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Che ne dici di tornare a pensare?

Lucia Esprosito Il Melangolo
Pubblicato il 27-04-2020

Il nuovo modo di comunicare non è in sé un male

Che ne dici di tornare a pensare? La domanda che dà il titolo al libro (Il Melangolo, 137 pagg., 10 euro) sembra un invito ma è un' esortazione. Quasi una sfida. L'autore, Gianluca Galotta, è un professore di filosofia, ma non immaginate un uomo avulso dalla realtà e rinchiuso nel mondo delle idee: Galotta non condanna i social network, non critica l'uso delle emoticon, non inorridisce davanti ai "PowerPoint" che oggi la scuola propina fin dalle elementari: interi secoli di storia sintetizzati in pochi punti o l'evoluzione della nostra specie mostrata attraverso le immagini, dagli australopitechi all' homo sapiens.

Il fatto che gli strumenti con cui comunichiamo ci cambiano profondamente non è una novità. Socrate, più di duemila anni fa, nel Fedro, dialogo scritto dal suo discepolo Platone, critica l' alfabeto e in generale il discorso scritto perché «esso ingenererà oblìo nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto, richiameranno le cose alla mente non più dall' interno di se stessi ma dal di fuori, attraverso segni estranei».

Il filosofo greco era convinto che il testo scritto avrebbe ridotto, se non annullato, la nostra memoria. E chissà che cosa direbbe oggi: non ricordiamo più neanche il nostro numero di telefono perché c' è la rubrica del telefono che memorizza tutto e, grazie ai social e ai cellulari, ci esprimiamo attraverso faccine che strizzano occhi o spediscono baci, mandiamo pollici alti per dire che siamo d' accordo e, davanti a brutte notizie, rispondiamo con una faccina che lacrima. senza voti né giudizi.

Ma - e su questo punto Galotta insiste - il nuovo modo di comunicare non è in sé un male: «Grazie ai social abbiamo imparato a sintetizzare tutto perché più siamo brevi e più siamo letti, sappiamo usare immagini per esprimere concetti complessi e condensare pensieri in slogan, ma non sappiamo più pensare. Siamo giunti all' homo brevis, sacerdote della brevità ma carente dal punto di vista riflessivo».

Ecco, allora, la sfida che il professore lancia: percorrere la strada inversa, partire da un aforisma e, come quando si tira un sasso nell' acqua e si formano cerchi sempre più grandi, espandere il nostro pensiero. «L'aforisma è il genere letterario più adatto. Infatti nel saggio, nel romanzo filosofico, nella dissertazione, l'argomentazione è già molto ampia mentre noi dobbiamo esercitare la nostra capacità di estendere la riflessione partendo proprio da ciò che è stringato per rovesciare, almeno ogni tanto, la logica dei moderni strumenti di comunicazione». Il suo libro è anche un eserciziario (ma non ci sono voti, né giudizi) suddiviso in venticinque capitoli: ciascuno propone una massima inventata dal professore e, a seguire, due o tre pagine di spiegazione che lui stesso dà.

«Il lettore può provare ad argomentare la massima o limitarsi a leggere il mio pensiero. Può anche confutarla, l'importante è che motivi il suo disaccordo, che elabori dei pensieri». Qualche esempio. Come si può spiegare l'aforisma: "Nell' ordinario si pensa, nello straordinario si prega"? Il prof espone la sua idea in quattro pagine, e voi? Provate a immaginare prima di tutto se siete d' accordo. E se sì, elencatene i motivi. Se non condividete non liquidate la massima con un semplice e comodo: «Non sono d' accordo», ma provate a dire che cosa non vi convince, se la prima o la seconda parte dell' affermazione o se ritenete infondate e indimostrabili entrambe. Insomma, sforzatevi e ragionate.

Galotta propone massime che abbracciano tutti gli argomenti. Non avete, quindi, la scusa che i temi trattati non sono di vostro interesse. E non pensate che il libro sia rivolto a una ristretta cerchia di pensatori: è per tutti quelli che, ad ogni età, vogliono spostare il proprio cervello dalla zona di comfort garantita da una comunicazione fatta di segni, sigle e abbreviazioni.

«Quando leggiamo su Facebook o su Twitter qualcosa che approviamo ce la caviamo con un "like", ma quando non si condivide un'opinione si preferisce insultare, vomitare addosso all' altro la propria rabbia e raramente si precisano le ragioni del disaccordo». Questo libro tira fuori il nostro cervello dal mare calmo dei "sì", dei "no" e dei "certo" e lo butta nella tempesta delle domande che cercano risposte.(Libero)

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