ALLARME TERRORISMO, MA NON È GUERRA DI RELIGIONE
La Paura ha fondamento, occorre superarla con intelligenza
A Parigi si è risvegliato l’incubo terrorismo a causa di un uomo, poi abbattuto, che sugli Champs-Elysées si è diretto volontariamente con un veicolo contro un furgone della polizia; l'auto esplosa nell’impatto era piena di bombole di gas. Il kamikaze, ferito gravemente e morto poco dopo, era un “segnalato “dai servizi di intelligence al quale la Prefettura, a causa di una non comunicabilità di dati all’interno del sistema di sicurezza nazionale, aveva confermato il porto d’armi. Una dimostrazione di come norme valide per difendere la privacy dei cittadini, in tempi diversi dagli attuali, siano diventate controproducenti nell’era della paura.
Ed ancora. Il nuovo rapporto sul terrorismo di Europol ha messo in guardia sul rischio che la tecnica di utilizzare droni esplosivi per attentati, come è d’uso nelle crisi in Iraq e Siria, possa ispirare gruppi jihadisti anche in Europa.
Senza contare, sempre secondo l’Europol, che è assai viva la preoccupazione per possibili attacchi con armi chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari. D’altronde soltanto pochi mesi fa è apparsa online una propaganda dell’Isis che spronava a queste azioni, condividendo tattiche e obiettivi (per la precisione maniacale dei terroristi fu anche diffusa una guida sull'estrazione della tossina dalla ricina).
La paura ha qualche fondamento. Nel 2016 sono state 135 le vittime di attentati jihadisti nell'Ue, mentre gli attacchi registrati sono stati 13 (5 in Francia; 4 in Belgio; e 4 in Germania), 10 di questi portati a compimento. Gli arresti per presunti crimini connessi al terrorismo islamista nel 2016 sono stati 718, soprattutto in Francia (429), dove sono aumentati per il terzo anno di seguito.
Spesso il timore si propaga per atti che col terrorismo hanno poco a spartire, come è successo in Germania a causa di una sparatoria: alcuni colpi d'arma da fuoco sono stati esplosi nella stazione della metropolitana S-Bahn di Unterfoehring, a Monaco di Baviera, provocando il ferimento di cinque passanti e di una poliziotta. Non era un episodio terrorista, in Europa, però, c’è voluta più di una dichiarazione della polizia tedesca per convincere la stampa.
La paura è aumentata anche per la scoperta che è aumentata la partecipazione delle donne in attività terroriste. Spaventa la cancellazione dello stereotipo che comunemente rappresenta il terrorista jihadista: uomo più o meno giovane, forse disadattato di seconda o terza generazione europea, comunque oltranzista religioso e forzatamente uomo.
Ha turbato molto gli europei scoprire che, come in Siria e Iraq palestre per i gruppi dell'Isis ed anche di al-Qaeda (in competizione con i primi), le donne “volontarie” assumono ruoli sempre più operativi, come descrive l’Europol, con l’"intenzione e capacità di mettere in atto attacchi di massa, complessi" in Occidente. Come, forse in modo banale, spesso si sottolinea, cioè che i numeri non mentono, durante la riunione dei ministri europei dell’Interno a Malta il direttore Rob Wainwright, nella sua relazione annuale in qualità di capo del sistema europeo di polizia, ha sostenuto che uno su quattro (26%) delle persone arrestate, nel 2016, erano donne, "un importante aumento", se comparato al 18% del 2015.
Inoltre, nonostante una diminuzione delle partenze verso le aree di crisi, la Gran Bretagna ha segnalato un aumento nel numero di donne, famiglie e minori impegnati nel conflitto in Irak e Siria, mentre l'Olanda ha evidenziato che oltre 40 bambini (fino a 12 anni) sono andati nelle zone di conflitto.
Il ruolo delle donne nel mondo jihadista non è nuovo. Le autorità francesi hanno confermato che anche in Francia, come nel centro-nord Europa, il 25% dei soggetti arrestati per terrorismo sono donne, spesso giovanissime e convertite. Sono centinaia di musulmane europee, convertite e non, che hanno raggiunto la Siria. E’ interessante notare che aumenta il numero di jihadi brides, le spose della jihad, secondo la definizione degli inglesi, ovvero delle donne che si sposano con soldati del Califfo conosciuti in occasione del loro viaggio da combattenti.
Ci vorranno anni di studio serio ed approfondito per comprendere le ragioni che spingono i giovani a passare dal loro mondo conosciuto alla militanza armata, diventando foreign fighters capaci di dichiarare fedeltà ad uno stato islamico che usa la religione all’interno di una guerra intersunnita. E’ un fatto che il jihadismo è divenuto una ideologia percepita come “forte”, unica risposta “contro” la nostra società valutata, al contrario, come ingiusta, forse perché è complessa.
