, o dettagli di affreschi, della Basilica di Assisi. Ne abbiamo parlato con Stefania Petrillo, professoressa associata di Storia dell'arte contemporanea all’Università di Perugia e curatrice della mostra.

Professoressa Petrillo, duecento anni fa moriva Antonio Canova e il 2022 è stato un anno ricco di iniziative. Tra queste la mostra “Al tempo di Canova, un itinerario umbro” a Perugia (Palazzo Baldeschi e Accademia di Belle Arti), prorogata fino all’8 gennaio. Ce la racconta brevemente?
La mostra si incardina in un’idea ben precisa: ricostruire il contesto culturale e artistico che ha reso possibile l’arrivo all’Accademia di Belle dei cinque gessi del Canova, di cui uno, le Tre Grazie, donato personalmente dall’autore nel 1822, gli altri quattro pervenuti grazie alla donazione del fratellastro Giambattista Sartori sette anni dopo la morte dello scultore. A partire da questo prezioso nucleo, la mostra intende far riaffiorare i legami dell’artista con l’Umbria, ma anche la fitta rete di relazioni, le committenze e i fenomeni di irraggiamento della migliore produzione architettonica, scultorea e pittorica fiorita a Roma sotto i pontificati di Pio VI e Pio VII. L’esposizione in Palazzo Baldeschi ripercorre infatti quarant'anni di storia dell’arte in Umbria dal 1780, anno del primo passaggio di Canova lungo la Flaminia, fino al 1822. Ne emerge un quadro di iniziative e di presenze molto vivace, che inserisce il territorio umbro in una più ampia circolazione di artisti e del gusto. Si è scelta dunque un’angolata prospettiva geo-culturale, per restituire la fisionomia artistica della regione ai livelli più alti, permeabili alle tendenze e alle proposte d’avanguardia che maturano a Roma, “capitale delle arti”.

Che significa celebrare un artista come Canova?
Significa celebrare un genio universale, “l’ultimo dei classici e il primo dei moderni”. Canova inaugura una concezione della scultura che attualizza la ricerca di bellezza e di perfezione formale propria dell’arte classica, recuperandone i principi estetici anche in funzione etica. Moltiplicando attraverso i gessi le proprie creazioni, ha disseminato i paradigmi di un’armonia serenatrice e di un gusto capace di ispirare i valori morali più alti. Celebrare Canova, tuttavia, non significa soltanto ricordare lo straordinario statuario, ma anche un uomo delle istituzioni. Pio VII, nel 1802, lo nomina Ispettore delle Antichità e Belle Arti e nel 1810 principe dell’Accademia di San Luca a Roma. In questo doppio ruolo, Canova ha gettato le basi per una moderna azione di tutela del patrimonio. I documenti attestano come il contatto l’Umbria sia stato, da questo punto di vista, un canale importante per la conoscenza dei capolavori della pittura del Medioevo e del primo Rinascimento, nonché per la messa a punto di prassi conservative applicate di concerto con i direttori dell’Accademia di Belle Arti. Non si può assolutamente escludere, d’altro canto, che proprio l’interesse per l’arte di Perugino e del Raffaello “umbro” abbia contribuito alla “svolta romantica” che la critica riconosce nell’ultimo periodo della produzione dello scultore, quando sembra definirsi un nuovo timbro formale assonante con quello degli antichi maestri.

A proposito della riproduzione delle opere al fine della diffusione, Canova potrebbe rientrare, ovviamente in nettissimo anticipo, nella teoria di Benjamin a proposito dell’opera d’arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica?
In un certo senso sì. L’autorialità si riconosce all’invenzione, all’idea; che questa poi possa moltiplicarsi senza perdere nulla in valore, anzi, come nel caso dei gessi di Canova, diventare vettore di una nuova sensibilità estetica, è una evidenza che emerge con l’intensa produzione e l’oculata strategia di promozione messa in campo dallo scultore, che puntava a divulgare la conoscenza delle proprie creazioni anche attraverso le incisioni. In questo, Canova è stato in qualche modo un precursore dell’arte “pop”, intesa proprio come “popolare”.

