Alla Normale di Pisa discussa tesi su due Sante francescane
Il 19 dicembre, presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, ha avuto luogo la discussione di una tesi di dottorato dal titolo: «Agiografie, memoriali e fabule depictae. Santità femminile fra testi e immagini dalle Vitae matrum al Monastero delle Contesse». Il neodottore di ricerca è il catanzarese Mattia Zangari (classe 1989), mentre la relatrice della tesi è stata la prof.ssa Lina Bolzoni, docente di Letteratura Italiana alla Scuola Normale, oltre che saggista e accademica italiana di fama internazionale. La Normale, secondo il World University Ranking2016, la migliore università italiana (piazzandosi tra le cinquanta università più quotate in Europa), molto nota per il rigore con cui avviene la procedura selettiva degli allievi ammessi, ha rappresentato una cornice importante per il francescanesimo in occasione di questa tesi, che tratta approfonditamente di due Sante francescane: Angela da Foligno (†1309) e Angelina da Montegiove (†1435). Un altro piccolo prodigio di Francesco potremmo dire, data l’imprinting dell’istituzione pisana, assolutamente laica e non contemplante insegnamenti quali Storia del Cristianesimo o Storia della Chiesa. Si tratta infatti di una tesi di Filologia moderna, con una «texture» interdisciplinare; i testi delle Sante sono i puntelli di tutta una serie di discipline che si dipanano a raggiera, pur restando essi concatenati, l’uno accanto all’altro: la Storia dell’arte, la Storia del Cristianesimo, la mistica, la Storia della Chiesa, la filologia relativa ad altre lingue romanze. Non solo, ma quella di Zangari è una tesi discussa davanti a una commissione internazionale (tre membri italiani e tre membri afferenti alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera) , composta oltre che dalla presidente, Lina Bolzoni, da: Isabella Gagliardi (Università degli Studi di Firenze), Giovanna Rizzarelli (Scuola Normale Superiore di Pisa), Bernhard Teuber (co-supervisor, Ludwig-Maximilians-Universität), Florian Mehltretter(Ludwig-Maximilians-Universität), Albrecht Berger (Ludwig-Maximilians-Universität).
Non potevamo esimerci, data l’eccezionalità della cosa, dal fare qualche domanda all’autore di questo lavoro, essendo Mattia Zangari affezionato frequentatore della comunità dei frati minori conventuali della Basilica di Assisi.
Perché scrivere una tesi di dottorato su due Sante francescane?Cosa ti ha spinto a redigere un testo su di loro? Da molti anni frequento Assisi e i suoi luoghi, dalle basiliche alla Biblioteca del Sacro Convento, dal Museo del Tesoro all’Archivio, ai frati che studiano Francesco e i suoi accoliti. Nel 2011 il direttore del Museo del Tesoro della Basilica, p. Luigi Marioli, mi ha condotto all’interno delle impalcature che servivano per il restauro di alcune cappelle, facendomi salire quasi in cima alla Basilica; poi mi portò davanti alla Vetrata degli angeli, nota ai più per aver suscitato una «rumorosa» estasi nella mistica (nel 2011 ancora Beata, oggi Santa) Angela da Foligno. Il racconto del direttore (un amico e specialis persona ormai) mi colpì particolarmente, al punto da far maturare in me una sensibilità rispetto al tema del rapporto tra le mistiche francescane, l’iconografia e le visioni. Mi sono messo alla ricerca di tutta una serie di casi in cui le visioni delle Sante fossero state favorite dall’iconografia. In alcuni casi la visione era indotta dalla contemplazione attenta di un crocifisso sanguinolento, in altri da una vetrata, in altri ancora dai cicli murali. Puntualmente c’erano dei testi (delle agiografie o dei testi afferenti alla scrittura diaristica) , i quali davano un resoconto di queste visioni e così ho iniziato a leggere questi testi, ma al tempo stesso a sfogliare libri di storia dell’arte, cataloghi di mostre, edizioni a stampa corredati di apparati iconografici originali. Il risultato è stato quello di aver messo a punto una tesi pluridisciplinare e questo dà alle Sante di cui mi sono occupato una venustas, che va per certi versi recuperata. Le mistiche non soltanto rappresentano una risorsa per i credenti, dato il fatto che costituiscono un «assempro» di edificazione; esse sono altresì dei «moduli» da cui partire per rinvenire importanti dati culturali, dati questi che ci mettono in mano una tradizione, quella attinente alla tradizione testuale certo, ma pure alla Storia dell’arte, alla Storia del Cristianesimo, alla Teologia, alla Storia della pietà.