Mi vengono alla memoria alcuni nomi di giovanissimi che, alcuni decenni fa, scelsero la strada crudele della lotta armata, si votarono ad una causa sanguinaria, ingiusta, legata al mito della morte, della clandestinità, non per sete d’avventura ma per la ribellione, tanto totale quanto confusa, drammaticamente ingenua, sostanzialmente analfabeta, ad una società che si sviluppava, anche allora, in una fase di transizione sociale ed economica.
Alla sfida della globalizzazione rispondere con la contaminazione
Nonostante le paure della diversità di popoli e religioni, che in quanto tali non possono essere esorcizzate, respinte, ma devono essere comprese, spiegate, dissolte con umiltà ed umanità, il rapporto tra Islam ed occidente, più significativamente tra Islam ed Europa, deve essere posto al centro dell’attenzione, perché è più che illusorio addirittura pericoloso soltanto immaginare che sia possibile evitare conflitti di civiltà ignorando i problemi, o pensando ( come, poi?) di liberarsene cancellando la presenza di milioni e milioni di uomini, donne e bambini.
Il tentativo che l’Europa cristiana, giudaica e greco-romana di papa Benedetto XVI a Ratisbona, e di quelli tra i musulmani che cominciano a vedere la crescita di una cultura islamica europea deve essere favorita. Tariq Ramadam, e con lui tanti pensatori musulmani, sostengono che sia possibile restare fedeli ai fondamentali principi religiosi accettando la convivenza con la cultura dei paesi di arrivo.
La società europea che noi conosciamo è nata e si è sviluppata dopo terribili guerre di potere e di religione ed ha trovato la sua sintesi nell’equilibrio sancito dalla pace di Vestfalia. I principi di secolarizzazione come garanzia del pluralismo religioso, la difesa del diritto di espressione possono e debbono valere anche tra diverse religioni non giudaico-cristiane.
Dare risposte alle sfide della globalizzazione impedendo alle correnti più conservatrici degli schieramenti islamici e laico-cristiani, è certamente complesso. L’islam degli immigrati confonde spesso tradizione e cultura con religione ed alimenta uno spirito conservatore oltranzista che blocca dinamiche integrative , esalta retrograde pratiche salafite perché ignora i movimenti di riforma che da sempre hanno animato l’islamismo; eppure , e mi rifaccio ancora a Ramadan, è più che possibile un’opera di decostruzione e costruzione che, certamente, non sembra estranea al pensiero dei pontefici romani, ultimo il viaggio in Egitto e l’intervento all’Università del Cairo di papa Francesco. Sul solco di una lunga storia di benefiche contaminazioni culturali testimoniate da san Francesco d’Assisi, da Dante Alighieri, da Goethe, Thomas Carlyle e tanti, tanti altri pensatori che hanno lavorato attorno alla felice comprensione degli apporti che la religione e la cultura islamica hanno innestato nella formazione dell’Europa.
Se la religione cristiana è stata indubbiamente parte fondante della creazione degli stati –nazione rischierebbe di rilevarsi vano di fronte alla richiesta di equilibrio che nasce dalla globalizzazione, nella quale oggi mal si conciliano logiche e poteri delle nazioni, contestare la necessità del principio di rottura e contaminazione di religioni al loro interno; di pluralismo religioso e di pensieri laici nel più ampio contesto sociale, al fine di permettere nuove e più solide ragioni di equilibrio tra i popoli , per la pace tra gli uomini e il loro benessere materiale e spirituale.
Scacciare l’idea del nemico senza territorio significa, alla fine, eliminare il nemico reale e non crearne uno supposto come tale.
Un esempio della attitudine della Chiesa lo ricaviamo dalla lettura dell’Osservatore Romano, che non lesina attenzione al fatto che nelle Filippine l’impegno nel dialogo tra le religioni si basa sulla pacata osservazione che la guerra in corso, nell’isola di Mindanao, tra il Califfato ed i musulmani di Marawi non è – anche là- una guerra di religione, ma un conflitto basato sul potere e le vittime sono, assieme ai cristiani, soprattutto i musulmani che tentano accordi col governo centrale e sono oggetto di persecuzione da chi, come Abu Sayyaf , sventola la nera bandiera del Califfato.
La sfida mortale della guerra intersunnita incendia il Medio Oriente per ragioni di potere
Un altro esempio di mancata volontà di convivenza e di guerra per il potere all’interno del mondo sunnita, giunge, in questi giorni dall’Arabia Saudita.
Questa volta non si devono contare le vittime. Basta il gesto che ha in sé una potenza simbolica dell'atto che supera l’impatto mediatico e rappresenta una sfida mortale alla dinastia Saud.
Con un comunicato, il ministro dell'Interno saudita ha affermato, a Riad, che un uomo che progettava di attaccare la moschea si è fatto esplodere quando le forze di sicurezza hanno circondato la casa alla Mecca dove si era nascosto. Il miliardo e seicento milioni di musulmani che vivono nel mondo mai avrebbero immaginato che qualcuno potesse soltanto pensare di attentare al luogo sacro per eccellenza: la Grande Moschea della Mecca.
