C’è un Dio fai-da-te nell’orizzonte giovanile. Gli under30 alla ricerca di testimoni credibili del Vangelo?
Su cento giovani italiani la metà circa si dichiara genericamente “cattolico”. Di questi, solo un quarto afferma di frequentare la messa domenicale: siamo, numero più numero meno, al 12-13% del totale degli under30. I dati – contenuti nella pubblicazione “Dio a modo mio” a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi, correlata al più ampio Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo – confermano una percezione diffusa: le nuove generazioni vivono la fede con una sensibilità assolutamente personale, una pratica poco “comunitaria”, e si pongono rispetto alla Chiesa cattolica con atteggiamento piuttosto “secolarizzato”.
Oltre i numeri. I giovani che si dicono “credenti nella religione cattolica” sono il 51% (quattro anni fa erano il 55%). Circa il 15% afferma di essere “ateo”, il 7% si dichiara “agnostico”. Ai ricercatori, i giovani hanno raccontato il percorso di iniziazione cristiana, “mettendo in luce soprattutto la sua obbligatorietà”; frequentare il “catechismo” ha significato per molti l’apprendimento di regole e principi; diffusa, in tal senso, la critica al “catechismo” come “trasmissione di un sapere codificato” e di “una serie di regole da seguire”.
Eppure parrocchia e oratorio sono luoghi “di cui spesso si ha un buon ricordo”, dove, assieme ai coetanei era possibile la costruzione di un gruppo di amici con cui crescere.
Fondamentale, chiarisce “Dio a modo mio”, la figura del sacerdote che segue i ragazzi: può diventare determinante nella scelta di rimanere nella comunità. L’eventuale distacco dalla parrocchia e dalla pratica religiosa si colloca mediamente attorno all’adolescenza, tra i 13 e i 16 anni (diverso il caso in cui la famiglia vive nel suo insieme una fede limpida e coerente, che può spingere anche i ragazzi a una “appartenenza” cristiana). Intorno ai 25 anni è però possibile (e non raro) un “ripensamento” attorno alla fede e dunque un ritorno gioioso e sollecito alla comunità religiosa.
Attenzione critica. Nel complesso emerge un atteggiamento nei confronti della Chiesa abbastanza “critico”. È stato chiesto ai giovani – spiega “Dio a modo mio” – di dare un voto da 1 a 10 al loro grado di fiducia nella Chiesa; il voto medio ottenuto è 4 (non stanno meglio altre istituzioni e mondi frequentati dai giovani). La fede dei Millennial, quando la lampada è mantenuta accesa, si fonda peraltro su una modesta conoscenza della Bibbia e di Gesù; si interroga sulla “utilità” o “necessità” della Chiesa quale “tramite” tra Dio e l’uomo; fatica a comprendere il linguaggio della Chiesa ma ricerca spazi di spiritualità; e ama – questo è un elemento generalizzato – Papa Francesco.
Gli under30 non sono ostili alla comunità cristiana, semmai – è convinzione degli studiosi – la sentono “estranea”. Gesù tra le quinte? La ricerca mette in luce una fede giovanile in cui sembra prevalere il rapporto diretto con Dio, ma spesso è un Dio fai-da-te, un Dio “generico”, “personalizzato”, tanto che quando i giovani che si professano cattolici sono chiamati a parlare della propria fede, il riferimento a Gesù Cristo è raro, inconsueto. Il Dio incarnato, entrato nella storia dell’umanità, rischia di essere relegato tra le quinte. Nonostante ciò, i dati “qualitativi” dell’indagine evidenziano una ricerca di fondo, una certa apertura al trascendente. Forse perché chi crede ha sempre una speranza.
Percorsi e linguaggi. Dio, dunque, non manca nell’orizzonte giovanile; il Papa è un punto di riferimento credibile per la grande maggioranza dei ragazzi; alcune relazioni con educatori o sacerdoti segnano in positivo la vita di un buon numero di giovani. Accanto ai quali la comunità cristiana può porsi in ascolto, con l’impegno di comprendere e accompagnare.
Forse i giovani chiedono agli adulti, sintetizza “Dio a modo mio”, di rispettare i loro percorsi, “anche se tortuosi e non standard”, di “offrire loro criteri di scelta più che norme da seguire”, di essere – prima di tutto – testimoni credibili del Vangelo. Non di meno è possibile pensare e costruire “percorsi formativi innovativi e coraggiosi”, utilizzando magari linguaggi e strumenti che tocchino le corde – sensibilissime – delle nuove generazioni. (Gianni Borsa - Agensir)
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