Il canto di Francesco
“Le allodole, amiche della luce del giorno e paurose delle ombre del
crepuscolo, quella sera in cui san Francesco passò dal mondo a Cristo,
si posarono sul tetto della casa e a lungo garrirono roteando attorno.
Non sappiamo se abbiano voluto a modo loro dimostrare la gioia o
la mestizia, cantando. Esse cantavano un gioioso pianto e una gioia
dolorosa.”
Ha un che di miracoloso questo canto delle allodole all'arrivo
della sera, loro che hanno paura delle ombre del crepuscolo.
Un ultimo canto, quello delle allodole, chiude il racconto della
vita di Francesco.
Amava cantare, Francesco. Lo ricordiamo giovane per le vie
di Assisi cantare in francese. O ancora duettare con sorella cicala...
“Sicuro e lieto cantava a sé e a Dio canti di letizia nel suo
cuore”. Se è vero che l'agiografo qui riecheggia san Paolo nella
Lettera agli Efesini (5,19-20), non smette però di sorprenderci
un Francesco che fa della sua vita sempre un canto. Nel momento
ultimo, il più difficile, nel momento dell'abbandono e
della sofferenza, scrive il Cantico delle creature.
Sono parole
che nascono da un cuore che conosce la benedizione e che
tutto accoglie. È il canto della gratuità. E ci vengono in mente
allora altre parole di Francesco, in particolare nella Regola non
bollata (XVII): “Restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i
beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamo grazie
a Lui dal quale procede ogni bene”. Il cuore canta perché riconosce
il dono e si riconosce come dono. Allora nasce la benedizione
che si fa lode:
Altissimo, onnipotente, bon Signore,
tue sono le laudi, la gloria e l'onore e ogni benedizione.
Sentendo la morte vicina, Francesco chiede ai suoi di cantare
quelle parole che aveva scritto a lode dell'Altissimo e vi aggiunge
l'ultima lassa su sorella morte. Nudo sulla nuda terra, la
mano destra a coprire il fianco, come ricordano Tommaso da
Celano e Bonaventura.
Nel racconto di Tommaso da Celano e di Bonaventura tante
sono le immagini, i gesti e le parole. Il pianto dei compagni
accompagna questo momento, quasi una liturgia, con la lettura
di un passo del Vangelo di Giovanni (13,1) in cui Cristo
si china a lavare i piedi ai suoi discepoli. Immagine anch'essa
del dono nel servizio. L'incontro con Jacopa e infine il muto
saluto di Chiara...
Dobbiamo saper andare al di là della riscrittura degli agiografi
, per avvicinarci a Francesco. Scelgo allora per queste pagine
alcune sue parole: “io ho fatto la mia parte, la vostra Cristo ve la
insegni”.
C'è il rischio di leggere queste parole fuggendo. Sotto
questa apparente durezza non si cela un monito o una resa,
ma un invito a ritornare a Cristo, a guardare a Lui e come san
Paolo combattere la “buona battaglia”, terminare “la corsa”, conservando
la fede (2Tim 4,7).
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