Immigrati, il lavoro per integrare
Fondazione con il Sud e Terzo settore: un piano anti-caporalato. 'Così l’accoglienza conviene al Paese'
«Siamo di fronte alla rimozione del tema dell’immigrazione dal dibattito politico. È molto grave che iniziative nuove non siano prese a livello nazionale e europeo. Non è che il problema non c’è più perché non se ne parla più sulle prime pagine dei giornali». È la forte denuncia di Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione con il Sud. Che non sta a guardare. «In attesa di un vero salto culturale c’è bisogno di alcune iniziative specifiche che rendano meno drammatiche le cronache che abbiamo sotto gli occhi». Iniziative concrete come il bando della Fondazione che ha come obiettivo l’inserimento lavorativo degli immigrati e il contrasto allo sfruttamento. Scade il 17 settembre ed è rivolto alle organizzazioni del Terzo settore, con uno stanziamento di 2 milioni di euro, per sostenere iniziative esemplari nelle regioni del Sud. Su questo tema Fondazione con il Sud e “Avvenire” hanno promosso un forum di riflessione e proposta. Perché, sottolinea Borgomeo, «bisogna far scattare contemporaneamente una molla di solidarietà e il tema che al Paese conviene una politica di accoglienza».
E proprio questo doppio binario è stato al centro degli interventi al Forum. «Oggi conviene aprire ai flussi migratori – afferma Stefano Granata, presidente di Federsolidarietà –. Nella fase pandemica i bisogni di welfare si sono moltiplicati a fronte di alcune mansioni che sono totalmente mancate e continuano a mancare, tanto è vero che il Piemonte ha avviato una sanatoria temporanea per permettere alle badanti di poter lavorare nelle strutture di accoglienza per anziani, pur non avendo titolo, altrimenti avrebbero dovuto chiudere ».
Ma, avverte, «se andremo avanti così nei prossimi 15-20 anni saremo costretti veramente ad andare a cercarli per convincerli a venire nel nostro Paese ». Inoltre «questi flussi hanno bisogno di essere accompagnati dal punto di vista dell’inserimento lavorativo» e «un Paese come il nostro non può immaginare di tutelarsi chiudendo le frontiere: l’emergenza pandemica ci ha fatto capire che non solo non abbiamo la necessità di arginare un fenomeno, ma abbiamo bisogno di qualificarlo, altrimenti non faremo altro che sommare disagi e vulnerabilità dei nostri cittadini a quelli dei cittadini stranieri».
Esemplare è da questo punto di vista il cammino intrapreso dalla città di Palermo. Il sindaco Leoluca Orlando ricorda che «la nostra città è stata per cento anni repressa dal governo mafioso che aveva un’idiosincrasia per le diversità. Il cambio culturale di Palermo deve ringraziare le vittime innocenti della mafia che ci hanno fatto scoprire la cultura della legalità, e le sofferenze dei migranti che ci hanno fatto scoprire che tante volte la legge nega i diritti». Per questo, aggiunge, «non possiamo ignorare la strage nel Mediterraneo». «Ho proposto ai vertici Ue – spiega ancora Orlando – un Servizio europeo di salvezza delle vite umane, perché non possiamo affidarci soltanto alle Ong, spesso bloccate da cavilli giuridici».
Per quanto riguarda la città, «il compito di un’amministrazione comunale è garantire prima della convenienza la sicurezza, che in democrazia si fonda sul rispetto dei diritti di tutti. La premessa è la visibilità di tutti, perché se sono invisibile sono pericoloso e non faccio differenza tra un criminale latitante e un cittadino senza documenti. Per questo ho firmato decine e decine di residenze anagrafiche a dispetto del cosiddetto decreto sicurezza. Nonostante le mille critiche ho avuto il conforto dalla Consulta che eversiva era la legge e non le mie firme».
Per questo, insiste, «abbiamo proposto l’abolizione del permesso di soggiorno a livello europeo, perché è la nuova schiavitù. La dimensione dell’accoglienza deve cedere il passo a quella della coabitazione consentendo a tutti di sentirsi a casa propria». E in questo si cala il contrasto al caporalato, come sottolinea il segretario generale della Fai-Cisl, Onofrio Rota. «Se non c’è una visione d’insieme del fenomeno, volontà e pragmatismo nell’affrontarlo, non si va da nessuna parte. Il fenomeno del caporalato si contrasta soltanto se c’è un’azione corale di tutte le parti ». La Fai ha promosso un servizio SOS Caporalato, con un numero verde (800.199.100) e un’app, «dove raccogliamo le segnalazioni dei lavoratori».
E ancora «il camper dei diritti che va a presidiare le periferie e i ghetti dove vivono sia irregolari che regolari». Infine «stiamo lavorando anche a livello europeo: la Pac non solo deve dare i contributi alle imprese agricole per lo sviluppo, l’aggiornamento della meccanizzazione, il benessere degli animali. Per questo abbiamo chiesto delle clausole di sostenibilità sociale e questo vuol dire che le aziende che godono dei contributi pubblici devono garantire ai lavoratori non solo il rispetto del contratto ma anche di tutte le norme relative alla prevenzione e alla sicurezza».
Ma bisogna «anche contrastare le pratiche sleali che avvengono attraverso le aste al doppio ribasso. Abbiamo lanciato una proposta: come parliamo di tassi antiusura per i cittadini che si rivolgono al sistema bancario, dovremmo avere anche i prezzi anticaporalato, cioè che i prodotti agricoli non possono essere venduti alla grande distribuzione se non vanno giustamente a remunerare l’impresa e il costo del lavoro».
di Antonio Maria Mira - Avvenire
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