Il legame tra lo scultore e l’Umbria è ben documentato. Ci sono lettere con i direttori dell’Accademia di Belle Arti di Perugia e sappiamo dei possedimenti di Canova e del fratellastro Sartori nella zona di San Gemini. Perché questo “amore” per la nostra regione?
Il palazzo di San Gemini e i vasti possedimenti di Valle Antica furono probabilmente acquisiti ai primi dell’800 e attestano una consuetudine con una regione già “scoperta” e celebrata dagli artisti e dai viaggiatori del Grand Tour. Le ricerche condotte in preparazione alla mostra hanno confermato l’esistenza di una robusta rete di rapporti con figure di spicco della scena culturale umbra, una ramificata interazione che investe piani diversi degli interessi di Canova. Il primo importante nucleo di lettere riferibile agli anni della dominazione francese testimonia un contatto non superficiale con Pietro Fontana – segretario del Dipartimento del Trasimeno – cui Canova fu legato da una certa amicizia, condividendo con lui la preoccupazione per il precario stato di conservazione del patrimonio artistico, in particolare degli affreschi di Assisi. Molte sono state poi le occasioni di contatto con vari interlocutori legati all'Accademia di Belle Arti di Perugia, un rapporto che si fa stretto soprattutto dal 1812 fino alla morte dello scultore, nel 1822: Canova suggerisce i nomi dei direttori della scuola più influenti, come Tommaso Minardi e Giovanni Sanguinetti, eccellenti disegnatori, che riformano i metodi didattici; agevola poi l’acquisizione di molti gessi per la gipsoteca, indispensabile palestra per la formazione dei giovani artisti. È il suo collaboratore Vincenzo Malpieri a realizzare nel 1817 le riproduzioni di alcuni capolavori della scultura antica da inviare a Perugia, come il Torso del Belvedere e Le danzatrici Borghese, un calco, quest’ultimo, riscoperto e restaurato in occasione della mostra. La scelta del bassorilievo, che Canova aveva voluto inviare in copia anche all’Accademia di Venezia, è una prova della centralità riconosciuta dall’artista al tema della danza e della musica. Ci sono infine alcune lettere che provano una non superficiale conoscenza tra lo scultore e il vescovo di Foligno Antonio Moscardini, che possedeva un’importante collezione di stampe raffiguranti capolavori canoviani e che incontrò lo scultore e il senatore di Roma, Abbondio Rezzonico – mecenate e grande amico di Antonio Canova –, durante il periodo in cui i due illustri personaggi soggiornarono ad Assisi, nell’autunno del 1797.

Rimaniamo un attimo su Assisi. A Palazzo Baldeschi sono esposti alcuni schizzi disegnati da Canova e custoditi dai Musei Civici di Bassano del Grappa. Tra questi su tre fogli sono riprodotte alcune figure degli affreschi di Giotto e Lorenzetti che sono nella Basilica di San Francesco. Potrebbe essere la testimonianza del suo passaggio in città?
A riprova del soggiorno in Umbria di Canova c’è una lettera di Tommaso Rossi, canonico di Santa Maria degli Angeli, che ancora nel 1817 ricordava l’incontro con il grande scultore e il senatore Rezzonico. In occasione del passaggio nella basilica di San Francesco, Canova appunta sul proprio taccuino alcuni schizzi tratti dagli affreschi di Giotto nella chiesa superiore e di Pietro Lorenzetti nella chiesa inferiore. Nel caso di Giotto, lo scultore seleziona una serie di figure e di dettagli non sempre immediatamente individuabili. La motivazione che sembra ispirare le sue scelte obbedisce a un interesse di natura formale, sembra cioè soddisfare qualche aspetto della ricerca dello scultore in relazione a soluzioni compositive o iconografiche. Colpisce la natura di questi particolari, vivide e durature memorie “visive” di impressionante forza icastica.

