Il volontario parla straniero
Lo studio si chiama «Volontari inattesi», è stato promosso da CSVnet
Sxyed Hasnain è un trentunenne afgano che a 10 anni è fuggito dai talebani per costruirsi una nuova vita. Da 12 anni vive in Italia e da subito si è battuto perché la voce dei rifugiati fosse ascoltata. Ha fondato un'associazione di volontariato che si chiama Unione nazionale italiana per i rifugiati ed esuli (Unire). Nel direttivo di Unire ci sono anche un sudanese, una curda e un'eritrea, un nigeriano e un algerino.
Fabian Nji Lang ha 50 anni, è nato in Camerun ma da 25 vive in Italia, tra Ferrara e Bologna. Ha tre figlie e insieme ad un gruppo di lavoratori stranieri nel 2000 ha fondato l'associazione Universo di cui è presidente. Universo opera per facilitare l'integrazione attraverso uno sportello informativo e l'organizzazione di corsi di italiano. Carla Bellafante invece è nata in Italia, ma fin da piccola è emigrata in Venezuela con la famiglia.
Con la crisi del Paese sudamericano e dopo alcune difficili vicende lavorative è rientrata nel Paese di origine due anni fa con la sua famiglia ed ha ricominciato da capo, impegnandosi prima di tutto come volontaria per l'associazione Emozioni. Associazione che opera a Francavilla al Mare con servizi essenziali a favore della comunità. Sxyed, Fabian e Carla hanno in comune storie personali di riscatto e rinascita, ma non sono solo le vicende personali a segnare la loro vita: è l'impegno per gli altri, nonostante le difficoltà, ad accumunare le loro nuove esistenze. Sono tre dei quasi 700 cittadini di origine immigrata che hanno accettato di raccontarsi per contribuire alla prima ricerca sugli immigrati che fanno volontariato in Italia. Lo studio si chiama «Volontari inattesi», è stato promosso da CSVnet -il Coordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato- e curato dal Centro studi Medì.
«Volevamo indagare come i nuovi cittadini si impegnassero nel solco del tradizionale impegno sociale del nostro Paese - spiega il presidente di CSVnet Stefano Tabò-, cioè con attività più o meno organizzate, svolte gratuitamente, in modo spontaneo e a beneficio dell'intera collettività. La risposta è stata sorprendente grazie ai 55 Centri di servizio sul territorio e alle associazioni nazionali che hanno accettato la sfida e contribuito in modo determinante a coinvolgere i volontari». A curare lo studio sono stati in particolare il sociologo delle migrazioni dell'Università di Milano Maurizio Ambrosini, responsabile scientifico del Centro studi Medì, e la sociologa dell'Università di Genova Deborah Erminio. Il ritratto degli immigrati volontari è una sorpresa: sono piuttosto giovani, istruiti, molti di loro lavorano, più della metà è femmina e 4 su 10 hanno già ottenuto la cittadinanza.
«Hanno tanta voglia -racconta Ambrosini- di partecipare e raccontarsi. Un aspetto sorprendente è il profilo sociale e culturale: c'è un legame stretto fra l'integrazione avanzata e il fare volontariato».
«Uno degli obiettivi - aggiunge - era anche indagare il potenziale di nuove risorse. Molte associazioni lamentano la scarsità di giovani: ne abbiamo scoperta una bella quantità che hanno voglia di partecipare».
I tratti più comuni dei volontari immigrati sono chiari: oltre ad essere istruiti, attivi e integrati, si impegnano portando i valori e la cultura del loro Paese di origine e spesso per restituire alla società italiana ciò che hanno ricevuto e sentirsi protagonisti dopo essere stati accolti, ma anche per imparare nuove cose e socializzare. E lo fanno pure per combattere una narrazione negativa sugli immigrati che ritengono ingiusta. Come Sara Sayed, musulmana nata in Italia da genitori egiziani che da quando ha 17 anni fa volontariato. Oggi si impegna nell'associazione Progetto Aicha che combatte la violenza contro le donne nella comunità islamica e non solo. Sara rivendica il suo diritto a fare volontariato, indossando il velo e, racconta, «mandando in tilt gli schemi di chi inizialmente mi guardava solo come una straniera». ... (Corriere della Sera)
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