LA SOLIDARIETA' SALVA IL SOGNO DI ELIA
La mia in realtà non è una vita diversa da quella degli altri adolescenti. Esco con gli amici, quando ovviamente sono libero, perché il lavoro mi porta via tanto tempo
di Domenico Marcella
Elia Taberlet è un diciassettenne che vive a Posada, piccolo borgo medievale incastonato come una gemma preziosa dentro una terra ricca di passioni e personaggi fuori dell’ordinario, la Sardegna. Nonostante la sua giovane età, Elia guarda al passato della sua isola-madre, custode di antiche tradizioni dalla forza vitale. «La mia in realtà non è una vita diversa da quella degli altri adolescenti. Esco con gli amici, quando ovviamente sono libero, perché il lavoro mi porta via tanto tempo». Elia Taberlet è un giovane pastore sardo, protagonista di una storia a lieto fine.
Perché hai scelto proprio di guidare un gregge?
L’ho capito a 6 anni, grazie al mio padrino che mi ha trasmesso l’amore per gli animali e la natura. Mi divertivo molto ad andare in campagna con lui. Mi incuriosiva qualsiasi cosa vedessi. Stranamente dai campi tutto sembrava meraviglioso, anche il cambio repentino delle nuvole che coprono il sole. Il contatto con le pecore, però, ha scatenato in me il desiderio di allevarle e accudirle con amore. Sono creature buone e da compagnia, e come tutti gli animali vanno rispettati e amati. Osservavo tutto con estrema attenzione, iniziando a familiarizzare con le dinamiche del mestiere e con i sacrifici che si fanno per poter ottenere qualche soddisfazione in più. A 13 anni, per realizzare il mio sogno, i miei familiari mi hanno regalato le prime pecore.
Dunque hai iniziato con il beneplacito dei tuoi genitori.
Mi hanno assecondato, sì, approvando la mia scelta. Ovviamente hanno storto il naso in maniera piuttosto contrariata quando ho manifestato loro l’intenzione di abbandonare gli studi per fare esperienza in un’azienda agricola.
Perché questa scelta?
Non è che non mi piacesse studiare, anzi, sono convinto che pur facendo il pastore sia importantissimo avere alle spalle un percorso di studi e una cultura che ti consenta un approccio diverso alla quotidianità. La verità è che volevo dedicarmi a tempo pieno al gregge che, come si può immaginare, mi assorbe totalmente.
Spirito di sacrificio a 17anni. Dote piuttosto rara.
Ho imparato dalle piccole esperienze che il pane bisogna guadagnarselo. Non sono nato in una famiglia benestante, ma umile; mamma fa la casalinga e papà il falegname e il muratore. Già fin da piccolo sono stato educato a capire, e a vedere che bisogna rimboccarsi le maniche se vuoi mangiare. Ho già iniziato a farlo con grande orgoglio, anche perché voglio lavorare bene per riuscire a costruirmi un buon avvenire.
Non ti spaventa niente?
Non vedo scogli insormontabili. Tutto si supera. Anche il settore della pastorizia sta vivendo un periodo di crisi. Ma non perdo l’ottimismo e sono certo che il meglio verrà. Coltivo speranze, anche perché ho l’età per farlo. Forse al momento non è il tempo favorevole per ambire al guadagno, ma alle grandi soddisfazioni che non conosceranno mai la crisi.
Coldiretti rivela che sempre più giovani scelgono di cambiare rotta e mettersi, come te, alla guida di un gregge.
Ed è una mossa vincente. Ritornare a guardare il proprio passato non è mai un errore. Lo si fa non solo per necessità, ma anche per il piacere di mantenere in vita la propria cultura e le proprie tradizioni. È incoraggiante tutto ciò.
Elia, a un certo punto, però, hai avuto un brutto colpo.
Sì. Una notte le mie pecore sono scomparse. Qualcuno le aveva rubate. Nonostante la delusione e il dispiacere immenso per aver perso le pecore regalatemi dalla mia famiglia, che erano soprattutto la base della mia giovane attività, quel gesto vile e meschino non mi ha affatto sfiduciato e avvilito. Sapevo che in qualche modo avrei ricominciato.
E a quel punto si è messa in moto per te la gigantesca macchina della generosità.