Per esempio? Ma, se pensiamo al caso a cui accennavo prima, quello di Angela da Foligno e alla Vetrata degli angeli, be lì si apre davvero una finestra su un mondo, anzi una vetrata su un mondo. Angela innanzitutto è un personaggio estremamente interessante, come già hanno dimostrato studi pregressi, per la ricostruzione di un sistema sociale. Penso al fatto che le penitenti come lei, le terziarie che sceglievano di «consumare» la sequela Christi nelle «segrete» delle proprie case, avevano l’obbligo di essere accompagnate da una famula o da una socia. Anche Angela aveva una compagna che condivideva le sue esperienze estatiche. Poi ecco: il fatto che una vetrata, come quella da cui è colpita lei, sia motivo di crisi fino a innescare un rapimento mistico nella fulginate non è casuale. La tecnica con cui la vetrata è realizzata era nuova per i tempi, e creava dei suggestivi giochi di luce sul pavimento della Basilica superiore, dove si trova ancora oggi. Un’altra cosa che mi viene in mente è il rapporto fra le laude presenti nel Memoriale di Angela da Foligno e le compagnie dei laudesi, diffusissime all’epoca nei territori in cui si consuma l’esperienza esistenziale di Angela da Foligno.
Come mai, secondo te, un ambiente come la Normale si sarebbe mostrato così aperto a lavorare su delle Sante, e per di più, sulle Sante francescane? Onestamente non saprei dirlo. Quando scelsi di lavorare su Angela da Foligno e Angelina da Montegiove, il mio progetto di ricerca presupponeva un’analisi bidirezionale: da un lato lo studio dei testi, dall’altro quello dell’iconografia. Qui alla Scuola esiste il CTL (Centro Elaborazione Informatica di Testi e Immagini nella Tradizione Letteraria), fondato dalla prof.ssa Bolzoni nel 2000. Mi rivolsi proprio alla Bolzoni parlandole delle mie idee sul lavoro di tesi e lei, forse proprio perché interessata al rapporto testi-iconografia, accettò di seguire la tesi in veste di direttrice della tesi. I suoi suggerimenti hanno fatto sì che io maturassi un senso di impostazione del lavoro, un metodo, ma si sono rivelati utili anche i suoi consigli di lettura ovviamente.
Perché studiare proprio Angela da Foligno e Angelina da Montegiove? In realtà il mio lavoro di tesi parte dalla presa in considerazione delle Vitae matrum di Tommaso di Cantimpré, dopodiché è delineato un percorso in prospettiva diacronica che conduce ad Angela e ad Angelina. Angela da Foligno dà prova (è la stessa autobiografia mistica della Santa a rivelarlo) di essere fortemente influenzata dalle immagini, in particolar maniera dall’iconografia del Christus passus; Angelina invece è un’ombra: non esiste un’agiografia su di lei, o meglio la prima biografia risale al XVII secolo, scritta per opera dello Jacobilli. Mi sembrava urgente cercare di ricostruire la figura della beata Angelina avvalendomi delle «sparte» notizie che si possono rinvenire in alcune opere precedenti all’opera dello Jacobilli, incrociando queste fonti scritte col «visibile parlare» che resta all’interno del Monastero delle Contesse a Foligno, il bizzocaggio di Angelina cioè. Alcune delle opere d’arte lì presenti sono commissionate dalla Beata e anche queste immagini rappresentano fonti documentali per la ricostruzione della comunità delle origini. Inoltre, se l’Europa del Nord ha conosciuto la realtà dei beghinaggi, a torto si pensa che in Italia non ve ne siano stati. Angelina costituisce la maestra del primo bizzocaggio italiano (un corrispettivo del beghinaggio) approvato da una bolla che ne delibera la legittimità, e cioè la bolla del 1403 di Bonifacio IX.
