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Bisogno di amare ed essere amati, intervista a don Davide Banzato

Milena Gentili
Pubblicato il 30-11--0001

Tra le realtà che fronteggiano il disagio sociale c’è la comunità Nuovi Orizzonti. Abbiamo contattato don Davide Banzato, sacerdote della comunità, che ci ha descritto la realtà che ogni giorno si trova davanti. Anche due ragazzi, Alessandro e Danilo, ci hanno raccontato la loro esperienza.



Nuovi Orizzonti. Un nome che già di per sé offre speranza e una via di uscita alle tante situazioni di disagio sociale. 

L’orizzonte è il punto di incontro tra la terra e il cielo. Il nome effettivamente spiega la mission della comunità: portare la gioia a chi ha perso la speranza, dischiudere nuovi orizzonti a chi vive situazioni di profondo disagio. Dai primi anni ’90, in cui la fondatrice, Chiara Amirante, è andata in strada da sola di notte alla Stazione Termini di allora, per ascoltare il grido di tanti giovani vittime di dipendenze, prostituzione, violenza, si è sviluppata nel tempo una realtà molto articolata che opera ad ampio raggio nella prevenzione, nell’accoglienza, nell’evangelizzazione di strada, nella cooperazione internazionale e in tanti altri ambiti come la comunicazione o l’arte e lo spettacolo, custodendo la scintilla iniziale: “portare l’amore a chi non ha conosciuto l’amore, la luce a chi vive nelle tenebre, la vita a chi è nella morte, la pace e l’unità là dove c’è angoscia e divisione, il paradiso della comunione con Dio a chi vive nell’inferno del peccato” (Statuti Generali Art. 4). Non a caso il carisma specifico è portare la gioia di Cristo ponendo una particolare attenzione al mistero della discesa agli inferi di Gesù e alla sua Risurrezione.



Secondo lei, le persone che aiutate è possibile che siano solo la punta di un iceberg? Che ci sia una “base" molto più ampia che, per motivi di vario genere, non emerge?

Non ho dubbi che sia esattamente così. Il rapporto Caritas 2016 su povertà ed esclusione sociale rivela che i “nuovi poveri” sono i giovani. La crisi del lavoro che perdura da anni ha penalizzato, non solo gli adulti rimasti senza impiego, ma soprattutto i giovanie giovanissimi. A questa povertà materiale si aggiunge una diffusa povertà di valori e la mancanza di punti di riferimento che lasciano campo libero a molteplici problematiche di disagio sociale. In particolare, sempre più giovani e in età sempre più precoce accedono all’uso di sostanze stupefacenti. I più recenti dati statistici tratti dalla Relazione Annuale al Parlamento 2015 del Dipartimento Politiche Antidroga rilevano un abbassamento dell’età e un incremento dell’uso di sostanze stupefacenti e alcoliche tra i giovani; inoltre si diffondono sempre più nuove dipendenze. In Italia, l’80% dei giovani sono vittime delle nuove forme di disagio: abuso di sostanze stupefacenti e di alcool, dipendenza dal gioco, da internet, bulimia, anoressia, abusi nella sessualità. Potrei portare diverse statistiche più dettagliate ma, secondo la nostra esperienza, si rivelano sempre al di sotto di quanto riscontriamo in prima linea sia in strada, sia nei luoghi di aggregazione, sia nelle scuole, sia nei centri di ascolto e accoglienza.



Il disagio sociale nasce da quelle che, forse impropriamente, vengono definite “dipendenze moderne”. A pensarci bene, magari in forme e mezzi differenti sono sempre esistite. Forse oggi sono di più facile diffusione? Perché? Quanto il consumismo può avere influito?

Se da una parte è vero che le dipendenze sono sempre esistite, dall’altra è anche vero che la realtà che caratterizza la società odierna non è mai stata così devastante. Prima il disagio era limitato ad alcune aree geografiche. Oggi è ovunque, in qualsiasi città o paesino. In internet si può trovare di tutto e si può conoscere tutto pur rimanendo in una grave disinformazione, anzi sottovalutando la reale possibilità di mettere a rischio la propria vita. Fino a pochi anni fa erano fenomeni circoscritti a persone “sfortunate” cresciute in una borgata o in una zona difficile e povera. Oggi il problema è invece trasversale, tocca persone di qualsiasi ceto e professione. Per assurdo è più semplice intervenire con il “ragazzo di borgata” e di strada, perché ha l’umiltà di chiedere aiuto avendo toccato il fondo ed è consapevole di dove si trova, mentre è più difficile con chi pensa di non essere drogato “perché non si buca” e può smettere quando vuole. Pochi anni fa, le droghe erano poche e tratte da elementi naturali, certamente sempre devastanti e letali, però non toglievano alla persona la capacità di ragionare. Oggi le droghe sono tante, diversissime, sintetiche; creano danni cerebrali e psichici irreparabili tanto che i ragazzi vengono tutti catalogati di “doppia diagnosi” perchè oltre alla dipendenza fisica dalla sostanza la persona manifesta un irreparabile disturbo psichiatrico dovuto al consumo. Mi sono limitato a parlare solo della tossicodipendenza. Ma per ogni problematica potremo fotografare un degrado crescente. Sicuramente il consumismo, la globalizzazione e le nuove tecnologie hanno contribuito ad alimentare diffusamente il disagio sociale. Ma queste non sono le uniche cause. Come diceva Giovanni Paolo II, dinnanzi alle “strutture di peccato”, frutto di tante scelte libere, consapevoli e responsabili di male, ci si oppone solo con altrettante scelte di bene per creare “strutture di bene”. Si deve puntare alla persona singola e fare rete.



