L'inferno. Miseria, prostituzione e illegalità. Ecco i "grandi ghetti" degli ultimi
Centinaia di baracche, quasi tutte abitate da immigrati, sfruttati nella raccolta del pomodo
Sulla baracca c’è una scritta. "Lo spettacolo degli orrori". Non è un ironico cartello di denuncia, ma un grande striscione in plastica che pubblicizzava lo spettacolo di un circo a Foggia. Un immigrato l’ha utilizzato per impermeabilizzare la sua baracca, ma quelle parole ben rappresentano ciò che vediamo attorno a noi.
Siamo proprio al centro del ghetto di Borgo Mezzanone, tra Foggia e Manfredonia, chiamato "la pista" perché sorge su una base aerea utilizzata fino alla guerra nei Balcani. Un agglomerato abusivo sorto da anni attorno al Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo), che attualmente ospita circa 1.200 persone ma che arriva fino a più di 4mila nel periodo della raccolta del pomodoro.
Quasi due settimane fa la morte di Samara Saho, gambiano di 26 anni, bruciato nella sua baracca. Il secondo in sei mesi. Ci arriviamo percorrendo la lunghissima pista, ai lati tante casupole in muratura, strutture di servizio alla base. Quasi tutte sono abitate dagli immigrati. Ma è solo l’inizio. Si arriva a un grande cancello chiuso ma è facilissimo aggirarlo e così si entra nel ghetto vero e proprio. Ancora vecchie costruzioni della base, casette in muratura autocostruite e tantissime baracche.
Ci accompagna Alessandro Verona, referente medico dell’unità migrazione di Intersos Italia, presente qui con un camper attrezzato tre volte a settimana, in collaborazione con Oim, Iris, Asgi e il progetto 'Presidio' della Caritas diocesana di Foggia.
«Non facciamo solo assistenza sanitaria ma aiuto per una presa di coscienza dei propri diritti». E anche un approfondito monitoraggio delle condizioni di vita degli immigrati che vivono nel ghetto. Il 26% sono senegalesi, il 17% del Gambia, il 14% di Nigeria e Ghana. Il 56% sono nella fascia d’età 18-29 anni. Quello per cui si rivolgono di più ai medici sono 'malattie professionali e abitative', dolori muscolari per le condizioni di lavoro e malattie dell’apparato respiratorio per la vita in baracca. L’8-10% sono donne, molte vittime di tratta o di sfruttamento sessuale. Il 90% sono nigeriane, anche minorenni come quelle che vediamo davanti a una grande baracca bar-bordello.
Non l’unica. Qua c’è prostituzione in baracca, 10 euro a prestazione, e anche per strada, 30-40 euro. «Vengono tanti italiani di notte per 'consumare' – ci dice Mamadou, operatore umanitario –. Anche ragazzi. Perfino per feste di laurea e compleanni». Altri italiani, sfruttatori legati a gruppi crimina-li, vengono e le portano via, per farle prostituire. Le ragazze comunque qui stanno poco, ci sono partenze per gli altri ghetti, anche fuori regione, e nuovi arrivi. Non l’unico sfruttamento. Il 60% degli immigrati ha il permesso di soggiorno, ma in gran parte di tipo umanitario e quindi, dopo il cosiddetto 'decreto sicurezza', a rischio concreto di finire nell’irregolarità. «Pochi i contratti di lavoro, soprattutto in grigio, con giornate di lavoro ufficiali ridicole, mentre in realtà sono molte di più», spiega Alessandro. Tante baracche sono anche negozietti.
Una ha una piccola tettoia parasole con la scritta 'Il mercante dei sogni'. È un vero bazar che vende di tutto, dalle biciclette alle cucine a gas, dalle pentole ai letti. E poi ancora meccanici, spacci alimentari, bracerie. Davvero una piccola città. Arriviamo dove è morto Samara Saho. Tutto è come allora. La piccola baracca completamente bruciata, solo quella, un mucchio di vestiti usati, il suo povero commercio. Si avvicina un giovane. Ha l’aria triste. «Che brutta cosa, non doveva finire così».
Il rischio incendio è molto forte, per questo i vigili del fuoco hanno fatto un corso agli immigrati per spiegare come comportarsi. E così ora ci sono anche più spazi tra le baracche. Ma non dovevano essere smantellate come assicurato dal ministro Salvini? Da febbraio ci sono state tre operazioni di abbattimento, ordinate dalla procura di Foggia, ma solo alcune baracche dove, secondo le indagini, si svolgevano attività illegali. Si vede bene il terreno liberato dalle ruspe proprio ai margini del ghetto.
E comunque non ci sono alternative effettive. Di fronte c’è il Cara, dove attualmente vivono 150 persone. La recinzione è aperta e vediamo in continuo entrare e uscire. E nessuna sorveglianza. Rientriamo tra le baracche. Proprio di fronte a quella col cartello del circo ce n’è un’altra che, involontaria ironia, ha un cartello della 'Fondazione Vittorio Foa', sindacalista, membro della Costituente, più volte parlamentare nei gruppi di sinistra. Italiani di oggi vengono invece coi furgoni per vendere in nero acqua, viveri (anche scaduti) e alcol.
Ma c’è anche chi fa montare l’intolleranza. Su alcuni cartelli stradali si vedono svastiche e fori di proiettile. Il 28 marzo Daniel Nyarko, 51 anni del Ghana, è stato ucciso con due colpi di pistola mentre era in bicicletta. Faceva il custode di una masseria e aveva evitato il furto di mezzi agricoli, facendo arrestare i ladri, che, coincidenza, sono usciti dal carcere pochi giorni prima dell’omicidio. Una notizia quasi ignorata.
Avvenire - Antonio Maria Mira
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