Alda Merini e san Francesco
Riproponiamo ai lettori della Rivista San Francesco, l'intervista ad Alda Merini del 05 Gennaio 2008
Abbiamo pensato a lei per la sua vicinanza a san Francesco e per le sue vicende biografiche e poetiche che ci suggeriscono il tema delle ferite. Lei ha scritto “Più bella della poesia è stata la mia vita”.
Il tema del dolore... Sa, sono stata a lungo angustiata da domande sulla mia vita: se ho sofferto, come ho sofferto. Mi dà molto fastidio la curiosità degli altri, voler vedere il male anche dove c'è la poesia. La poesia non è mai il male.
Sempre lei ha scritto: “Tu, Dio, mi destinasti ai poemi, e per queste grandi vicende mi hai dato tenebre grandi”.
Non credo di essere qualche cosa di eccezionale. L'idea del poeta maledetto non è adatta a me, il poeta è sempre benedetto. E' chiamato a parlar chiaro, a dire la verità, senza giudicarla. Il dolore è la vita. Il dolore è anche la poesia, non tutti sanno cantare il dolore, non è facile cantarlo.
In questo suo avvicinarsi ai temi del Sacro c'è stato un innesco, una fase di passaggio?
Nella disperazione del manicomio le alternative erano due: o la morte o l'estasi. Sopraggiungeva l'estesi per salvare la vita. La follia ci ha salvato la vita in fondo. Qualcuno è impazzito di gioia, senza volerlo, come tanti santi.
Cosa vede in san Francesco? Gli ha recentemente dedicato un volume di poesie.
La rinuncia totale alle cure degli uomini e soprattutto la bellezza delle piccole cose, la scoperta quotidiana della vita, il fatto di sentirsi vivi anche dopo essere stati martirizzati, violentati, e ancora sorridenti, ancora a chiedersi il perchè malgrado tutto si è felici. Il vero miracolo è perchè si rimane felici anche dopo la morte che ci danno gli altri. E' una resurrezione quotidiana.
A volte anche una resurrezione non voluta, o non meritata, una novità, un dono, un privilegio, un linguaggio, la voglia ancora di camminare malgrado si è storpi e claudicanti. Non crede?
La forza di un santo... La forza di tutti gli esseri umani. San Francesco siamo tutti noi, solo che abbiamo paura di dire che siamo felici anche se Dio ci perdona. La santità nasce dal momento in cui smettiamo di chiederci perchè si soffre, ma ci domandiamo perchè si è vivi.
Abbiamo parlato della speranza, della resurrezione quotidiana. Lei saprà che il Santo Padre ha appena scritto nella sua ultima enciclica che saremo salvati nella speranza.
Io sono su un Naviglio dove non arrivano giornali, non arriva niente. Sono qui un po' ammassata su questo letto, come un pacco postale che non ha corso. Non so cosa sia la speranza, senz'altro è la fiducia nella provvidenza: Dio sa cosa vuole da noi, noi non lo sappiamo.
E fiducia negli uomini lei ce l'ha?
No. Però basta disarmarli. Sa, gli uomini si presentano sempre armati come tanti soldati, basta togliere loro le armi, dolcemente, e ci troviamo davanti delle persone deboli che hanno bisogno di un invito a sedersi al nostro stesso tavolo, capisce?
E lei di cosa ha bisogno oggi?
Potrei dire una cattiveria. Io ho una figlia molto dolce che si preoccupa molto della mia morte e non capisce che io ho voglia di morire, perchè sono stata una donna felice. Forse lei ha paura del dolore, ha paura di perdere la mamma.
Il dolore nel lutto è per chi rimane di solito. Una volta ho avuto una relazione epistolare e di più con Quasimodo, e mi diceva una cosa: “tu non puoi amarmi, ami tutti”. E' difficile far capire agli altri che non c'è bisogno di un uomo, ma di tutto il genere umano, capisce?
A proposito delle sue relazioni, anche a Giorgio Manganelli, lei dedicò dei versi: “Non eri tu ad avermi, ma la psicanalisi”.
Manganelli era un uomo che dubitava di sè, io non ho mai dubitato dell'amore, della fragranza dell'amore. Ecco, forse, nè Manganelli nè Quasimodo nè Sereni, forse nemmeno Turoldo, hanno sentito il profumo della provvidenza divina, del Grande Maestro. Avevano paura di sbagliare, anche a parlare, rinunciando a questo svestirsi generale di tutti gli orpelli, per apparire nudi e perfetti come Dio ci ha fatto. Perchè coprirci di mantelli? Siamo la più bella fattura divina. Una fattura che non smetteremo mai di pagare.
Qual è il suo pensiero su santa Chiara?
Un Francesco che arde d'amore e sentimento e che riesce a fare della donna la cultura suprema del linguaggio. E' stato un grande amore di Francesco, come quello di Giuseppe per la Madonna, il custode di un cuore. Tutti e due hanno custodito il cuore della donna. E' stato magnifico, non hanno protetto la carne della donna, ma il cuore, quel cuore che a tante donne è stato strappato con la violenza.
Signora Merini quando verrà a farci visita ad Assisi?
Ma... non cammino quasi più, sono un po' debilitata, e soffocata anche dall'amore dei miei cari che non riescono a capire.
Lei è abituata alla solitudine?
Io la invoco la solitudine. Perchè solo nella solitudine trovo la mia prigione. Vede, il manicomio è stato il beneficio più grande. Ero sola, in mezzo a tanta gente che mi amava e che amavo, e lì ho trovato veramente la mia grande vocazione.
Come un'illuminazione? La “Terra Santa” (Premio Librex Montale nel �93) è frutto di quell'esperienza?
Mio marito, che era di Soncino dove fu fatta la prima Bibbia, in effetti si chiamava Ismaele. Io ieri ho fatto una poesia per la pena di morte e dicevo: “un giorno un uomo volutamente mi ha ammazzato ma non mi ha giudicato, ed è quello che ho amato di più, l'uomo che mi ha ucciso senza un ragione, così è la vita.”
Lei ha paura di scrivere i suoi ultimi versi?
Io non temo la poesia.
Sente l'esigenza di lasciare un testamento in poesia?
No, il testamento più bello che ho lasciato sono stati i miei figli. La mia vera carne. La mia vera poesia. Li ho fabbricati, me li hanno tolti, me li hanno ridati.
Tant'è che lei dedicò una poesia al medico che fece nascere sua figlia, “Tu sei Pietro”.
Ah sì. L'uomo che salvò la mia bambina, e che io amai in modo sconsiderato. Una grande passione, ma non avrei potuto dargli niente, perchè m'aveva salvato la vita, salvando la mia bambina. Ma io lo amai per tutta la mia vita.
Sente di essere stata un'ossessione per gli uomini della sua vita?
No. I miei amici, i miei amanti non mi hanno mai abbandonato, io non li ho mai toccati, non li ho mai offesi, ma li ho guardati come fatture di Dio e basta, come persone. Li ho amati tutti. A loro ho dato il mio amore, ma non quello fisico, qualcosa di molto di più.
di Fancesco Nati
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