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Il canto di Francesco

Milvia Bollati
Pubblicato il 30-11--0001



“Le allodole, amiche della luce del giorno e paurose delle ombre del crepuscolo, quella sera in cui san Francesco passò dal mondo a Cristo, si posarono sul tetto della casa e a lungo garrirono roteando attorno. Non sappiamo se abbiano voluto a modo loro dimostrare la gioia o la mestizia, cantando. Esse cantavano un gioioso pianto e una gioia dolorosa.”
Ha un che di miracoloso questo canto delle allodole all'arrivo della sera, loro che hanno paura delle ombre del crepuscolo. Un ultimo canto, quello delle allodole, chiude il racconto della vita di Francesco. Amava cantare, Francesco. Lo ricordiamo giovane per le vie di Assisi cantare in francese. O ancora duettare con sorella cicala... “Sicuro e lieto cantava a sé e a Dio canti di letizia nel suo cuore”. Se è vero che l'agiografo qui riecheggia san Paolo nella Lettera agli Efesini (5,19-20), non smette però di sorprenderci un Francesco che fa della sua vita sempre un canto. Nel momento ultimo, il più difficile, nel momento dell'abbandono e della sofferenza, scrive il Cantico delle creature.
Sono parole che nascono da un cuore che conosce la benedizione e che tutto accoglie. È il canto della gratuità. E ci vengono in mente allora altre parole di Francesco, in particolare nella Regola non bollata (XVII): “Restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamo grazie a Lui dal quale procede ogni bene”. Il cuore canta perché riconosce il dono e si riconosce come dono. Allora nasce la benedizione che si fa lode: Altissimo, onnipotente, bon Signore, tue sono le laudi, la gloria e l'onore e ogni benedizione.
Sentendo la morte vicina, Francesco chiede ai suoi di cantare quelle parole che aveva scritto a lode dell'Altissimo e vi aggiunge l'ultima lassa su sorella morte. Nudo sulla nuda terra, la mano destra a coprire il fianco, come ricordano Tommaso da Celano e Bonaventura. Nel racconto di Tommaso da Celano e di Bonaventura tante sono le immagini, i gesti e le parole. Il pianto dei compagni accompagna questo momento, quasi una liturgia, con la lettura di un passo del Vangelo di Giovanni (13,1) in cui Cristo si china a lavare i piedi ai suoi discepoli. Immagine anch'essa del dono nel servizio. L'incontro con Jacopa e infine il muto saluto di Chiara... Dobbiamo saper andare al di là della riscrittura degli agiografi , per avvicinarci a Francesco. Scelgo allora per queste pagine alcune sue parole: “io ho fatto la mia parte, la vostra Cristo ve la insegni”.
C'è il rischio di leggere queste parole fuggendo. Sotto questa apparente durezza non si cela un monito o una resa, ma un invito a ritornare a Cristo, a guardare a Lui e come san Paolo combattere la “buona battaglia”, terminare “la corsa”, conservando la fede (2Tim 4,7).

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