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Francesco Carofiglio e le novelle contro la paura

Francesco Carofiglio Flickr - Evelyn Hill
Pubblicato il 01-04-2020

Un ragazzino, 50 lire e il messaggio eterno

Sulla Gazzetta del Mezzogiorno, una bellissima iniziativa, un modo per «combattere» il virus della paura, pensando a storie, ricordi e fantasie: pubblicare alcuni racconti di autori pugliesi. Dalla finestra di casa nelle giornate con il cielo pulito, al limite delle possibilità dei miei occhi vedo un campanile, dovrebbe essere quello della Chiesa di Modugno, almeno mi pare.

La finestra guarda ad occidente, inquadra via Valdocco con il passaggio a livello di San Giorgio. Il tramonto è molto bello da questa posizione, non ci sono palazzi difronte. La luce del giorno che si spegne però mi fa paura, ogni volta mi intristisco. Il campanile che diventa tremolante per il filtro dell'atmosfera è una sagoma scura colpita alle spalle dai raggi ormai radenti del sole. Il rumore del passaggio dei treni e le proteste dei clacson delle auto in attesa di attraversare i binari mi ricordano che si sono fatte le sette.

Sono un ragazzo di 16 anni, quasi 17, è sabato 29 marzo 1975, non ho voglia di studiare anche se devo recuperare il quattro che ho preso all'interrogazione di Filosofia. Decido quindi di uscire di casa. «Dove vai a quest' ora?» «Esco mamma.» «Come sarebbe a dire esco mamma. Hai finito di studiare? che non so come ti vedo quest' anno. Babbo sta salendo e fra poco si mangia.» «Esco mamma, torno subito.»

Già, torno subito... in realtà non so nemmeno dove e con chi andare. Peppino il mio compagno di banco è stato fatto prigioniero da sua madre per gli stessi motivi, potremmo dire «filosofici»: ha preso quattro anche lui.

E poi abita all'altro capo della città e non mi va di prendere la bicicletta, il rischio che me la arronzino di nuovo è troppo grande e mi scoccia usare catene pesanti. L'aria è buona, fa freschetto ma è piacevole. C'è stato il maestrale e la primavera si sente che è arrivata.

Un passaggio da Piazza Umberto? Può essere, ma che ci faccio senza Peppino che conosce tutti? E poi lì parlano di politica e io ci capisco poco o niente. Mi sento impreparato e per non farmi scoprire dico in giro che mi interessa poco. Ma non potevo nascere a Firenze o che ne so pure a Modena? Invece no, sono nato in via De' Bernardis nel quartiere Libertà e la sola cosa buona è che posso vedere i tramonti con l'aggiunta del passaggio a livello incasinato di macchine. E poi a me non piacciono nemmeno i tramonti.

Nel frattempo sono già arrivato in piazza Garibaldi. Ecco, sono in centro. Ora dove vado? Non credo di avere un solo soldo in tasca quindi niente focaccia, mi sono rimaste tre sigarette «Roy», una l'ho già fumata in via Francesco Crispi. Invece di proseguire per il Corso giro a sinistra per via San Francesco d'Assisi e mi appare imponente il campanile della Cattedrale.

Da noi i campanili sembrano tutti uguali, penso sul momento avendo negli occhi quello di Modugno. Mica come quello di Giotto a Firenze o come la «Ghirlandina» di Modena che mi ricordo com' è perché c'è la foto sull'Argan, il libro di storia dell'arte. Ho fatto bella figura all'interrogazione dell'altro giorno. Mi piace molto la storia dell'arte e dell'architettura e poi ho una professoressa super. A me piace assai nonostante faccia paura a tutti e in classe non vola una mosca.

È buio ormai, Barivecchia è illuminata poco e male, macchine parcheggiate dappertutto e motorini che tipas sano pure da sotto le gambe. Ecco a sinistra il Castello, a destra la pizzeria di Gigino. Cinque ragazzi poco più grandi di me sul parapetto del fossato mangiano la mitica pizza con la sugna. Beati loro, ho fame ma mi devo stare, non ho i soldi per la focaccia, figuriamoci per la pizza. Accendo un'altra sigaretta per far credere che sono grande e mi accorgo che mi sono rimasti due cerini.

Ma sotto sotto Barivecchia com' è? Tutti le danno addosso però a me piace, ci vengo spesso anche se è un casino. Tra l'altro qui non corri il rischio di fare brutti incontri come qualche compagno di classe in giro al centro con la ragazza, io che la ragazza non ce l'ho. Ma non è questo il motivo: mi piace e basta.

Mi piacciono le pietre vecchie, bianche sotto la corazza grigia del tempo, mi piacciono le edicole dei Santi sotto gli archi con i fiori di plastica impolverati, mi piacciono i sottani con gli ingressi lisciati dalla varichina, mi piacciono le musiche napoletane e gli odori di cucinato che escono imperiosi dalle finestre. Non mi dà nemmeno fastidio la puzza acidula che sale dai locali alla strada dove si beve la birra, si fuma e si vendono le sigarette. Ebbene sì mi piace assai ed è una cosa che tengo per me. E poi vuoi mettere la Cattedrale e San Nicola? Le stanno finalmente restaurando. Chissà come sarebbe se fosse tutta rimessa a nuovo!

Sarebbe come l'isolato 49 - ma poi perché lo chiamano così? - che hanno aggiustato da poco e ci hanno messo dentro il Museo che prima stava vicino a San Nicola e c'era pure un aereo con le ali tagliate che chissà che fine ha fatto. Guardo meglio in tasca e trovo 50 lire. Cacchio che fortuna!

Di corsa mi precipito al panificio Fiore prima che chiuda. Attento a non scivolare per il tappeto di pomodori scartati dai bestioni che comprano la focaccia e non si mangiano la parte più buona, entro e con 50 lire risolvo la mia cena. Vabbè che poi a casa mangio di nuovo sennò mia madre mi pianta una pippa. La focaccia di Fiore mi rimette di buonumore, favorito dalla sensazione di primavera che alimenta la tempesta ormonale dei miei diciassette anni. Ho l'ultima una sigaretta, ora l'accendo. Non devo sbagliare perché ho pochi cerini e la carta vetrata della scatola è tutta rovinata. Primo tentativo cilecca, me ne resta uno solo. Striscio, macché, sono rimasto senza. Uffa, mi vergogno a chiedere da accendere alla gente per strada, la mia faccia tradisce i miei anni, capace che mi dicono che a quell'età non si deve fumare. Alzo gli occhi per imprecare e mi accorgo di un particolare che non avevo mai notato prima in quella strada. Sul portale di un palazzo dall'aspetto nobile leggo scolpita nella pietra una frase in latino elementare: POST TENEBRAS SPERO LUCEM. Chissà che storia racconta! … (La Gazzetta del Mezzogiorno)

 

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