Francesco d'Assisi, fratello universale, “il più bello fra i santi e gli italiani”, di Edoardo Scognamiglio
Io credo che Francesco, il Poverello d'Assisi, sia “il più santo fra gli italiani e il più italiano fra i santi” perché è stato un alter Christus. Non fu l'afflato poetico, né la passione per il canto, né il gesto estremo della povertà, né semplicemente quella santa incoscienza che lo portò sulle strade del Medio Oriente, né tanto meno il suo farsi strumento di pace e di riconciliazione, o l'invocare la morte come sorella – o il parlare con il lupo e il predicare agli uccelli –, a renderlo più santo e più italiano, bensì il conformarsi a Cristo. Francesco è “il più santo fra gli italiani e il più italiano fra i santi” perché fu un uomo cattolico, fratello universale che testimoniò il Cristo, Verbo della vita, nella sua stessa carne! Il Poverello capì, fin dall'inizio della sua conversione – dall'incontro con i lebbrosi –, che non doveva spiritualizzarsi, bensì incarnarsi come Cristo, cioè vivere il Vangelo, anzi, fare del Vangelo la sua stessa esistenza. Francesco si radicò nel Vangelo e per fare questo si spogliò, divenne nudo: il suo fu il ritorno essenziale a Dio che è Padre di tutti. Egli ci lascia questo esempio. Egli è il testimone di queste radici cristiane dell'Italia, così come dell'Europa.
Se è vero che il vecchio Continente non deve mai dimenticare le radici cristiane che sono alla base del suo cammino, e che deve anche continuare ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia, è altrettanto vero che questo processo di riappropriazione dell'identità religiosa dell'Europa riguarda pure l'Italia. Solamente in questa prospettiva, cioè partendo dal vissuto di fede – e dall'annuncio del Vangelo –, è possibile interpretare la storia di san Francesco d'Assisi come testimonianza di un personaggio scomodo e profetico che è stato, per l'Italia d'ogni tempo, “il più italiano tra i santi”. Ovviamente, occorre mettersi d'accordo su cosa s'intende per “radici cristiane”. Sicuramente, non si vuole ridurre il cristianesimo a un veicolo culturale che compatta le culture, i popoli e l'ethos variopinto degli europei.
1. Si cresce con la santità
Giovanni Paolo II affermò chiaramente che lo spirito dell'Europa cresceva con la santità. Noi possiamo dire che lo spirito dell'Italia è maturato con il vissuto dei santi nostrani. L'unità del Continente, così come quella del nostro Paese, che sta progressivamente maturando nelle coscienze e sta definendosi sempre più nettamente anche sul versante politico, incarna certamente una prospettiva di grande speranza. Gli europei – e tra di essi gli italiani – sono chiamati a lasciarsi definitivamente alle spalle le storiche rivalità che hanno fatto spesso del loro Continente il teatro di guerre devastanti.
Al tempo stesso, essi devono impegnarsi a creare le condizioni di una maggiore coesione e collaborazione tra i popoli. Davanti a loro sta la grande sfida di costruire una cultura e un'etica dell'unità, in mancanza delle quali qualunque politica dell'unità è destinata prima o poi a naufragare. Per edificare su solide basi la nuova Europa, così come rinforzare quelle dell'Italia, non basta certo fare appello ai soli interessi economici che, se talvolta aggregano, altre volte dividono, ma è necessario far leva piuttosto sui valori autentici, che hanno il loro fondamento nella legge morale universale, inscritta nel cuore di ogni uomo. Un'Europa o un'Italia che scambiasse il valore della tolleranza e del rispetto universale con l'indifferentismo etico e lo scetticismo sui valori irrinunciabili, si aprirebbe alle più rischiose avventure e vedrebbe prima o poi riapparire sotto nuove forme gli spettri più paurosi della sua storia. Di questo non possono non tener conto anche quanti si pongono, in questi anni, il problema di dare all'Europa un nuovo assetto, che aiuti il vecchio Continente a far tesoro delle ricchezze della sua storia, rimuovendo le tristi eredità del passato, per rispondere con un'originalità radicata nelle migliori tradizioni alle istanze del mondo che cambia. Non c'è dubbio che, nella complessa storia dell'Europa, il cristianesimo rappresenti un elemento centrale e qualificante, consolidato sul saldo fondamento dell'eredità classica e dei molteplici contributi arrecati dagli svariati flussi etnico-culturali che si sono succeduti nei secoli.
