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L'editore è un giardiniere paziente

Andrea Cova
Pubblicato il 28-02-2025

Esplorando il mondo dell'editoria con Teresa Cremisi

Ad un anno esatto dalla pubblicazione sulla rivista San Francesco patrono d'Italia, riproponiamo l'intervista a Teresa Cremisi, presidente di Adelphi. Una chiacchierata sul mondo dell'editoria che ha affrontato temi ancora oggi di estrema attualità.

L'editoria, un mestiere in costante evoluzione, si adatta ai cambiamenti della società, ma secondo Teresa Cremisi, presidente Adelphi – autrice di La Triomphante per Adelphi, Il processo di condanna di Giovanna d'Arco edito da Marsilio, e per la Nave di Teseo Cronache dal disordine – il libro non affronterà «rischi mortali».

Da una rivoluzione digitale avvenuta cinquant'anni fa con l'abbandono delle lettere in piombo alla composizione digitale, l'editoria ha sperimentato drastici cambiamenti. Tuttavia, spiega Cremisi, la sostanza della lettura e la natura del libro rimangono intatte, nonostante l'avvento della tecnologia digitale. L'e-book e la lettura su tablet possono offrire comodità, ma non hanno rivoluzionato il settore come inizialmente previsto.

Come vede il futuro dell'editoria, specialmente considerando le sfide e le opportunità presenti nel panorama editoriale attuale?

L’editoria è un mestiere relativamente recente, si è perfezionato, industrializzato in questo ultimo secolo. Continuerà ad adattarsi alla società che cambia, ma dubito che affronti rischi mortali. Il mondo avrà sempre più bisogno di libri. Il libro è un oggetto molto semplice, poco costoso, capace di contenere tutto lo scibile umano. Ma anche informazioni pratiche, giochi ecc… Insomma dai Pensieri di Pascal alle raccolte di sudoku, da Tucidide all’abecedario. Come potremmo immaginare di farne a meno?

Ci sono cambiamenti specifici che saranno cruciali per l'industria editoriale nei prossimi anni?

Il vero grande cambiamento è avvenuto cinquant’anni fa, quando la composizione ha abbandonato definitivamente le lettere in piombo e si è passati a quella digitale. Fu una rivoluzione! Abbassò drasticamente i costi di produzione, semplificò e agevolò il mestiere. Intendo il mestiere di produrre libri, non quello di sceglierli, che rimane un’attività un po’ misteriosa.

Come crede che l'avvento della tecnologia digitale stia influenzando il futuro dei libri e della lettura? 

La lettura su tablet o computer non cambia né la storia né l’essenza dell’editoria. Leggere su tablet è come leggere su carta e – gli studi lo dimostrano – sono le stesse persone che fruiscono dei due modi di lettura. Scaricare un testo perché si è lontani da una libreria, perché è raro o antico, perché si parte in viaggio e non vogliamo riempire valigie di volumi pesanti, è diventato una possibilità, una comodità. Non ha rivoluzionato né il settore, né il lettorato. Un tempo si pensava che il digitale potesse moltiplicare per due il numero degli acquirenti di libri, non è stato così. Alcune materie si prestano di più al supporto digitale, altre meno, in fondo è una questione marginale.

Ci descrive il profilo dei lettori di oggi rispetto a quelli del passato?

La lettura si è democratizzata. Il tascabile (che in certi paesi ha dilagato a prezzi bassissimi) ha permesso a chiunque di costruirsi una biblioteca secondo i propri gusti. Ai tempi di Leopardi, i lettori erano pochi, appartenevano a una élite ristretta, e pochi erano coloro che potevano permettersi studi prolungati.

Ci sono tendenze emergenti nel comportamento dei lettori che potrebbero plasmare il modo in cui vengono scritti e distribuiti i libri?

