I FRANCESCANI E ALEPPO
"Adesso sembra che non sia più di moda parlare di Aleppo, della guerra che l’ha devastata e delle sue innumerevoli vittime. Tutti sembrano essersene dimenticati. Eppure lì la gente continua a soffrire e la città ha bisogno di essere ricostruita, ma nessuna nazione mostra d’interessarsi”, così ha detto padre Ibrahim Alsabagh, frate francescano e parroco nella martirizzata città della Siria, che assieme alla sua comunità è diventato un importante segno di speranza e di rinascita.
La sua testimonianza è risuonata venerdì sera nella chiesa di San Pasquale durante la serata organizzata dai frati francescani, intitolata Costruire la pace per costruire il bene comune. La sua vicenda ad Aleppo, raccontata nel libro “Un istante prima dell’alba”, ha colpito anche papa Francesco, che non ha mancato di esprimere la sua vicinanza a quella popolazione.
Padre Ibrahim ha raccontato di come, prima della guerra, la Siria fosse una delle nazioni più ricche del Medioriente grazie alle fiorenti produzioni agricole e alla presenza di giacimenti (sia pure di non eccelsa qualità) e anche perché vi passavano le tubazioni per la fornitura di gas all’Europa. Poi, ha evidenziato, tutto è andato distrutto, compresa la pacifica convivenza fra le fasce di popolazione di diversa religione, a causa dell’avvento di “un’artificiale primavera araba”, voluta per far saltare ogni equilibrio per intuibili motivazioni
“È stata una strage dalle proporzioni terribili, frutto del contendere tra ben dieci eserciti che si sono combattuti sul nostro territori, in buona parte senza mai essere stati invitati – ha raccontato – I missili solcavano il cielo molto frequentemente e, guarda un po’, erano i quartieri cristiani a essere maggiormente colpiti: chiaramente volevano che abbandonassimo tutti la città. Una volta la nostra chiesa fu centrata in pieno durante la santa messa. Mi ritrovai così fra le macerie e la gente urlante ma, nonostante ciò, mi fu chiesto di continuare la celebrazione nel cortile”.
Sul finire del 2016, con l’accordo per il cessate il fuoco, bisognava che Aleppo riprendesse a vivere. “Primo problema da affrontare fu quello dell’acqua potabile – ha spiega padre Ibrahim – e lo risolvemmo con una serie di rubinetti collegati con tubazioni alle riserve idriche del convento, cui ognuno poteva attingere; per gli anziani impossibilitati a portare a casa i pesanti contenitori di acqua provvedemmo anche al trasporto a domicilio. Pensammo ai pacchi alimentari da distribuire alle famiglie, grazie alle generose offerte ricevute, cui non facemmo mancare qualche cioccolatino per i bambini. Pagammo anche gli studi per i ragazzi (necessari al futuro della nazione), le medicine e gli interventi chirurgici per bisognosi e i casi più gravi. Dovemmo far fronte anche alla cura di tumori e di altre malattie particolarmente penose, che cominciarono incredibilmente a moltiplicarsi subito dopo la guerra. Insomma, una serie incredibili di incombenze, davanti alle quali la Provvidenza non ci ha mai abbandonati”.
“Quello che più colpisce sono i giovani che, numerosi, vogliono collaborare con noi per la costruzione di un futuro migliore e che per questo non intendono abbandonare la nazione – dice il francescano – Anche la popolazione islamica, con cui abbiamo sempre vissuto in pace, guarda con ammirazione a questo miracolo della solidarietà che si manifesta nella nostra pochezza”.
Al termine padre Ibrahim ha ringraziato la comunità tarantina per la vicinanza alla popolazione di Aleppo, manifestata con aiuti concreti e soprattutto con la preghiera, di cui si constatano i frutti tangibili. (www.corriereditaranto.it).
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