Le 100 chiese di Amatrice: patrimonio di fede e arte da puntellare perché torni a vivere
Quel cumulo di macerie che si vede è ciò che resta della chiesa
“Quel cumulo di macerie che si vede è ciò che resta della chiesa”:
è la frase più ricorrente che si può ascoltare dalla viva voce di chi oggi, dopo sette mesi, tenta ancora di scrollarsi di dosso la paura scoccata alle 3,36 del mattino del 24 agosto dello scorso anno. Inoltrarsi nelle 69 frazioni di “mamma Amatrice” oggi vuol dire entrare nelle ferite profonde di una comunità circondata da cumuli di macerie e case sventrate da cui fuoriescono brandelli della vita che era prima dell’arrivo del “mostro”, pezzi di camere, cucine, mobili. Ma anche dai resti delle chiese, tantissime, santuari e cappelle. Luoghi di culto cui gli amatriciani sono affezionati come il santuario del XV secolo della Madonna di Filetta, patrona di Amatrice, o di quello dell’Icona Passatora (Santa Maria delle Grazie), del XIV secolo, che per i suoi affreschi è detto la “Cappella Sistina” di questo lembo di terra. Entrambi i luoghi hanno visto la messa in sicurezza da parte del Mibact, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dei Vigili del Fuoco. Ma il grosso del lavoro attende di essere fatto.
Ricostruire le piccole chiese cadute, mettere in sicurezza quelle rimaste in piedi: sono gli stessi abitanti del posto a chiederlo. Sono loro i primi guardiani di questi luoghi di culto.
Cento chiese colpite. A Torrita come a Santa Giusta, a Collemoresco come a Patarico, a Casale, a Cossito, a san Lorenzo a Flaviano, a Faizzone, a sant’Egidio a Sommati, fino a Saletta che con i suoi 22 morti, è la frazione che ha pagato il prezzo più alto di vite umane dopo Amatrice. In questi piccoli centri le chiese sono ormai distrutte. A dispetto dei malumori e del “qui non si muove niente”, nelle aree del sisma, la Chiesa di Rieti sta portando avanti diversi interventi di messa in sicurezza e conservazione ovunque è possibile. Il tutto con l’idea di coinvolgere le comunità locali. Come nel caso del campanile del monastero “Santa Caterina” nella frazione di Scai. È stato questo il primo di una serie di interventi che la diocesi sta progettando e ai quali si darà corso nelle prossime settimane. Al momento ce ne sono una decina in fase di progettazione. Il secondo cantiere dovrebbe partire questa settimana. Interventi di recupero del Mibact, condotti in collaborazione con i Vigili del Fuoco, i carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale e del Corpo Forestale dello Stato, sono in corso presso la chiesa di San Giovenale a Rocasalli e in quelle di San Martino e di Santa Maria Assunta a Collemoresco. In tutto 73 opere di grande pregio.
Da altre chiese nelle frazioni Forecelle, Colleposta, Sommati, Pasciano e Collalto sono stati stati recuperati oltre 140 beni, tutti identificati, fotografati e trasportati al deposito di Cittaducale. Grazie all’intervento diretto della diocesi, i tecnici del Ministero sono recentemente rientrati nella chiesa di Cornillo Nuovo per pianificare gli interventi sulle pareti ricche di affreschi. Gli interventi sono finanziati dalla Cei con un fondo speciale di 300mila euro messo a disposizione delle diocesi colpite dal terremoto. La diocesi di Rieti guarda anche alla possibilità di condividere con la popolazione il processo della ricostruzione, lasciando alle singole comunità la possibilità di “adottare” una chiesa. Al di là dell’aiuto economico, la strategia punta a individuare quelle chiese che stanno particolarmente a cuore alle persone, in modo da indirizzare al meglio gli interventi. “Proteggere adeguatamente il loro interno, oltre che puntellarle all’esterno, è urgente e necessario” ribadisce il vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, che non dimentica le chiese di Accumoli, Borbona, Cittareale, Leonessa e Posta.
