Chiara con un personaggio tanto discusso
Per lungo tempo Chiara è vissuta all’ombra di Francesco. Il rapporto con il Santo di Assisi – colui che dopo Dio era stato, per lei e per la sua comunità, «colonna», «unica consolazione» e «sostegno» – ha filtrato in modo determinante la rilettura della sua esistenza, fino a svisarne alcuni tratti essenziali. Del resto, condizionamenti e anomalie nell’interpretazione della sua figura non mancarono né mentre era ancora in vita né subito dopo la sua morte.
Vorrei tornare oggi a parlare di lei mettendo a fuoco i suoi rapporti con la città di Assisi e in specifico il ruolo da lei avuto nella difesa della città di Assisidalle truppe di Federico II, perché il fatto contribuisce a restituirci la sua fisionomia umana e cristiana. Come sappiamo, per ben due volte, nel 1240 e nel 1241, la città assediata dalle truppe imperiali fu sul punto di capitolare. I saraceni menzionati nelle fonti erano infatti di stanza nell’Italia meridionale ed erano al soldo di Federico II. Per ben due volte la città scampò alla distruzione e al saccheggio, con tutto quel che ne sarebbe seguito.
In tutte e due le occasioni gli assisani ne attribuirono il merito alla badessa di S. Damiano. Nel corso del processo di canonizzazione, Ranieri di Bernardo da Assisi affermò a riguardo senza alcuna titubanza: «fermamente se crede da tutti li cittadini che, per le oratione et meriti della dicta madonna santa Chiara, fo defeso lo monasterio, et la città fu liberata dalli nemici». La città, dunque, riconobbe in Chiara la propria salvatrice. Si tratta di un dato assodato, al di sopra di ogni sospetto. Peraltro, se consideriamo il fatto che ben dieci sorelle su quindici riferirono, nella loro deposizione, intorno a questi eventi, e che delle rimanenti una (Cristiana di Cristiano de Parisse) era entrata in monastero dopo i fatti, mentre altre due resero testimonianze nel complesso alquanto scarne forse perché la lunga malattia di cui erano state vittime non aveva consentito loro di assistere personalmente a gran parte degli avvenimenti, si può ipotizzare con buona fondatezza che fossero i giudici stessi ad avanzare alle sorelle specifiche domande in proposito; in definitiva, si può supporre che la griglia di domande volte a indagare su vita, conversio, conversatio e miracula di Chiara di Favarone da Assisi, contenesse anche un esplicito riferimento teso ad acclarare i ben noti fatti che avevano portato alla salvezza della città. L’intervento della badessa di S. Damiano ebbe dunque una risonanza generale.
C’è tuttavia da chiedersi come mai gli abitanti di Assisi avessero subito accolto con favore una simile versione dei fatti quando in realtà nessuno di loro aveva potuto vedere quel che era accaduto all’interno del monastero; inoltre, poteva bastare a dei cittadini in pericolo l’assicurazione che una comunità religiosa aveva pregato intensamente per acquisire la convinzione che proprio da quelle sorores fosse dipesa la loro salvezza? Non possiamo certo pensare che ad Assisi, in quel difficile frangente, pregasse solo la comunità di S. Damiano. Le compagne di Chiara – le quali deposero alcuni anni dopo l’episodio con l’obiettivo di attestare la santità della loro madre – rilessero gli eventi in chiave soprannaturale. È indubbio che Chiara pregasse intensamente in quei momenti difficili e che abbia chiesto di fare altrettanto alle proprie consorelle; neppure si può (né si vuole) escludere che nella propria preghiera ella si sia sentita rassicurata dall’Altissimo e quindi abbia a sua volta rassicurato le sorelle. In ogni caso, ciò non basta a spiegare la reazione degli assisani, che lascia supporre qualcos’altro: con tutta evidenza, essi erano a conoscenza di fatti a noi inaccessibili, vale a dire avevano notizia di qualche altra iniziativa presa dalla badessa di S. Damiano, la cui efficacia essi avevano potuto concretamente verificare.
Di quale iniziativa poté trattarsi? Proviamo ad avanzare un’ipotesi. Dalle fonti siamo a conoscenza degli stretti rapporti intercorsi tra Elia, Chiara e le sorelle, rapporti che – stando almeno a quanto testimonia Tommaso da Eccleston – non si interruppero neppure dopo la deposizione dell’ex ministro generale. Ora, come sappiamo da Salimbene de Adam – durissimo e parziale nei riguardi di Elia, ma anche ben informato sul suo conto –, negli anni 1240-1241 l’ex ministro, passato ormai dalla parte dell’imperatore, cavalcava accanto a Federico II e dimorava con lui continuando a indossare l’abito dei frati; quando lo Svevo, tra il 1240-1241, assediò Faenza e Ravenna, Elia («iste miser», lo apostrofa il cronista con un misto di rabbia e disprezzo) rimase al suo fianco, dandogli «consiglio e favore». In quegli stessi anni in cui le truppe imperiali assalivano la città umbra, Elia – assisano, fortemente legato a Chiara e alla sua comunità – era dunque a stretto contatto con Federico II al punto da poter anche esercitare su di lui una qualche influenza. Non è perciò possibile pensare che, nell’imminenza del pericolo, Chiara si sia rivolta all’ex ministro generale – magari inviandogli quale messaggero uno dei frati dimoranti presso il monastero di S. Damiano – perché intercedesse a favore della città? Ecco allora spiegato il motivo per cui l’ordine di ritirata, emanato dall’imperatore stesso, sarebbe giunto alle truppe proprio quando ormai Assisi stava per capitolare. D’altronde, l’intercessione di Elia, riconciliatosi con la Chiesa solo alla vigilia della morte, sopraggiunta anche per lui nel 1253, spiegherebbe di per sé bene il silenzio poi calato sui fatti, dal momento che non sarebbe stato affatto prudente sottolineare l’amicizia di Chiara con un personaggio tanto discusso.
Non uno, dunque, ma due salvatori della città? Certo, non possiamo essere troppo asseverativi nell’avanzare tale ipotesi. Essa verrebbe comunque ad aggiungere alla storia l’anello mancante, senza il quale troppe cose rimarrebbero da spiegare. Essa, inoltre, non toglierebbe nulla alla grandezza di Chiara, il cui ruolo è ricordato tuttora dagli assisani che ogni anno fanno memoria di quegli eventi con la cosiddetta Festa del voto; al tempo stesso, ci aiuterebbe forse a inquadrare in una luce più oggettiva la figura di un uomo che fu indubbiamente difficile, ma che Francesco amò e scelse come suo successore e Chiara stimò al punto di ritenere i suoi consigli «più preziosi di qualsiasi dono».
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