La fede cristiana ha plasmato la cultura del Continente e si è intrecciata in modo inestricabile con la sua storia, al punto che questa non sarebbe comprensibile se non si facesse riferimento alle vicende che hanno caratterizzato prima il grande periodo dell'evangelizzazione, e poi i lunghi secoli in cui il cristianesimo, pur nella dolorosa divisione tra Oriente e Occidente, si è affermato come la religione degli europei stessi. Anche nel periodo moderno e contemporaneo, quando l'unità religiosa è andata progressivamente frantumandosi sia per le ulteriori divisioni intercorse tra i cristiani sia per i processi di distacco della cultura dall'orizzonte della fede, il ruolo di quest'ultima ha continuato ad essere di non scarso rilievo.
Il cammino verso il futuro non può non tener conto di questo dato, e i cristiani sono chiamati a prenderne rinnovata coscienza per mostrarne le potenzialità permanenti. Essi hanno il dovere di offrire, come san Francesco, alla costruzione dell'Europa uno specifico contributo, che sarà tanto più valido ed efficace, quanto più essi sapranno rinnovarsi alla luce del Vangelo. Si faranno, così, continuatori di quella lunga storia di santità che ha attraversato le varie regioni d'Europa nel corso di questi due millenni, nei quali i santi ufficialmente riconosciuti non sono che i vertici proposti come modelli per tutti. Innumerevoli sono, infatti, i cristiani che con la loro vita retta e onesta, animata dall'amore di Dio e del prossimo, hanno raggiunto nelle più diverse vocazioni consacrate e laicali una santità vera e grandemente diffusa, anche se nascosta. In questa prospettiva, il Poverello è veramente “il più italiano tra gli italiani”: perché si è fatto strumento di pace e di giustizia, di unità e di concordia tra gli uomini e le donne del suo tempo e ha incarnato sine glossa il Vangelo di Gesù Cristo – la persona del Figlio di Dio – come sua propria forma di vita.
La Chiesa non dubita che proprio questo tesoro di santità sia il segreto del suo passato e la speranza del suo futuro. È in esso che meglio si esprime il dono della redenzione, grazie al quale l'uomo è riscattato dal peccato e riceve la possibilità della vita nuova in Cristo. È in esso che il popolo di Dio in cammino nella storia trova un sostegno impareggiabile, sentendosi profondamente unito alla Chiesa gloriosa, che in Cielo canta le lodi dell'Agnello (cf. Ap 7,9-10) mentre intercede per la comunità ancora pellegrina sulla terra. Per questo, fin dai tempi più antichi, i santi sono stati guardati dal popolo di Dio come protettori e con una singolare prassi, cui certo non è estraneo l'influsso dello Spirito Santo, talvolta su istanza dei fedeli accolta dai pastori, talaltra per iniziativa dei pastori stessi, le singole Chiese, le regioni e persino i continenti, sono stati affidati allo speciale patronato di alcuni santi.
In questa prospettiva, i cristiani europei, mentre vivono con tutti i loro concittadini un trapasso epocale ricco di speranza e insieme non privo di preoccupazioni, possono trarre spirituale giovamento dalla contemplazione e dall'invocazione di alcuni santi che sono in qualche modo particolarmente rappresentativi della loro storia.
