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Cardinale Sepe: 'Niente dovrà essere più come prima'

Marco Mancini Ansa.it
Pubblicato il 10-12-2020

Il Discorso alla Città pronunciato dall'Arcivescovo di Napoli

“Cambiare la situazione non può essere frutto solamente di progetti e sforzi umani. Le angosce della nostra esistenza sono troppo profonde per essere guarite dai soli espedienti umani. Deve intervenire una gratuita iniziativa di Dio”. Lo ha detto il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, nel discorso alla Città pronunciato ieri nella Messa dell’Immacolata nella Chiesa del Gesù Nuovo.

Da quando questo virus – ha osservato il porporato – si è abbattuto sull’umanità intera, seminando panico, sofferenze e morte, sentiamo spesso dire che niente sarà più come prima. Ma è vero che niente è più come prima? Con tutti questi sacrifici, dolori, disagi e sofferenze che stiamo vivendo abbiamo imparato ad essere un po’ fratelli tutti, secondo l’invito di Papa Francesco? Ancora registriamo atteggiamenti di insofferenza, di intolleranza, di indifferenza, di delinquenza, di illegalità e, talvolta, anche di offesa alla persona e di odio”.

Secondo il Cardinale Sepe “per alcuni continua a prevalere l’io, mentre il virus, livellando tutti, ci invita a unirci, a sentirci noi, ad affratellarci nella condivisione del pericolo e nella ricerca di una indispensabile sinergia senza la quale non c’è vaccino che tenga, non c’è ospedale che ci accolga e ci salvi, non c’è futuro per nessuno. Il virus ci sta facendo capire che siamo persone fragili e inconsistenti, per cui continua a seminare terrore e dolore, continua a farci contare decine e centinaia di morti ogni giorno”.

Se le prescrizioni date – ha detto ancora il porporato – debbono essere osservate da ciascuno di noi, coloro che hanno responsabilità di governo della comunità sono tenuti a unire le forze, a trovare le giuste intese e a operare per il bene comune, collaborando e integrandosi nella ricerca delle soluzioni possibili e dei provvedimenti necessari per il soddisfacimento dei diritti di ciascun individuo e di tutti. Del resto, si deve tutelare principalmente la salute di ciascuna persona,  ma si è anche obbligati ad assicurare a tutti lavoro e reddito, che sono le pre-condizioni di una vita possibile e dignitosa. Il rischio reale è che, se non si muore di virus, si muore di miseria e di fame”.

“Riflettiamo seriamente – ha concluso l’Arcivescovo di Napoli – su quel niente sarà più come prima e diciamo con coraggio che niente dovrà essere più come prima, sentendoci più comunità, facendo spazio a una maggiore solidarietà, rispettandoci e stringendoci le mani per porci insieme a servizio del bene di tutti. E allora, ciascuno di noi, per la sua parte e in ragione del proprio ruolo e dei propri doveri, si adoperi perché la pandemia porti un cambiamento reale, una trasformazione del nostro sentire, una concretezza nell’agire e nell’esercizio del potere come nel governo della comunità. Dimostriamo che la sofferenza e il dolore, unitamente ai sacrifici e ai disagi, ci hanno resi diversi, uomini veri, più responsabili, più pronti a intercettare e, per quanto possibile, a soddisfare i bisogni e i diritti degli altri; a capire lo stato d’animo di chi è costretto a chiedere aiuto.  Allora, anche le morti, che abbiamo pianto con tanto dolore, diventeranno generatrici di vita nuova in ciascuno di noi e nella intera comunità, perché si potranno avere più salute, più lavoro, più bene comune, più giustizia e più pace”. (AciStampa)

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