Il mistero della musica di Claude Debussy
Centosessanta anni fa nasceva il compositore francese
Saint-Germain-en-Laye, Francia, 22 agosto 1862: centosessanta anni fa nasceva il compositore Claude Debussy, uno dei massimi protagonisti del cosiddetto “simbolismo musicale”. Nella sua musica confluirono le tematiche della scuola francese da Gounod a Fauré, la ricerca pianistica di Chopin, la scoperta di inconsuete armonie orientali e le innovazioni verso una nuova armonia di Wagner. Una felice commistione di generi, forme e note che hanno fatto di Debussy un monumento della musica europea del ‘900.
Figura complessa, quella del compositore francese; figura poliedrica e artisticamente vivace. Debussy e il mistero dell’anima, della sua ricerca di Assoluto nella sua musica. Scriveva il compositore: “L‘anima altrui è una foresta oscura dove bisogna camminare con precauzione”, quasi a comprendere in maniera profonda - in quel suo “acutissimo sentire” che ogni anima, ogni uomo, ha dietro una storia, un passato. Umanità geniale e divina degli artisti. “L’ essenza prima [della musica] è fondata sul mistero [...] Essa dice tutto ciò che non si può dire”, così Debussy “rinforzava” il tema del mistero in un altro suo scritto. Sintesi: musica e mistero, possono considerarsi - davvero - sinonimi.
Non è un caso, allora, che proprio questa parola - mistero - compaia nel libretto dell’opera “Le martyre de Saint Sébastien” (in italiano, Il martirio di San Sebastiano), musica di scena composta da Claude Debussy nel 1911 per il testo scritto dal poeta italiano Gabriele d'Annunzio, il famoso “Vate degli italiani”. L'opera - definita, appunto, con il sottotitolo “mistero” - è suddivisa in cinque atti più un prologo; narra la storia del martirio di San Sebastiano mescolando componenti sacre e profane. La partitura dell’opera è estremamente complessa e articolata. Basterebbe pensare che le persone in scena, sono circa quattrocento tra attori e ballerini più l’orchestra che prevede due ottavini, due flauti, due oboi, corno inglese, tre clarinetti, clarinetto basso, tre fagotti, sei corni, due trombe, due arpe, timpani e archi.
La figura del santo, del suo martirio erano divenute per Gabriele D’Annunzio una vera e propria ossessione: durante il suo periodo francese, il poeta italiano, si circondò di statue e icone raffiguranti il santo; la sua biblioteca era colma di libri sull’argomento. Bisogna dire che l’opera provocò non poco scandalo, facendo interpretare il santo a una ballerina russa, Ida Rubinstein.
Ma il legame con il mistero non può esaurirsi con una facile descrizione della sua opera - seppur colma di rimandi profani - sul santo trafitto dai dardi; il mistero di Debussy è un qualcosa di più ampio, meno “didascalico” (definiamolo così) poiché il tema, nel compositore francese, è più che altro un’inclinazione dell’anima che in lui diviene poliedricità di colori e immagini. C’è uno stretto connubio tra note e immagini, tra note e colori: la musica di Debussy, infatti, potrebbe ben definirsi una “tavolozza pittorica”. Una tavolozza che - tra l’altro - si coniuga con altra, più ampia e più tangibile, quella della Natura.
Scriverà, infatti, il poliedrico musicista: “La musica è una matematica misteriosa i cui elementi partecipano dell’Infinito; Essa è responsabile dei movimenti delle acque, del gioco delle curve descritte dalle mutevoli brezze; niente è più musicale di un tramonto. Per chi sa guardare con emozione, è la più bella lezione di sviluppo scritta in quel libro non letto abbastanza assiduamente dai musicisti: la Natura”.
E, a noi, non rimane altro che immergersi in questa Natura, fatta di suoni, di colori e di venti che portano note e suoni, evocazioni dell’Infinito.
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