La terra che non c’è di padre Mauro Gambetti
Non solo per la cementificazione selvaggia e per l’acclarata desertificazione del suolo italiano
C’è un grande prato verde
Dove nascono speranze
Che si chiamano ragazzi
Quello è il grande prato dell’amore
Era questo il Mondo d’amore di Gianni Morandi. Oggi però il grande prato non è più verde, a meno che non sia realizzato in erba artificiale. Da anni i giovani non hanno più un terreno dove poter sbocciare e la società non li considera più alla stregua di “speranze”, ma come consumatori. Le ragioni sono tante. Vorrei evitare il classico florilegio di lamentele su un mondo che ha perso i valori, dove i padri sono assenti e le madri non riescono ad uscire dall’adolescenza… Piuttosto, vorrei focalizzare l’attenzione sulla perdita del terreno.
Non c’è più terra. Non solo per la cementificazione selvaggia e per l’acclarata desertificazione del suolo italiano che trasformano i grandi prati in savana adatta per i predatori. Non c’è terra fertile e non c’è lavoro. Quando una società a molti dei propri membri non chiede più di partecipare al sostentamento, ai servizi, all’assistenza, alla ricerca, all’educazione sta diventando insensata, ovvero senza una direzione di marcia. Come fanno a nascere speranze?
L'economia non è il motore della storia come alcuni vorrebbero (ad esempio la scuola di storiografia francese “Les Annales”) e non è neppure un modello astratto per far quadrare i conti di una organizzazione sociale. L'economia è, con ogni probabilità, il principale nodo dinamico dell’esistenza personale e comunitaria. Come tutti i nodi, può divenire un cappio che serra la gola fino a togliere il respiro o può essere sciolto per far scorrere, attraverso i legami che crea, benefici per tutti.
Fuor di metafora, l'economia è la piattaforma dell’esperienza terrena. Non a caso ha la stessa radice di ecologia. Entrambe hanno a che fare con la casa comune (oikos). Tutti gli esseri viventi entrano in contatto nei crocevia dell’agire economico. Ingegno e capacità organizzative, relazioni interpersonali e intercomunitarie, politica e diritto, ma anche terra e clima, mari e sottosuolo, vizi e virtù, spiritualità e materia: tantissimo si incontra e si scontra in economia.
Nel tempo della globalizzazione, l’etimo del termine – alla lettera: “regole di casa” – rimanda immediatamente un interrogativo: quali sono le norme che ordinano i mercati? Non mi riferisco tanto alla selva di leggi e leggiucole che, in una nazione come la nostra, popolano gli incubi notturni di imprenditori, commercialisti, avvocati e massaie, quanto piuttosto ai principi che strutturano e orientano l’azione di un popolo, di una comunità: cosa e chi determina l’economia dei mercati, a livello nazionale e mondiale?
La domanda è difficile. Evitiamo le risposte facili, divenute luoghi comuni: le multinazionali, le lobby, la finanza, i potenti del mondo. La domanda è più seria, tanto che potrebbe essere rivolta a ciascuno: in che modo tu determini l’economia? Pensiamoci.
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