Oggi quali sono le patologie più diffuse e di cui vi occupate maggiormente? Da quale è più difficile uscire?

Sono tante e diverse, spesso anche trasversali. Le problematiche più palesi sono solo la punta dell’iceberg di un disagio molto più profondo e diffuso. Si può chiamare anoressia, alcolismo, tossicodipendenza, sesso dipendenza, ludopatia, internet addiction (social dipendenza), shopping compulsivo… ma sotto c’è sempre un bisogno più profondo inascoltato o mal soddisfatto: il bisogno di amare ed essere amati. Tutti cerchiamo la felicità. Il problema è quali risposte troviamo o ci diamo per essere felici. Spesso si ricorre a palliativi che ci rendono più infelici e creano dipendenze mortali. Inoltre non diamo ascolto alla parte più profonda di noi, a quella parte spirituale che ci caratterizza e ci rende unici. Non a caso il percorso che Chiara Amirante ha ideato si chiama: “Arte di Amare. Corso di conoscenza di sé e guarigione del cuore”. Innanzitutto è un corso basato sul Vangelo perché solo Colui che è l’Amore può insegnarci ad amare veramente e in modo pieno e perché solo Colui che fascia le “piaghe dei cuori spezzati” può guarire le ferite profonde del cuore. Per cui si punta sì a smascherare tutti gli atteggiamenti non sani e le cause che ci hanno portato a sbagliare, ma soprattutto a riscoprire la “meraviglia stupenda” e “il prodigio” che siamo prendendo contatto con l’io ideale costruito per difenderci dal dolore, l’io reale e il sé spirituale che ci caratterizza.

Le persone che aiutate sono tutti ragazzi o abbracciate più generazioni? Le dipendenze non conoscono età.

Abbiamo diverse tipologie di intervento e dunque anche di destinatari. Non per tutto siamo attrezzati e per questo si collabora anche in rete con altre valide realtà educative e formative. Sicuramente per quanto riguarda la tossicodipendenza, l’alcolismo e le nuove dipendenze nei centri di ascolto, nei centri residenziali o diurni arrivano persone di tutte le età. Alcuni ragazzi vengono portati dai genitori, altri si presentano da soli, altri ancora arrivano dal carcere scontando in comunità la pena alternativa al carcere. Esistono anche i Gruppi di Cavalieri della Luce che operano nelle strade in tutta Italia con gli “angeli nella notte” che vanno nelle “zone calde”, i “Micors” che si fanno portatori di un abbraccio in carcere, negli ospedali, nelle stazioni e nelle zone di degrado; in Brasile ci sono i centri di accoglienza dei bambini di strada, vittime della prostituzione e schiavitù; in Bosnia Erzegovina l’attivazione di aiuti umanitari per anziani e nuclei familiari poveri, conseguenza drammatica della guerra fratricida che si è consumata nei Balcani. Stiamo lavorando molto anche in ordine alla prevenzione andando nelle scuole e portando testimonianze di giovani che, caduti in queste piovre mortali sono rinati grazie al nuovo cammino di vita.



Come si esce da una dipendenza? Offrite dei valori “in alternativa”? È possibile che qualcuno non ne esca mai?

Si tratta di riprendere in mano la propria vita. Chiara Amirante nel libro Il prodigio che è in te fa l’esempio di un’esperienza che mi ha visto protagonista con il windsurf. Affascinato da chi lo usava librandosi sull’acqua ho provato anch’io, ma senza voler chiedere consiglio a nessuno e ho passato una giornata a prendere botte sulle ginocchia facendomi notevolmente male. Quando finalmente sono riuscito a stare in piedi e far gonfiare la vela, mi sono ritrovato a dover chiamare i soccorsi in alto mare perché non sapevo girarmi. Quell’esperienza mi è servita, perché poi ho preso lezioni e sono riuscito a surfare con grande gioia. Ma proprio come Chiara ha scritto: bisogna avere un bravo maestro che ti spieghi le tecniche giuste perché la vela della propria vita possa gonfiarsi e si riesca a condurla dove si vuole riuscendo a non cadere quando il vento cambia, ma anzi a sfruttarlo e a rialzarsi quando si cade. Si tratta di un percorso che non si limita al “pronto soccorso” necessario nella prima fase, ma che si apre a un cammino che dura tutta la vita. Non si tratta neppure di semplici “valori” da innestare, ma da scoprire dentro di sé per “tornare ad essere consapevoli della scintilla divina che è in noi e per scoprire i mezzi che ci aiutano ad essere di nuovo irradiati dalla sua luce”.

Tutti possono uscire dalle proprie trappole e dal proprio disagio! Tutti possono se si impegnano con perseveranza e serietà. È dura sicuramente. Ma il risultato finale supera di gran lunga ogni aspettativa.



Come potervi contattare?

Abbiamo un sito istituzionale www.nuoviorizzonti.org  con un’area preposta per i contatti e le richieste di aiuto; inoltre è attivo un servizio nel sito www.informa.me  attraverso il quale inserendo la propria provincia si può ricevere la mappa di ciò che è attivo nella propria regione per partecipare alle equipe di servizio o frequentare il percorso “Arte di amare”.

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