La start up che ridà vita alle foreste ferite da Vaia
Amplificatori dal legno degli alberi caduti: 'Con le vendite ne abbiamo ripiantati 30.000'
C'erano una volta un nonno, tre amici e una tempesta. Potrebbe cominciare così la fiaba del Vaia Cube, storia di rinascita, economia circolare e sogni che si avverano, ma non necessariamente in quest' ordine di apparizione. In principio c'è la tempesta di Vaia, si accanisce sul Triveneto a partire dal 26 ottobre 2018 e raggiunge il suo massimo tre giorni dopo, con venti a 200 km/h. Vengono abbattuti 42 milioni di alberi. «In due ore - ricorda Federico Stefani - quelli che l'uomo avrebbe tagliato in dieci anni. Allora lavoravo a Bruxelles per la Nato, ma sono di Trento, cresciuto in quei boschi. Al mio ritorno a casa non li riconoscevo, non c'era più nulla». Uno sgomento che a Federico non dava tregua: «La notizia era già dimenticata, rimaneva il disastro. "C'è qualcosa che posso fare?" Mi chiedevo». La risposta era silente sulla sua scrivania, un oggetto intagliato dal nonno 92enne nel legno. «Una sorta di amplificatore artigianale che aveva fatto per me, l'ultimo suo regalo per il più piccolo dei nipoti». Avete presente l'emoticon della lampadina? Ecco l'idea.
Un amplificatore per smartphone con i tronchi degli abeti trentini abbattuti, che già Stradivari sceglieva per la loro perfetta risonanza. Amplificare la rinascita «mettendoci del proprio», porre la questione in maniera attiva, produrre un oggetto bello, funzionale, sostenibile. All'appello mancavano un paio di protagonisti, come lui ventenni. Federico ne parla con Paolo Milan, compagno di corso in management a Ferrara, uno di cui si fida, «pragmatico e meticoloso» si descrive online. «Ci sto» dice Paolo. E poi con Giuseppe Addamo, siciliano, studi alla Bocconi, suo vicino di sedia a una conferenza a Vicenza («ci eravamo scambiati i recapiti, leggevo i suoi post, mi piacevano le cose che scriveva» ricorda Federico). «Ci sto» dice Giuseppe. Passerà un altro anno tra riunioni e progetti, per capire la sostenibilità della loro idea. La start up innovativa a vocazione sociale nasce a giugno del 2019. Come reazione alla tempesta «ma soprattutto al problema economico e sociale che aveva causato - spiega Giuseppe -. L'obiettivo: un modo diverso di fare impresa, coinvolgere le segherie, i boscaioli, le comunità locali. E restituire al territorio e alla natura». Sì, perché per ogni oggetto venduto si impegnano a piantare un nuovo albero nei luoghi della tempesta, con la collaborazione di uno spin-off dell'università di Padova, garantendo la messa in sicurezza dei sentieri e la pulizia del sottobosco. Convincere gli artigiani è stata la difficoltà maggiore, raccontano adesso: «Si vedevano arrivare questi sbarbatelli, con un "coso" in mano e dicevano "non mi fido, io faccio mobili... io faccio cucine". Oggi sono i nostri principali collaboratori».
Proprio a uno di essi, Giorgio Leonardelli, il maestro artigiano di Pergine Valsugana che per primo ha dato loro fiducia, si deve l'intuizione decisiva. «Prese un'ascia e spezzò il cubo - dice Federico -, una ferita come quella degli alberi del bosco. È quella spaccatura, ogni volta diversa, che li rende unici». I numeri (con le difficoltà della pandemia in mezzo) sono quelli di un piccolo successo di economia circolare e rigenerativa: 40 mila pezzi venduti in 28 Paesi, 30 mila alberi piantati e una community di 70 mila persone. «Ci impegniamo a raggiungere i 50 mila alberi entro il 2021 - dice Paolo -. E lanceremo un secondo oggetto, ancora col legno delle Dolomiti e null'altro, mentre vorremmo spenderci per gli ulivi colpiti dalla xylella in Puglia». I tre amici, intanto, hanno lasciato carriere promettenti per dedicarsi alla start up che domani - tre anni dopo Vaia - festeggia con la messa a dimora di altri mille alberi e un concerto al Passo del Redebus. Dalla pagina web Federico sorride e cita Disney: «Qual è la differenza tra un sogno e un obiettivo? Una data». (Corriere della Sera)
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