Non accettando l’idea che il sogno potesse infrangersi, il mio padrino ha preso in mano la situazione. Ha indirizzato una lettera al quotidiano La nuova Sardegna per raccontare l’accaduto e quanto quel piccolo gregge fosse importante per me. All’indomani della pubblicazione, si è scatenata una vera e propria gara di solidarietà grazie anche alla pagina Facebook di Laura Laccabadora che ha proposto ai pastori d’Italia di donarmi una pecora. Il gruppo sardo Istentales ha organizzato per me la sa paradura, un gesto di solidarietà tipico del mondo agropastorale sardo.
Ovvero?
È una tradizione che ha radici molto antiche, e si rivolge ai pastori che hanno perso improvvisamente il gregge, in seguito a una disgrazia o a un furto, come nel mio caso. Ogni pastore, perciò, offre allo sfortunato un esemplare del proprio gregge, spesso anche pecore gravide, consentendogli di ripartire.
Cosa ti ha insegnato questo gesto di plateale fratellanza?
Oggi guardo le 80 pecore ricevute in dono e mi sento ricco, pieno di gioia. Penso all’importanza della solidarietà umana. Sacrificare un proprio animale, magari anche l’ovino più buono del gruppo, per donarlo a un pastore in difficoltà è un gesto incoraggiate per rimettersi in gioco.
La solidarietà sembra essere un valore importante per te.
Lo è sempre stato, ma oggi lo è ancor di più. Mi auguro che questo sentimento possa cambiare tutto in meglio. Se unissimo le forze per perseguire le buone cause, e ci aiutassimo in maniera semplice, il mondo sarebbe decisamente un posto migliore. Mi rendo conto che si tende sempre a pensare a se stessi, è non è bello. Non c’è cosa migliore dell’aprirsi reciprocamente e collaborare, perché da soli non si va proprio da nessuna parte.
Farai tesoro di questa esperienza, vero?
È impossibile non farlo. Terrò vivo nel cuore questo episodio, così come le lacrime dei pastori che sono corsi in mio aiuto. Vedere quegli uomini forti e imperturbabili, dall’aspetto a volte un po’ rude, emozionati per essere
riusciti a trasformare un mio dispiacere in un momento di crescita esistenziale mi ha insegnato tantissimo. Ho 17 anni, ma ho capito ancora una volta che si deve essere sempre pronti ad aiutare chi sta affrontando una difficoltà. E – com’ è avvenuto nel mio caso – si potrebbero usare anche i social network.
Molti tuoi coetanei, però, vivono letteralmente imprigionati nei social in maniera sterile e apatica.
Un po’ social ai giorni d’oggi bisogna esserlo, lo sono anche io; però la vita non è fatta soltanto di una connessione-web sempre attiva. Dovremmo imparare ad arrangiarci in maniera autentica e reale, a vivere meglio, a essere solidali, senza farci tentare dalle cose superflue e, possibilmente, fare un uso sapiente del proprio social network.
Sei saggio. L’adolescenza per te non sembra affatto un periodo difficile.
In questa fase tutto si amplifica in maniera spesso eccessiva anche per me. L’adolescenza è il passaggio più bello della vita; a volte ci penso e non riesco a capire se la mia è un pochino più strana rispetto a quella degli altri. Cerco di superare questo momento facendo riferimento ai miei valori, anche perché noi giovani siamo gli artefici della nostra esistenza futura. Spetta a noi il compito di lavorare alla costruzione di una società migliore, così come hanno fatto i nostri nonni e i nostri bisnonni con forte determinazione e grande passione.
Il punto di svolta, dunque, è il passato?
Sì. Dovremmo riappropriarci della genuinità, della solidarietà, della vicinanza anche tra concittadini. Oggi ho l’impressione che tutto sia soltanto individuale; tentiamo guardare con invidia nel piatto degli altri, provando odio, rancore, invidia e gelosia. Tendere una mano verso chi è in difficoltà è importantissimo. Io, per esempio, ringrazio anche chi non è riuscito a darmi una pecora perché magari non ne aveva le possibilità, ma ha preferito abbracciarmi o rivolgermi una parola di conforto. Anche questo è fondamentale per la costruzione di un mondo migliore.
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