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Il dottore pensionato, ex frate, torna in ambulatorio ma il virus lo uccide

ALESSANDRO FULLONI Corriere.it
Pubblicato il 23-03-2020

L'ultima telefonata di Gino Fasoli: Non riesco neanche a parlare

«Gino, puoi darci una mano? Gli ambulatori sono sguarniti perché tanti di noi sono andati in ospedale a dare un mano ai colleghi in prima linea o perché si sono ammalati. Ma i pazienti hanno bisogno di qualcuno che li ascolti. Puoi farlo tu?...». Quando gli hanno chiesto di rimettere il camice bianco non ha esitato un istante. Rispondendo sì alla chiamata alle armi. Del resto non avrebbe mai potuto rifiutarsi uno come Gino Fasoli, 73 anni, abruzzese, mai sposato, una gioventù trascorsa indossando la tonaca francescana lasciata per laurearsi in medicina. E diventando così un dottore dal curriculum sconfinato, arricchito da esperienze di volontario in Africa. Gino è rimasto contagiato dal Covid-19. Ed è morto alle 5.45 del 14 marzo all' Istituto clinico San Rocco a Ome, l' ospedale più vicino a Passirano, nel Bresciano, dove abitava. «Il 6 mi aveva detto di non stare troppo bene, ma niente di grave, solo un mal di testa e una febbricciola» racconta da Sulmona (nell' Aquilano) il fratello Giuseppe, 70 anni, ex sottufficiale dell' Esercito e poi bancario adesso in pensione.

Ma le condizioni di Gino sono rapidamente peggiorate.
«Gli ho telefonato il 10 per chiedergli come stesse e lui, con un filo di voce, mi ha risposto così: "Non riesco a parlare". E ha riappeso. Da allora non sono più riuscito a sentirlo. All' indomani degli amici lo hanno fatto trasferire in ospedale. Dopo che è risultato positivo al tampone lo hanno intubato. E alle 8 in punto del 14 mi hanno chiamato dall' ospedale per dirmi che era morto».

L' ex francescano è un altro medico che va ad aggiungersi all' elenco dei colleghi caduti, già 20.
Camici bianchi che davanti al coronavirus non sono indietreggiati, restando tra malati e pazienti che hanno continuato ad assistere, visitare, operare. «Una lotta impari a mani nude» è stato il grido accorato di Filippo Anelli, presidente della «Federazione nazionale dell' ordine dei medici chirurgi e degli odontoiatri».

E ora Giuseppe Fasoli piange nel raccontare che «a fine febbraio mio fratello mi disse che gli avevano dato finalmente una mascherina. "Una al giorno?", gli chiesi. "No, una e basta"». L' ex frate per molti anni è stato medico di famiglia a Cazzago San Martino. Aveva ricoperto anche l' incarico di direttore sanitario del pronto soccorso di Bornato, sempre nel Bresciano. Attivo sostenitore di Emergency e di «Msf», aveva avuto esperienze all' estero e in Somalia era stato addirittura rapito.

«Accadde anni fa - ricorda Giuseppe -, lui era il medico di una ditta italiana che aveva un cantiere al confine con l' Eritrea. Fu prelevato per fargli curare dei malati in un villaggio, poi lo rilasciarono». Una volta in pensione «voleva tornare in Africa ma io obiettai: "non ti è bastato quello che è successo?"

Gino però era così, un generoso. Per questo è tornato in ambulatorio, entusiasta di dare una mano ai colleghi in un momento terribile». Sui social, i suoi pazienti lo ricordano dicendo che «quando c' era da aiutare gli altri, era sempre in prima fila». «Sì, era proprio così - mormora il fratello corso a prelevare la salma per i funerali a Sulmona -, ma io so solo che ora Gino non c' è più». (Corriere.it)

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