Possiamo inquadrare questi disegni come degli studi preliminari per delle sculture? Eventualmente, potrebbero anche essere riconducibili a opere esistenti?
È noto agli studi che le suggestioni dei Primitivi e dell’arte umbra si colgano a più riprese nella produzione dell’artista, il cui interesse per l’arte dei pittori del Medioevo e del primo Rinascimento deve sicuramente profittare anche dell’attenzione che i direttori dell’Accademia pongono al precario stato di conservazione del patrimonio pittorico, peraltro fortemente depauperato a causa delle requisizioni francesi. Una sensibilità “purista” motivata anche da un rinnovato interesse per i temi sacri spinge Canova a guardare ai grandi modelli della tradizione tra Perugino e Raffaello in particolare intorno al 1816, quando nel suo stile si riconosce una vera e propria “svolta romantica”. Questo lo rileviamo in alcune “Teste ideali” e soprattutto nelle opere di soggetto sacro, come nel dipinto Il compianto sul Cristo morto (oggi nel Tempio di Possagno), iniziato nel 1798, subito dopo il soggiorno ad Assisi e compiuto nel 1821, in cui l’Eterno è circondato da una serie di cherubini che rimandano agli angeli di Pietro Lorenzetti. In ogni caso, gli schizzi non sono disegni preliminari, ma studi che vanno a sostanziare il patrimonio visivo dell’artista innervando le sue ultime invenzioni.

Secondo lei dobbiamo sempre aspettare l'anniversario della morte di un artista per ricordarlo? In questo modo rischiamo di metterli in un cassetto e tirarli fuori solo all’occorrenza…
Può essere questo un rischio che si corre; tuttavia le iniziative per i centenari non sono soltanto frutto di scelte opportunistiche. Sono appuntamenti che permettono alla comunità degli studiosi di fare il punto sulla ricerca, sollecitando revisioni critiche, verifiche sulla cronologia delle opere, nuovi approfondimenti. Per Canova, comunque, è attivo un “osservatorio” permanente a Possagno, dove si conserva la più ricca raccolta di suoi modelli e calchi in gesso, ma anche dipinti, e a Bassano del Grappa, dove sono custoditi tutti gli scritti dello scultore nonché l’epistolario, un’immensa raccolta di lettere “in entrata”, la cui edizione critica, avviata anni fa, è ancora ben lontana dall’essere conclusa. Ogni anno, poi, a Bassano del Grappa, viene organizzata la Settimana Canoviana, immancabile occasione di confronto per gli studiosi su nuove acquisizioni o proposte interpretative.

Roberto Longhi non usò parole delicate per descrivere l’artista: “Antonio Canova, lo scultore nato morto, la cui mano è all'Accademia, il cui cuore è ai Frari, e il resto non so dove” e fu quasi una stroncatura che si protrasse per molto tempo. Cosa è cambiato?
Fu effettivamente una pesante stroncatura, che va però inserita in un particolare momento storico. L’astro di Canova non ha mai conosciuto un vero e proprio oblio, perché troppo grande la statura dell'artista, ma è altrettanto vero che negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso si sono addensate ombre sull’intero Neoclassicismo che si sono naturalmente allungate anche sul grande statuario veneto. Oltre a quella di Longhi, si alzò la voce critica anche di Lionello Venturi, che a proposito della Paolina Borghese, una delle opere più celebrate di Canova, ebbe a dire che si trattava di una scultura “non di pietra” ma “pietrificata”. L’arte neoclassica veniva percepita algida e priva di vitalità. Erano del resto quelli gli anni dell’Espressionismo astratto e dell’Informale: di Canova si salvavano così soltanto i bozzetti in terracotta, perché, al contrario delle opere finite, venivano apprezzati per la velocità dell’esecuzione e per la spontaneità. Contemporaneamente a queste valutazioni, altri storici, a iniziare da Mario Praz, gettavano però le basi per una rigorosa riscoperta del Neoclassicismo, via via implementata da studi fondamentali, come quelli di Hugh Honour, Giuseppe Pavanello, Fernando Mazzocca, che hanno determinato, grazie anche all’avvio della edizione dell’epistolario e degli scritti canoviani, nuove prospettive di ricerca e importantissime occasioni espositive, in una vertiginosa accelerazione di pubblicazioni e contributi critici culminata nelle grandi mostre degli ultimi anni. In ogni caso l’arte di Canova va sempre valutata nell’interezza del processo creativo, dal disegno al bozzetto, al modello in gesso, alla traduzione in marmo. Non si possono isolare i singoli segmenti perché ognuno è funzionale alla definizione del successivo, in una complessa sequenza di fasi fino all’“ultima mano”, ovvero a quel decisivo intervento dello scultore che rifiniva l’ultimo strato della statua e vi stendeva una particolare patina capace di trasformare il marmo in “vera carne”.

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