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Così aiuto i messicani a raggiungere gli States sfidando i trafficanti

Redazione online Flickr - Eneas De Troya
Pubblicato il 11-05-2017

Sulla testa di padre Alejandro Solalinde una taglia di 1 milione: I narcos mi vorrebbero morto, ma vado avanti

I narcos gliel'hanno giurata: sulla sua testa pende una taglia di 1 milione di dollari. «Mi vogliono morto, ma io non ho paura». Lo dice - sorridendo di gusto - padre Alejandro Solalinde, 72enne prete messicano, fondatore, dieci anni fa, di “Hermanos en el Camino” (“Fratelli sulla strada”), centro di aiuto per i migranti diretti negli Stati Uniti. A loro - mezzo milione all'anno di “indocumentados” (“senza documenti”) che dal Centroamerica tentano di raggiungere un futuro migliore - dedica la sua vita, offrendo un pezzo di pane e un posto sicuro lontano dalle bande criminali che li sfruttano e sottopongono a violenze, stupri, torture, arruolamento forzato, traffico di organi, mercato della prostituzione. Solalinde li protegge anche denunciando i narcotrafficanti, «le connivenze della politica» e «delle istituzioni», la corruzione della polizia.



Quando e come è nato il suo impegno? 

«Un giorno d’autunno del 2005. Stavo passando nei pressi dei binari nella città di Ixtepec e li ho visti, i migranti. Erano sporchi, affamati, disperati. Quella scena mi ha sconvolto. Mi sono chiesto: “Chi si occupa di loro?”. Ho cominciato ad avvicinarmi, a conoscerli e a servirli. Erano appena arrivati con “la Bestia”». 



La Bestia? Che cos’è? 

«Il treno che trasporta le merci dal Sud al Nord del Messico, per un tratto di 4 mila chilometri. Nel Paese, in pratica, non esiste trasporto passeggeri su rotaia, perciò per raggiungere il confine Nord i migranti irregolari devono arrampicarsi sulla “Bestia”. Viaggiano sul tetto del treno, per questo sempre di più arrivano con arti amputati. E nelle pause del viaggio, spesso spariscono».



In che senso? 

«Sequestrati, da parte di gruppi criminali. 20 mila rapiti ogni anno. Compresi bambini. Cominciarono senza che ce ne accorgessimo. Tutto era molto confuso. Mi misi, dunque, a indagare».



E che cosa scoprì? 

«Riuscimmo a ricostruire la “macchina dei sequestri”: chi li prendeva, dove li portava, chi aiutava i narcos, ovvero la polizia municipale». 



La polizia? 

«Le racconto questo: il 10 gennaio 2007 dodici guatemaltechi furono portati via con la forza. Qualcuno, però, scampò al rapimento e seguì i sequestratori. Ce lo segnalò e andammo. Trovammo gli zaini dei migranti. Avremmo potuto incastrarli con questa e altre prove».



E invece? 

«Arrivò la polizia. In teoria avrebbe dovuto darci una mano. Tutt’altro! Ci arrestarono, e fecero scappare i responsabili. Fino a quel momento, non avevo capito che enorme cloaca stessi scoperchiando. Un giro di soldi, corruzione, complicità, silenzi».

I narcos sono famosi per la loro potenza feroce: si è chiesto come fa a essere ancora vivo? 

«Il crimine organizzato non agisce solo. Gode di complicità politiche. I trafficanti non si farebbero troppi problemi a premere il grilletto contro un prete. I politici loro amici, però, non vogliono uno scandalo». 



 

Come vive con una taglia sulla testa? 

«Con grande pace. Non sono uno paranoico, perché so che la mia vita non è nelle mani del crimine organizzato, né dei politici corrotti, ma nelle mani di Dio. Poi, ricevo anche molte dimostrazioni di affetto e solidarietà. E l’amore è più forte della paura».



Le politiche migratorie di Donald Trump che effetti potranno avere? 

«Un cambiamento positivo. Sì, non sto scherzando. Perché si sta generando una forza opposta. Mai come ora infatti si sta diffondendo negli Stati Uniti - e nel mondo - una reazione di difesa così determinata a favore di chi emigra. Quindi, Trump ci sta “aiutando”».



Il tema migranti è molto caro a Papa Francesco: che cosa pensa del Pontefice argentino? 

«È un gigante, perché sta attuando iniziative eroiche: combattere la corruzione, la ricerca di soldi e potere nella Chiesa, a cominciare dalle gerarchie, per tornare alla via semplice del Vangelo. E ci sta parlando con il suo esempio, evitando i lussi; ci sta dicendo che la Chiesa dev’essere povera e “in uscita” verso i più bisognosi, gli scartati. Tra i quali, in particolare, i migranti».

(Domenico Agasso – Vatican Insider - ha collaborato Pablo Lombó Mulliert) 



Questo articolo è stato pubblicato nell'edizione odierna (11 maggio) del quotidiano La Stampa. 

Alejandro Solalinde sabato 13 maggio presenterà al festival “Vicino/lontano” di Udine (11-14 maggio, www.vicinolontano.it) il libro scritto con Lucia Capuzzi, “ I narcos mi vogliono morto. Messico, un prete contro i trafficanti di uomini” (Emi, pagine 160, €15), con prefazione di don Luigi Ciotti. Domenica interverrà, con Cécile Kyenge e Loris de Filippi, a un dibattito sull’immigrazione.

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