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La leggenda di San Giorgio e il drago

Antonio Tarallo web
Pubblicato il 23-04-2020

E’ avvincente lo stupendo equilibrio di colori, di forme, presente nella tela dal titolo “San Giorgio e il drago”, del noto pittore toscano Paolo Uccello (Pratovecchio, 15 giugno 1397 – Firenze, 10 dicembre 1475). La scena rappresentata non può che affascinare lo spettatore: sullo sfondo del quadro troviamo la grotta dove risiedeil drago; un paesaggio blu-notte si scaglia sopra le medievali figure e un turbinio di nuvole volteggia sopra San Giorgio, a simboleggiare il suo vigore guerriero; siepi quadrangolari fanno da cornice all’azione “teatrale”. La disposizione dei protagonisti non dà un'idea convincente di profondità, bisogna confessarlo, eppure è tutto in piena armonia.

San Giorgio, la principessa e il drago, sembrano quasi delle figurine sparse lì, in una palcoscenico in miniatura che ricorda quei “teatrini gioco” di legno che saranno tanto in voga durante il Rinascimento, un bel po’ di tempo dopo. La principessa ritratta è così longilinea, composta e aristocratica, che sembra esser venuta fuori dalla vetrate tardogotiche di una qualsiasi cattedrale francese. San Giorgio è sul suo cavallo bianco che spicca - per colori e forme - alla destra del quadro: San Giorgio è un tutt’uno col destriero, in un’armoniosa simbiosi cavalleresca. Paolo Uccello, sembra quasi - con questo dipinto - dichiarare al pubblico parole che fanno eco all’Ariosto, il più grande “cantore” delle gesta cavalleresche del Medioevo : “Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, le cortesie, l'audaci imprese io canto”.

Della vita del santo non ci sono notizie storicamente fondate, se non che fu un soldato originario della Cappadocia, e che fu martirizzato sotto Diocleziano. Le storie che lo riguardano sono quindi il risultato di elaborazioni medievali, che si arricchivano progressivamente di dettagli. Le poche notizie biografiche ci sono pervenute grazie alla “Passio Georgii”, che comunque il ‘Decretum Gelasianum’ del 496, classifica tra le opere apocrife, quindi “non ufficiali”. Giorgio era originario della Cappadocia (regione dell'odierna Turchia), figlio di Geronzio e Policromia che lo educarono alla religione cristiana. Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell'esercito dell'imperatore Diocleziano. Ed è proprio sotto questo stesso imperatore che sarebbe, successivamente, avvenuto il martirio del santo.

La leggenda del drago
La cosiddetta “Legenda Aurea”, scritta dal Vescovo di Genova Jacopo da Varagine, ha fissato - per sempre - la figura del santo come “cavaliere eroico”: un’iconografia, una fama che tanto influenzerà la fantasia popolare. Per questo motivo, potremmo quasi iniziare - senza torto - il racconto di “San Giorgio e il drago”, con un fiabesco “C’era una volta…”. C’era una volta una città chiamata Selem, in Libia, dove vi era un grande stagno, tanto vasto e profondo da poter nascondere addirittura un drago. Ogni volta che il feroce animale usciva dallo stagno e si avvicinava alla città, uccideva con il suo fiammeggiante fiato tutte le persone che incontrava.

Così, per placare la sua fame, gli abitanti gli offrivano due pecore al giorno. Ma le pecore cominciarono a scarseggiare. Gli abitanti, allora, furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno, fu estratta la giovane figlia del re, la principessa Silene. Il padre, però, si rifiutò di sacrificare la bella e giovane figlia, proponendo al popolo un’alternativa: al posto di Silene, avrebbe offerto il suo patrimonio e metà del regno. Ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso lo stagno per essere offerta al drago. Fu proprio in quel momento che passò vicino allo stagno, il giovane cavaliere Giorgio che, saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per evitarle la brutale morte. Quando il drago uscì dalle acque, sprizzando fuoco e fumo dalle narici, Giorgio non si spaventò e lo trafisse con la sua lancia, ferendolo e facendolo cadere a terra.

Ordinò poi a Silene di legare la sua cintura al collo del drago e di dirigersi verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li tranquillizzò dicendo loro di non aver timore poiché «Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro». Il re e la popolazione si convertirono. E il nobile cavaliere Giorgio uccise, finalmente, il drago.

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