Il prete che ha detto no alle pretese dei clan
«Don Vito, ma lei ce l’ha con noi?». «E dove avete letto che ce l’avrei con voi». «Abbiamo letto i titoli dei giornali». «Bisognava leggere tutto l’articolo. Ti accorgerai che non è come pensi. L’invito è per tutti. La processione è una festa religiosa e io devo mantenerla così come è. Il messaggio è per tutti, anche per voi. Ma non posso non dire la verità quando si tratta di dire che il male è male e il bene è bene ». Il colloquio è tra don Vito Piccinonna, par- roco della basilica dei Santi Cosma e Damiano di Bitonto, e alcuni esponenti del clan locale. Siamo nel momento più delicato della grande processione dei Santi Medici di domenica: decine di migliaia di persone in cammino per 12 ore, dalle 8 del mattino, al passo lentissimo dei portatori delle due grandi e splendide statue. Nota anche come 'intorciata' per le migliaia di ceri che vengono portati dai fedeli.
Alcuni grossi come tronchi, pesantissimi, trascinati grazie a delle imbracature, mentre la cera cola addosso. Ceri per grazia ricevuta o per chiedere una grazia. «Più grande è la devozione e più grande è il cero. Ma può essere anche un modo per ostentare il potere», ci spiega don Vito, ex-assistente nazionale dei giovani di Azione Cattolica. Per questo nei giorni precedenti era stato molto chiaro. «Non si può partecipare alla processione convinti che, trascinando un grosso cero, tutti i peccati saranno perdonati.
Né si può pensare di chiedere ai santi benedizioni per una vita fatta di soprusi, di violenze, una malavita». Parole chiare che ora ci conferma. «Era un invito a vivere cristianamente una festa religiosa. C’è davvero fede in tanti, ma alcuni si infiltrano». Lo scorso anno, ci ricorda, «alla fine della processione ci fu una sparatoria tra gruppi malavitosi». E allora lui citò Isaia: «Non posso sopportare delitto e solennità ». E tanto per essere chiaro ci spiega ancora. «La criminalità qui grida. Lo fa coi furti nelle campagne, con lo spaccio, col pizzo fatto pagare ai commercianti. Non possiamo chiudere gli occhi, il Vangelo non è innocuo ». A maggior ragione in occasione della processione. «Tutti sono invitati, anche i malavitosi – ripete il parroco – ma quel momento è della comunità, non loro».
E lo si vuole dimostrare con segni chiari. Così il momento più difficile è l’ingresso nel centro storico, il quartiere del clan. La piazza fin dal mattino è presidiata dalle forze dell’ordine, mentre un gruppetto di esponenti del clan prepara centinaia di palloncini da far volare. Ma è soprattutto la piazza della parrocchia di S. Andrea, dove le statue, dopo 5 ore, sostano, appoggiate su due grossi 'scranni', per il cambio dei portatori. Si avvicina il parroco don Paolo Candeloro. «Si sono offerti di portare gli 'scranni', ma io ho risposto: 'Grazie, ci pensano i nostri ragazzi'». «L’importante è che non siano 'loro' a gestire questo momento, che abbiano il monopolio. Se poi vogliono lanciare palloncini o sparare botti, sono liberi», conferma don Vito. Poi al microfono spiega. «Ora ci fermiamo, una breve sosta in corrispondenza della parrocchia».
Una precisazione accompagnata da un lungo applauso dei fedeli. Mentre nel cielo vigila un elicottero della Polizia. Poi dall’interno del centro storico partono botti e fuochi. I mafiosi sorridono e dopo alcuni minuti di frastuono applaudono soddisfatti. Ma è l’unico momento loro. Per poi disinteressarsi completamente della preghiera. Don Paolo chiede al Signore che siano «allontanati i nostri nemici visibili e invisibili». Ma subito dopo implora ai Santi Medici «l’intercessione anche per i nostri nemici». Riprende la parola don Vito e sono parole pesate. «Grazie a don Paolo, a questa comunità, a questo territorio che ci è tanto caro».
La processione può riprendere ed è il momento del colloquio coi mafiosi. «Vuol dire che avevano capito bene...», riflette ora don Vito. Mentre in tanti vengono a ringraziarlo. «La festa – ci dice – è un elemento positivo di devozione popolare. Purtroppo tante nostre comunità peccano di elitarismo, ma così rischiamo di lasciarle ad altri». Certo, insiste, «la Chiesa si rivolge a tutti ma distinguendo bene tra misericordia e giustizia, perché la misericordia non trascende da un’educazione alla giustizia. Il nostro è stato proprio un gesto educativo.
Ora c’è tanto da costruire». Ma molto è già stato fatto. La festa è stata preceduta da una settimana della legalità organizzata insieme all’amministrazione comunale. E poi le tante concrete iniziative della Fondazione collegata alla parrocchia: l’hospice Aurelio Marena per malati terminali, una casaalloggio per malati di Aids, l’unica in Puglia, un’altra per donne con figli e una per emergenze abitative. E poi la mensa, l’ambulatorio, il centro d’ascolto, l’attività con 40 bambini con disagio scolastico. «Noi vogliamo organizzare la speranza. Tanti vengono a chiederci un aiuto, anche ex carcerati o le mogli di chi sta in prigione». Ci dice questo don Vito prima di salutarci. «Non mi sento un prete antimafia», ma le ultime parole sono proprio ai mafiosi: «Io vi dico: che destino date ai vostri figli?». (Antonio Maria Mira - Avvenire)
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