Chi ha colpito in Nuova Zelanda non lo ha fatto in nome di Dio
“Preghiamo in silenzio per i nostri fratelli musulmani uccisi in Nuova Zelanda...” , queste le parole di Papa Francesco. Sono bastati pochi secondi per segnare il confine tra chi opera per costruire il ponte della pace e chi innalza i muri dell’odio e del razzismo.
I musulmani sono “I nostri fratelli” uccisi da chi disprezza differenze e diversità e vorrebbe imporre la supremazia di una razza, di un colore della pelle, di una oligarchia che vuole tenere sotto il suo tallone milioni e milioni di esseri umani, considerati degli scarti da buttare nel più vicino cestino dei rifiuti, per utilizzare parole più volte pronunciate da Francesco.
Chi ha colpito in Nuova Zelanda non lo ha fatto in nome di Dio, ma nel disprezzo e nella bestemmia di credenti e non credenti uniti dal rispetto per la dignità umana.
Chi ha colpito ha bisogno della guerra e del terrore per alimentare ideologie fondate sulla esclusione, sulla cancellazione delle diversità, sull’annientamento della persona, le stesse che hanno alimentato i totalitarismi del novecento e hanno spalancato le porte ai campi di concentramento e ai forni crematori.
Dietro di loro si muove, nell’oscurità, chi ha interesse a vendere le armi, ad accendere i focolai di guerra e di terrore, a facilitare il commercio dei nuovi schiavi. I “Signori della paura” hanno bisogno dell’odio per conquistare consensi ed alimentare i profitti.
La migliore risposta agli assassini l’ha data il Papa con la preghiera per i “Fratelli musulmani” e con lui gli islamici che hanno pregato insieme ai “Fratelli cristiani”, e la comunità ebraica della Nuova Zelanda che ha aperto le sinagoghe ai “Fratelli che pregano Allah”.
Non saranno le pistole e le bombe a mettere in sicurezza il pianeta, ma solo e soltanto chi saprà usare le pietre non per colpire il nemico, ma per realizzare il “Ponte della fratellanza”.
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