Covid, il pellegrinaggio ad Assisi di un barista romano
Marco Pittalis in cammino per 107 chilometri sulla via di San Francesco
L’aveva promesso nei mesi più brutti della pandemia. «Se riesco a non chiudere, andrò in pellegrinaggio, da solo, sulla via di San Francesco. Lo devo al grande affetto dei clienti, che non mi hanno mai abbandonato». Un fioretto che è diventato realtà. Marco Pittalis, 53 anni, titolare del bar-bistrot di viale Glorioso, a Trastevere, era partito all’alba di venerdì scorso dal bed&breakfast che aveva prenotato a Città di Castello. Uscito dal piccolo centro umbro, aveva infilato la via di San Francesco in direzione di Assisi. Una camminata-ringraziamento che, dopo tre giorni di fatica, è ormai vicina al traguardo: l’arrivo alla basilica di San Francesco è programmato per le 18 di lunedì 27 giugno, in tempo per la messa.
Calzoncini corti, borraccia alla cintura, cappellino para-sole e ampia scorta di magliette di ricambio e pomate anti-vesciche nello zaino. Le tre notti Marco le ha trascorse in altrettanti ostelli o strutture religiose. In un foglietto ha appuntato il ruolino di marcia lungo il sentiero un tempo percorso dal Poverello di Assisi. Prima tappa, venerdì 25 giugno: Città di Castello-Pietralunga, km 29.5, “impegnativa”, 9 ore. Seconda: Pietralunga-Gubbio, km 26.100, media 9 ore. Terza: Gubbio-Valfabrica, km 38, “molto impegnativa”, “da vedere eremo di San Pietro”, con l’ulteriore notazione che “in vigneto manca acqua”. Infine, lunedì 27 giugno, Valfabrica-Assisi, km 13.5, “facile”.
Per l’esattezza 107 chilometri a piedi: una bella sfida per uno che al massimo nella vita ha percorso (seppure infinite volte!) il tragitto dalla macchina del caffè ai tavolini. «Mi sono equipaggiato anche nell’evenienza di brutti incontri, cinghiali o altri animali selvatici: ho con me un manganello. Ma sta andando tutto bene», ha raccontato Marco Pittalis sabato sera, prima di mettersi a letto presto, in vista della penultima tappa. L’idea del fioretto post-Covid gli era venuta lo scorso anno. «I mesi del lockdown tra marzo e maggio 2020 sono stati i più brutti. Io andavo ugualmente al lavoro, nonostante dovessi tenere la saracinesca abbassata, per buttare i cibi in scadenza, fare l’inventario, mettere in ordine la dispensa. Mi sedevo all’interno, con la testa tra le mani. Mi mancavano il contatto con i clienti, la frenesia, le chiacchiere e le risate di tutti i giorni...»
Il baretto si trova nella strada dove abitò Sergio Leone (ricordato da una targa ai piedi della scalinata di viale Glorioso) e oggi è frequentato da altri due registi, Francesco Bruni e Gianni Di Gregorio. E sono stati proprio gli habitués, nel vederlo giù di corda, a far correre voce. «Ragazzi, appena Marco riapre tutti a pranzo da lui...» Solidarietà istintiva in un rione come Trastevere, dove tutti sanno tutto di tutti. Ma la molla per la camminata fino ad Assisi era stata un’altra. «Una mattina, mentre ero in magazzino, ho sentito un po’ di confusione fuori, in strada. Era appena arrivata un’ambulanza che aveva riportato a casa un anziano guarito dal Covid, che doveva fare la quarantena. È stata questa persona a chiedermi se potevo portargli la spesa. Pane, latte, prosciutto... Così in pratica ho cambiato lavoro, mi sono messo a fare il fattorino: i clienti impossibilitati a muoversi hanno iniziato a chiamarmi con regolarità per i generi alimentari, l’acqua, un termometro, la tachipirina...»
Il Covid come fattore di coesione sociale, di amicizia. «E’ successo così che una situazione tanto angosciante si è trasformata in un’esperienza bella, di crescita. Questa marcia-fioretto mi è venuta in mente quando ho capito che dal Covid potevamo uscire - conclude il barista - e vuole essere un omaggio a chi purtroppo non c’è più, un ringraziamento ai miei amici clienti e soprattutto un messaggio di fiducia. Non abbattiamoci nelle situazioni di crisi, prima o poi il sole torna a splendere». (Corriere della Sera)
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