Non credo più di tanto al marketing. Le “tendenze” come le definisce sono movimenti di fondo della società, influiscono probabilmente sulle scelte degli editori, ma non in modo del tutto consapevole. Per cui alla domanda che mi è fatta, se determinano il modo in cui i libri vengono scritti, tenderei a rispondere un “no” drastico. I libri più importanti, anche dal punto delle vendite, sono spesso i libri che nessuno aspetta. Le vere sorprese, le novità fuori tendenza. Alla domanda che riguarda invece la distribuzione e i modi di vendere i libri, la risposta è “sì”. Il commercio deve adattarsi a tutte le nuove tendenze della società. La costruzione di un catalogo destinato a durare è invece libera e il successo premia spesso gli audaci e i “non conformi”.

L’editoria può essere un ponte culturale?

L’editoria è un artigianato molto sofisticato. Le case editrici non si somigliano. Ognuna propone un insieme, un mosaico che spesso deriva dal gusto e dalle opinioni di un gruppo di editori. Per essenza trasmette – anche, non solo – cultura. “Ponte”, non so. Userei un’altra immagine. Diciamo per esempio che l’editore è un paziente giardiniere, innaffia fiori, pianta pali di supporto per rampicanti, tralicci per fiori… e poi aspetta che crescano.

Pensa che la cultura, attraverso la lettura e altre forme di espressione artistica, possa essere cruciale per favorire l'incontro e il riconoscimento dell'altro?

La cultura, la lettura, l’arte in genere sono espressioni alte dell’attività umana. Permettono di capire il mondo. E direi di più, permettono di “vederlo”. Spesso basta la frequentazione assidua di un autore amato a permettere una comprensione della vita, ad illuminare lati oscuri di certe personalità, a chiarire situazioni, a capire fratture e linee di tendenza. È già un risultato portentoso. Se invece permetta di incontrare o riconoscere l’Altro, sarei più cauta. E, per finire, non credo che tutta la cultura del mondo, le cose più alte e più belle, le opere d’arte più meravigliose, cambino il corso della storia e impediscano all’ineluttabile di avvenire. Non credo all’arte come strumento “per superare le divisioni”. Non si è mai verificato. Anzi: non di rado periodi storici di grande fasto culturale hanno coinciso con eventi di grande crudeltà e di nessuna comprensione reciproca fra i popoli.

Qual è la sua interpretazione personale di san Francesco? Come ha influenzato, eventualmente, la sua visione del mondo?

Premetto che non ho fatto studi approfonditi su san Francesco e che buona parte dei miei pensieri su di lui prendono radice da un caso fortuito, del tutto personale. Da molti anni, frequento Amalfi e la vicina Atrani. Il convento al confine dei due comuni (diventato nel 1822 albergo Luna e situato a un tiro di schioppo da casa mia) è stato, secondo una leggenda attendibile, fondato da san Francesco di ritorno dalla sua spedizione in Egitto, vicino a Damietta, dove era stato ricevuto dal Saladino. Da Amalfi – restarsene tranquillo in un posto non era la sua specialità – Francesco riparte, probabilmente una mattina del 1222, con altri frati a dorso d’asino verso Ravello per fondarvi un secondo convento. Due posti fra i più belli del mondo. Ho parecchio fantasticato su Francesco giramondo coraggioso, inventore di regole di vita, carismatica guida di uomini e di donne, capace di guardare la natura con occhi nuovi e di vedere la ricchezza nella pratica dell’ascetismo. Me lo sono anche sognato una notte: saliva per la mulattiera impervia che sale lungo la Valle del Dragone e che vedo dalle finestre…

Ci sono insegnamenti o aspetti della vita di san Francesco che pensa siano particolarmente rilevanti ai giorni nostri?

A prescindere dalla sua santità, Francesco è una personalità assolutamente fuori dal comune, un anticonformista naturale. Pensiero e vita si attorcigliano intorno a un nucleo profondo di convinzioni. Prima di tutte, la necessità per tutti di vivere secondo giustizia. Poi il rispetto della libertà altrui e di quella degli animali. Poi, – ancora, ma ce ne sarebbero altre – lo stupore e l’ammirazione per la bellezza del mondo. Infine, la sua irrequietezza mi sembra rafforzata da una straordinaria gioia di vivere.

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