“Palla al piede”. Ecco la storia della squadra di detenuti che ha vinto il campionato
C’è una squadra di calcio che gioca sempre a porte chiuse. Non ci sono spalti intorno al campo e quindi nemmeno i tifosi con cori e striscioni. Svettano invece muri alti oltre dieci metri e gli unici spettatori a ogni lato del perimetro sono gli agenti della polizia penitenziaria. Ma anche senza il dodicesimo uomo i ragazzi della Polisportiva Pallalpiede sono riusciti a essere i più forti.
Hanno vinto il campionato di terza categoria (girone C) ed è una gioia grande per loro, 31 detenuti di dieci diverse etnie, tutti reclusi nel carcere Due Palazzi di Padova. Erenato Elezaj, albanese che sarà scarcerato dopo l’estate, autore di una tripletta nel sabato che vale una stagione, stringe al petto il pallone firmato dai compagni e, abbracciandoli uno a uno, giura: «Non vi dimenticherò mai».
Non è stato facile all’inizio farlo giocare in tandem con l’altro bomber, tale Rhimi Elezin, tunisino. Tra albanesi e tunisini non corre buon sangue, specie sulle strade della droga.
«Ma qui siamo tutti uguali, almeno nei 90 minuti della partita del sabato e nelle quattro ore di allenamento settimanale», dice quasi commosso l’allenatore Fernando Badon, ex calciatore professionista di Padova, Venezia, Cittadella e Bassano e ora coach di questa squadra speciale.
Speciale perché le partite si giocano tutte in casa, cioè in carcere, nel campo un po’ spelacchiato che si trova all’interno del penitenziario. La Figc li ha iscritti al campionato ma formalmente risultano fuori classifica. «Poco importa, i più forti siamo noi», esulta ancora il mister snocciolando i numeri del trionfo: 17 vittorie, tre pareggi, quattro sconfitte, 68 gol fatti e 40 subiti. Un po’ tantini i gol subiti, a dire il vero.
Il portierone Simone Rampin, uno che faceva rapine ai portavalori a colpi di kalashnikov, è stato superlativo. Dicono che siano stati i quattro in difesa a farsi prendere ogni tanto in contropiede. Si chiamano Cristian, Xhemal, Azem e Armend, ognuno con le sue cicatrici, ognuno con la sua storia di sofferenza.
«L’età media è alta, ma anche se abbiamo preso qualche gol l’importante è segnarne sempre uno più degli altri», chiarisce sicuro Badon. Il cannoniere della squadra è Natale Costanzo, origini siciliane, un passato nelle giovanili della Lazio, due o tre campionati in Eccellenza e poi s’è perso nella sua terra difficile.
Ci sono quattro ergastolani, anche. Il capitano, Giovanni Ascia, sta in carcere da quando aveva 19 anni. Oggi ne ha 41. Ma è un faro per i suoi, li tiene uniti anche nelle situazioni più difficili. Sabato pomeriggio, per esempio, il primo tempo contro il Redentore si era chiuso con un gol di svantaggio. Ma la forza del gruppo è emersa ancora una volta: tre reti in rapida sequenza e campionato vinto con 54 punti. Nota a margine: nelle quattro stagioni precedenti i ragazzi del Due Palazzi avevano sempre vinto la Coppa Disciplina, che va a chi totalizza meno ammonizioni ed espulsioni.
«Quando abbiamo iniziato, cinque anni fa, le difficoltà erano tante», ammette Lara Mottarlini, presidente della Polisportiva, la persona che ha reso possibile questa storia di rivalsa sociale. «Ricordo che il primo anno gli albanesi stavano in una panchina e i nordafricani in un’altra, si guardavano in cagnesco e non ne volevano sapere di giocare insieme. Ora si abbracciano, esultano, si muovono come una persona sola, perché loro sono la Polisportiva Pallalpiede».
I colori sono il bianco e il rosso, come quelli del Calcio Padova, la squadra della città. Il simbolo è uno scudetto in cui due calciatori colpiscono il pallone, fino a colpire una stella nel firmamento.
Anche al carcere di Bollate a Milano c’era un progetto simile, ma ormai da qualche anno è naufragato per mancanza di fondi. Loro erano riusciti a ottenere l’autorizzazione per le trasferte, ovviamente con la regia della polizia penitenziaria che li doveva trasportare a bordo dei blindati. «Questo è anche il nostro obiettivo», ammette l’allenatore.
«Certo non è semplice far fronte ai costi. Al momento ci sostiene l’amministrazione comunale di Padova, ma le spese sono tante». Lara la presidente ama la sua creatura e non smette di stupirsi: «Mi piace vedere i giocatori delle altre squadre abbracciare i miei. Tutti uguali, ancora una volta, per quei 90 minuti».
Enrico Ferro, La Repubblica
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