Cosa rappresentano Francesco e il suo messaggio in ambienti accademici come questo? Non ho idea di cosa san Francesco rappresenti per gli altri, posso dirle cosa rappresenta per me. Dal mio punto di vista il sentirsi piccoli, in altre parole, il mantenimento di un atteggiamento di semplicità silenziosa, credo sia la base per poter fare dei progressi, tanto come persone, quanto come studenti o studiosi.
La prima cosa che mi ha colpito della tua tesi è stata la dedica, che si legge nelle primissime pagine: «A Gerda Henkel, Lisa Maskell e ai fiori invisibili del ‘sacro digiuno’ ». Chi sono queste due donne e chi sono questi fiori «invisibili» ? Lisa Maskell ha fondato, nel secolo scorso, una Stiftung intitolata a sua madre, Gerda Henkel. Questa fondazione, con sede a Düsseldorf, ha in parte finanziato il mio lavoro di tesi e pertanto mi sembrava giusto pagare tributo a queste due donne e alla loro memoria. I fiori invisibili del sacro digiuno sono invece le vittime di una patologia di cui pochi sanno, quella che si suole definire «anoressia maschile». È un disturbo che passa spesso inosservato e si abbatte su ragazzi che nessuno «vede», né prima, né dopo l’avvento della patologia, la quale, esattamente come nel caso delle ragazze, può condurre alla morte. La cosa più sconvolgente, lo scandalo, è il fatto che fare diagnosi di anoressia maschile è estremamente complicato. La sintomatologia, nei maschi, è a sua volta molto silenziosa; per esempio, tra i primissimi sintomi che consentono di fare diagnosi di anoressia, in una ragazza, c’è l’amenorrea, cosa che nel caso dei maschi non si manifesta. È così che la malattia passa sotto silenzio, traducendosi in un’inesorabile persecuzione del sé, la cui radice è un sostanziale disamore nei confronti di ciò che si è. Vede, si parla molto di violenza sulle donne, di diritti delle donne, di sessismo. Tuttavia esistono anche tremende lotte condotte dagli uomini, e di queste lotte nessuno parla proprio perché a volte si finisce per essere sessisti a scapito degli uomini. Comunque, ha avuto la Sua risposta, i fiori invisibili del sacro digiuno sono loro, i «maschi» anoressici.
Posso chiederti se questo dell’anoressia è un problema che ti riguarda? Sì.
Vuoi aggiungere qualcosa su questo? Preferisco tacere.
Vuoi ringraziare qualcuno in particolare? So che ci terresti a farlo. Assolutamente. Di certo le persone che hanno seguito questo lavoro di ricerca e poi altri docenti con i quali ho avuto degli scambi di idee, scambi di fondamentale importanza devo dire, nel corso dei miei anni di dottorato. Mi vengono in mente, ora come ora, tre persone. La prof.ssa Benvenuti, non solo per avermi ricordato che ci vuole sempre un po’ di follia per essere normali, facendomi così riacquisire la mia autoironia, ma soprattutto per aver regalato un liber sacer a me e a tutti i «folli» che si occupano di penitenti, recluse, cellane e santità femminile, intitolato In castro poenitentiae. Quando il libro uscì (nel 1990), avevo solo qualche mese, eppure credo che sia il libro che mi sarebbe piaciuto scrivere. Un ringraziamento particolare va al prof. Grado Merlo, un altro maestro di autoironia, che vorrei ringraziare per avermi spesso ascoltato. Ho ben presente un giorno in cui bussai al suo studio in Normale e lui, vedendo la mia faccia, proruppe dicendomi: «Non mi dire nulla, ho già capito tutto». Oggi sorrido, ma allora attraversavo un momento di totale sfiducia, verso di me e verso gli altri, e quello che mi disse mi fu di grande aiuto. Infine la prof.ssa Isabella Gagliardi, una fiaccola nella notte oscura, grazie alla quale ho iniziato di nuovo a credere che il mio lavoro di ricerca avesse un senso e che il senso della nostra persona prescinde dal giudizio di chi ci denigra perché così gli conviene pensare.
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