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Dov'è l'umanità

Andrea Cova e Andrea Rossi
Pubblicato il 26-06-2024

A Gaza non vengono risparmiate nemmeno le scuole

Da tempo si parla di trattative per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Ogni sforzo diplomatico sembra essere vano. Intanto, mentre chi ha voluto e alimentato questa guerra continua a passarsi la palla delle responsabilità, Gaza è completamente rasa al suolo. Cancellata. Il conteggio di vittime civili nella Striscia cresce di ora in ora: siamo arrivati a quasi 40.000 morti di cui il 70% sono donne e bambini, mentre i feriti si avvicinano ai 90.000. Sono i numeri di una strage. Secondo una stima fatta intorno alla metà del mese di aprile dall’Onu, la massa di detriti nel territorio palestinese è 37 milioni di tonnellate, ovvero 300 chilogrammi al metro quadrato. Molto più che in Ucraina. La Commissione d'inchiesta creata dal Consiglio Onu Diritti Umani, parla di crimini contro l'umanità commessi a Gaza, «di sterminio, persecuzione di genere contro uomini e ragazzi palestinesi, omicidio, trasferimento forzato, tortura e trattamenti inumani e crudeli».
«La bomba è già caduta, chi la prenderà? La prenderanno tutti…», cantava Fabrizio De Andrè nel 1968. La stessa cosa ce l’ha raccontata Suor Nabila Saleh, una delle testimonianze portate ad Assisi sul palco di Con il Cuore, nel nome di Francesco nel corso della serata di solidarietà del 6 giugno scorso. La Scuola del Rosario di Gaza, di cui era direttrice, che ospitava almeno 1300 studenti, tra bambini dell’asilo e della scuola secondaria, non c’è più.
Le aule, gli uffici, i cortili esterni sono ridotti in macerie. Ciò che non è stato bombardato è stato dato alle fiamme. Su tutto campeggia una scritta in inglese: Hamas is responsible you pay the price! (Hamas è responsabile, voi ne pagate il prezzo).

Suor Nabila, di cosa si occupava a Gaza?

Ero la direttrice della Scuola del Rosario. Da noi venivano circa 1300 studenti, tra bambini dell’asilo e della scuola secondaria. La scuola svolgeva un ruolo fondamentale nella comunità, offrendo istruzione e un rifugio sicuro per i bambini.

I bambini come hanno vissuto l'inizio di questa guerra?

Il 7 ottobre 2024 era un sabato mattina ed eravamo in vacanza per la festa del nostro convento, il Santo Rosario, quindi non c’era scuola. Nessuno si aspettava che arrivasse una guerra come questa. Tutte le altre volte è durata sei, sette, dieci giorni. Stavolta ci stiamo avvicinando ad un anno di conflitto, che ha raso al suolo la quasi totalità di Gaza. Questa non è come le altre volte, questa è una guerra vera. È tutto distrutto, tanta gente è fuggita dalle proprie case e dal paese. Non c’è più vita. Neanche nelle scuole, negli ospedali, nelle università. Questa situazione e sta avendo un impatto devastante sui bambini, che vivono il terrore dei bombardamenti e la perdita dei loro cari. Ormai la loro infanzia è stata segnata da traumi che si porteranno dietro per molto tempo.

Anche la vostra scuola è stata colpita dai bombardamenti?

Sì esatto. La scuola è stata praticamente distrutta, rendendo impossibile continuare le lezioni. Questo ha privato i bambini di un luogo di apprendimento sicuro e stabile, aggiungendo ulteriori sfide a una situazione già difficile.

Dopo quanto tempo è stata costretta ad abbandonare Gaza?

Dopo sei mesi. È stata una decisione difficile lasciare la mia comunità e il mio lavoro, ma la situazione era diventata insostenibile. La mia partenza è stata segnata dalla tristezza per aver lasciato dietro di me una terra martoriata e una comunità in grande bisogno.

Com’è riuscita ad uscire dal paese?

Con un gruppo di cristiani della chiesa dove mi trovavo che hanno deciso di partire perché non c’era più niente. Hanno pensato ai bambini perché la scuola non c’era più. Nell’incertezza di sapere cosa sarebbe potuto accadere, hanno preferito partire anche perché dopo la ricostruzione nessuno sa quando si potrà tornerà alla vita normale. Così ho deciso di andare con loro. Ci abbiamo messo due giorni di viaggio per arrivare al Cairo.

È riuscita a rimanere in contatto con chi vive ancora nella Striscia?

Certo, parlo con le persone che sono rimaste a Gaza ogni giorno per sapere come stanno. Mi hanno raccontato che uno dei momenti più significativi degli ultimi tempi è stata la visita del patriarca Pizzaballa. Un gesto molto importante per i cristiani che sono restati.

Ci racconta di quando era ancora a Gaza?

Tutti i cristiani della Striscia si sono rifugiati nelle chiese di San Paolo e della Santa Famiglia. Io ero nella chiesa latina con le nostre sorelle e altre 630 persone. I cristiani a Gaza sono una piccola comunità di poco più di mille persone. Non siamo in tanti. Sono stati giorni terribili perché a causa dei bombardamenti non c’era elettricità, tante volte nemmeno acqua né cibo da comprare perché nei supermercati non era rimasto nulla. Erano giorni terribili. Vivevamo nell'incertezza del domani, senza sapere se sopravviveremo al prossimo attacco o se avremo abbastanza cibo per sfamare le nostre famiglie. Ricordo che prima del Natale, siamo stati avvisati che i carri armati stavano entrando nel quartiere di Dayton, dove eravamo sfollati nella parrocchia della Santa Famiglia e altri cristiani nella parrocchia di San Profes. C'erano soldati e cecchini nelle case dietro di noi. Un giovane ha visto i cecchini e ha cercato di avvisare la gente di non andare ai bagni, ma non c'era linea telefonica. Una mamma è andata al bagno senza sapere del pericolo e la figlia l'ha seguita pensando fosse caduta. Entrambe sono state uccise a sangue freddo dai cecchini. Questo è stato un momento terrificante per tutti noi.

Quali sono le necessità più urgenti per le persone che sono rimaste a Gaza?

Quelle essenziali, specialmente acqua e cibo. Tutti chiedono solo ciò che serve per sopravvivere. Gaza è diventata un vero inferno. Le persone sono costrette a cibarsi del mangime per cani pur di non morire di fame; e i cani mangiano i cadaveri per strada. Quando si arriva a questo punto non c’è più niente di umano nelle donne e negli uomini. L’umanità è cancellata.

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