Poche e scarne notizie, secondo gli usi e costumi del petroregno, riferite dal sito internet della televisione degli Emirati Al Arabiya, raccontano che le forze di polizia “hanno annunciato di aver sventato un "azione terroristica imminente" che aveva come obiettivo la Grande Moschea della Mecca. Almeno 11 persone, tra cui cinque agenti di polizia, sono rimasti feriti nel crollo dell'edificio a tre piani dove l'uomo si era barricato. Cinque persone, tra cui una donna, sono state arrestate”.
L’ evidente inasprirsi del conflitto intersunnita è da leggersi inforcando gli occhiali dello “sceicco del terrore”, Osama Bib Laden, che sognava la Jihad globale portata, dopo l’11 settembre, in quello che era vagheggiato come “Califfato”, nella casa del wahabismo dove risiedono i due luoghi sacri: la Medina e la Mecca.
Se tre gruppi di “martiri", di “shahid”, entrano in azione, due con base alla Mecca ed uno Gedda, allora viene proclamata la dimostrazione di potenza necessaria per dichiarare credibilmente che il "califfato" punta decisamente al cuore dell'Islam. In questo attacco si legge l’autoproclamazione di essere i veri salafiti, eredi del wahhabismo. L’Arabia Saudita, stato, secondo al-Baghdadi, inventato dal colonialismo occidentale, è un vecchio padrino mafioso che appartiene al passato, incapace di realizzare l’”umma", la comunità musulmana, sognata a dominazione sunnita, che spazza i confini definiti dal passato imperialismo; è terra di conquista per il Califfato.
Dopo l’elezione di Macron e la nuova stabilità tedesca si allentano alcuni squilibri planetari
Se la religione è presa in ostaggio dal potere, i pericoli per la pace si aggravano. La confusione che regna a Washington rende assai complesso il quadro internazionale. Ecco perché il rafforzamento delle politiche europee successive alla elezione di Emmanuel Macron alla presidenza francese è, in questa fase, particolarmente utile.
Il Consiglio europeo dello scorso venerdì e sabato ha avuto caratteristiche assai rassicuranti, che sono state genericamente ben accolte sia dagli Stati che dai mercati mondiali.
La UE ha dato una immagine di concretezza e di unità che da molto tempo era scomparsa.
Non a caso il Consiglio si è interessato, senza i consueti rinvii a causa delle divisioni interne, di Difesa e di Terrorismo.
Macron è convinto che il rilancio dell’Ue passi per un consolidamento dell’asse franco-tedesco, perché se « Francia e Germania non sono d’accordo, gli affari europei non avanzano. Per questo cerchiamo di trovare prima un accordo tra di noi»; nello stesso tempo, assieme alla Cancelliera, ha messo in atto un piano di cooperazione più stretta con l’Italia e la Spagna
Piuttosto che a posizioni meramente muscolari sul fronte orientale (Russia), sud ( immigrazione, Africa e Medio Oriente) per ridare equilibrio al sistema altrimenti lasciato sbilenco dagli USA, Macron ha delineato un piano di sicurezza interna e Difesa comune, che ha definito «ambizioso» perché le conclusioni approvate prevedono una reale cooperazione tra gli Stati nella lotta al terrorismo, con un più intenso scambio di informazioni al fine di contrastare il fenomeno dei foreign fighters. Anche attraverso un effettivo «dialogo» tra i tanti database spesso incapaci di comunicare tra loro. A questo si aggiunge un appello ai colossi dell’industria del web perché sviluppino «una tecnologia e strumenti per individuare e rimuovere automaticamente i contenuti online che incitano al terrorismo». Non solo, i leader hanno anche aggiunto nel documento conclusivo che «se necessario», la questione sarà regolamentata da una nuova normativa Ue.
L’altro grande passo avanti riguarda la Difesa comune. «Tutti gli Stati hanno concordato sulla proposta di creare un Fondo per la Difesa comune», ha affermato il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker. I governi hanno trovato un’intesa sul lancio della «Pesco», la cooperazione strutturata permanente tra i Paesi che vorranno collaborare a stretto contatto su sicurezza e difesa. Entro tre mesi verrà stilata «una lista comune di impegni e criteri» da parte dei governi. «La principessa addormentata del Trattato di Lisbona ora si sta risvegliando» la metafora usata da Juncker. «Passi enormi» dice l’Alto Rappresentante per la Politica Estera, Federica Mogherini, che vede finalmente un impegno concreto delle capitali per un finanziamento comune dei Battlegroups. Lo hanno scritto nero su bianco.
La lotta al Terrorismo assume una importanza strategica nell’ambito che le è proprio, quello dell’impegno dei sistemi di sicurezza ed evita la trappola dello scontro di civiltà, di conflitto armato in nome della religione all’interno dei confini degli Stati. Un posizione essenziale pensando, invece, alla polveriera medio orientale ed alle difficoltà di Mosca che, al rinnovo (compatto) per altri sei mesi delle sanzioni economiche causate dalla violazione degli accordi di Minsk, non trova risposte non diplomatiche ad alcune palesi provocazioni militari.
Un buon segno per la pace.
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