“Le condizioni di questo ingente patrimonio di fede – avverte il presule – sono gravi. Quasi cento chiese sono state colpite e tutte anche le più piccole hanno elementi di pregio. A queste se ne aggiungono almeno altre 50 gravemente lesionate chiuse in attesa di verifiche”.
“Nelle singole frazioni le chiese sono un punto di riferimento non solo religioso ma anche culturale – aggiunge monsignor Luigi Aquilini, nativo di Amatrice e delegato diocesano al recupero dei beni culturali – ogni frazione ne ha una. Oggi con il sisma i paesi sono pressoché vuoti e il rischio di furti è reale. Bisogna intervenire per non dare la sensazione che abbiamo abbandonato tutto. Ma non è così”.
“La ricostruzione della dimensione comunitaria, senza la quale è difficile restare, passa anche per questi luoghi sacri”, rimarca mons. Pompili – La diocesi di Rieti è impegnata in prima linea e ha incaricato Lorenzo Serva di recuperare i beni culturali nella zona di Amatrice e Accumoli in collegamento con il Mibact, i Vigili del Fuoco e il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. “Il 90% luoghi culto è inagibile” dichiara Serva che è al lavoro da subito dopo la prima scossa del 24 agosto scorso. Il compito è arduo: “mettere in sicurezza le opere d’arte delle chiese e dei santuari danneggiati. In questi sette mesi abbiamo quasi completato il recupero di tutte le opere. All’appello mancano solo 15 siti”. Una volta estratte le opere da ciò che resta delle chiese queste vengono inventariate. I beni segnati nelle schede ministeriali, quelli di maggiore pregio, vengono catalogati e posti in custodia a Cittaducale in un hangar della ex caserma delle Forestali. Le restanti, in generale doni e opere offerte dalla popolazione, vengono portate in un locale della Curia di Rieti e catalogate. “Sono elementi dall’alto valore affettivo – dice Serva – e per questo la diocesi si è mossa subito per preservarle, in vista del loro ritorno nelle chiese di origine una volta rimesse in piedi e riaperte. Si tratta di arredi sacri, quadri, statue, ex voto segno di forti legami di fede e di devozione”.
Evitare sovrapposizioni. Un lavoro enorme che, spiega mons. Pompili, “richiede delle priorità per capire da dove cominciare così da arrivare al recupero di tutti i luoghi. La collaborazione con le Istituzioni e con il Mibact è buona. I contatti sono settimanali se non giornalieri, quando necessario, soprattutto in questa fase della messa in sicurezza per capire ciò che possono fare loro e ciò che possiamo fare noi, per evitare inutili sovrapposizioni”. “Con la Cei abbiamo un tavolo di lavoro che programma le azioni e gli interventi per la messa in sicurezza, il recupero e l’apertura dei luoghi di culto – conferma al Sir Vasco Errani, commissario straordinario alla ricostruzione – un primo programma è già operativo per accelerare l’apertura dei luoghi di culto.
Nel frattempo, le curie e i sindaci possono direttamente mettere in sicurezza i luoghi e i beni culturali per evitare ulteriori danni. Poi comincerà la ricostruzione vera e propria a partire dagli interventi che sono immediatamente realizzabili, ovvero quei luoghi di culto che hanno danni meno significativi in cui è possibile passare da un intervento di messa in sicurezza ad uno definitivo, con l’approvazione del Mibact”. Dopo sette mesi luci e passerelle mediatiche sono scomparse. Ad Amatrice e nelle frazioni cresce il rumore della ricostruzione, quello delle ruspe e dei martelli. Le prime ‘casette’ sono state consegnate. Un momento di speranza che la gente di qui spera possa essere accompagnato dal suono delle campane delle prime chiese riaperte. (Daniele Rocchi - Agensir)
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