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Avere pace per dare pace di Giorgio Mulè

Giorgio Mulè ANSA - SHEHAB AMED/ARCHIVIO
Pubblicato il 09-01-2018

La nostra vocazione e dunque la vocazione dell’uomo, per dirla con Francesco, deve essere quella di richiamare gli smarriti

Ritornare a Francesco, avere il coraggio di incamminarsi sulle strade impervie della nostra quotidianità e sfidare le convenzioni: avere pace per dare pace. La più grande sfida alla quale è chiamato l’uomo in terra è proprio questa: darsi pace con la coerenza dei comportamenti e con la rinuncia all’egoismo.

Troppe volte si invoca la pace, per ricucire uno strappo in famiglia o per ricomporre le grandi fratture del mondo, senza avere compreso che nulla può avvenire se non c’è pace dentro di noi. Francesco non saluta invocando il Signore, ma sollecita l’uomo a essere in grado di tendere a Lui nell’unica maniera possibile: avere una condizione dell’animo pacificato. E dunque: pace e bene! La pace diventa corazza, la misericordia che ne discende l’arma più efficace per fare breccia nei cuori induriti.

Questa è l’essenza della pace ed è nella visione di un apparente ossimoro che si traduce nella creazione e nell'esistenza di un guerriero di pace. Questa visione non è cristiana ma è autenticamente laica, perché prescinde dal credo e si fonda sul rispetto dell’io.

La nostra vocazione e dunque la vocazione dell’uomo, per dirla con Francesco, deve essere quella di “richiamare gli smarriti”. E gli “smarriti” sono gli uomini senza pace che non potranno mai essere portatori di bene. Sul cristiano grava dunque un compito gravoso: cercare la pace dentro se stesso per poter essere messaggero di pace. È un cammino non facile, anzi pieno di imprevisti. Ed è per questo, ancora una volta, che bisogna tornare a Francesco e ancorarsi al sogno in cui Dio gli consiglia il saluto da porgere a chiunque incontrasse: “Il Signore ti dia la pace”.

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