2. Qual è la nostra vera cittadinanza?
Francesco, “il più santo fra gli italiani e il più italiano fra i santi”, senza rinunciare affatto alla sua fede in Cristo, ha saputo svolgere un dialogo interculturale e interreligioso molto profondo. Il suo percorso testimonia, infatti, un coraggio e una forza eccezionali, una fede vigorosa, un'indiscutibile capacità di rompere gli schemi consueti e tradizionali della religiosità del tempo. Egli non ebbe paura delle diversità, delle fedi altrui. Egli rilesse le diversità come risorse e l'alterità come cifra rivelativa di Dio. San Francesco è l'antesignano del cittadino italiano nel senso più nobile del termine, per il grande senso di appartenenza a quella Patria che è nei cieli. La povertà da lui testimoniata fu una lezione di moralità pubblica e indicò una strada ancora oggi da percorrere fino in fondo, quella di lavorare con passione, slancio, fiducia, al di fuori di ogni logica di contrapposizione e rivalità personale, per una comunità fondata su più solidi valori. Nell'incontro con il Sultano, Francesco ci ha fatto capire che senza il valore del dialogo, tra le religioni e i popoli, si afferma la violenza. Si tratta d'una violenza che è sotto gli occhi di tutti e che ancora oggi insanguina l'umanità. Francesco è anche “il più italiano dei santi” perché ha saputo sempre parlare alla gente che incontrava per le strade del nostro Paese con le parole giuste in ogni momento della sua storia. Egli è un esempio di vangelo vissuto che ci può aiutare a mantenere le linee della nostra fede anche in tempo di multiculturalismo.
Francesco è e resta un fratello universale e un uomo veramente cattolico – quindi “più santo e italiano dei santi e degli italiani” – perché non ha avuto paura dell'uomo: ha incarnato Cristo lì dove ha incontrato gli uomini e le donne del suo tempo. “Cattolico”, in questa prospettiva, significa assumere ogni cultura senza identificarsi completamente con alcuna di esse, bensì attraversarle tutte con la forza del Vangelo e lasciarsi arricchire da quello che le culture, le fedi e i popoli portano dentro come bellezza e segno di Dio. Il Poverello ci ha ricordato che evangelizzare non è solo annunciare Cristo e la verità del Vangelo, bensì, anzitutto, lasciarsi raggiungere dall'altro così com'è e accoglierlo nella sua assoluta differenza come dono per noi. Il superamento di barriere, pregiudizi, paure e ostacoli che Francesco realizzò non solo attraverso l'incontro con il Sultano , ma anche e soprattutto in fraternità e con se stesso, nonché nella Chiesa, nelle città ricche del suo tempo, ci fa comprendere che la nostra patria è veramente nei cieli (cf. Fil 3,20) e che i santi, concittadini di Dio, sono pure cittadini delle nostre terre, i nostri vicini di casa, perché confidenti e, molto di più, vicini a noi nella preghiera, nell'intercessione, nell'esempio, nell'amore.
Nell'ottobre del 1986, in Assisi, le religioni non erano una accanto all'altra, immagini di mondi estranei. Ammirando quello scenario, non fu difficile percepire che le religioni, convocate da Giovanni Paolo II, erano legate tra loro da un filo invisibile di matrice francescana o, anche, erano tutte entro lo stesso spazio teologico, inteso come “potenza senza potere”. È la concezione del Dio francescano che s'impone e tiene insieme tutte le religioni. Pur essendo fonte dell'essere, Dio non si propone come fondamento d'alcunché – matrice remota dei fondamentalismi – ma come sorgente del nuovo, da progettare e costruire, con fiducia e con fatica. Secondo quale stile? Lo stile della Croce, ispirato alla “potenza senza potere”, e cioè offrendo, dispiegando, esponendo tutto ciò che si è e si ha, come il sole, la cui luce ti illumina, ma solo se apri la finestra, o come la rosa che espone la sua bellezza, anche se non le doni uno sguardo. E ora, quelle stesse religioni, convocate il 27 ottobre 2011 da Benedetto XVI, di cosa sono state l'immagine se non della “potenza senza potere”? E di cos'altro ha bisogno l'umanità? È l'affascinante lezione di Assisi, terra di tutti, ma specialmente di Francesco, nostro fratello universale, il “più santo tra gli italiani e il più italiano fra i santi”.
Il Poverello canta ancora oggi, tra le mura di Assisi e delle città del mondo che, se Dio è Padre di tutti, allora noi siamo tutti fratelli e sorelle, senza alcuna divisione, barriera, pregiudizio o discriminazione. Francesco sembra dirci, ancora oggi, che le vie del Vangelo sono infinite, così come le strade del mondo!
3. La bellezza di Francesco
Il fascino di Francesco seduce l'uomo di ogni tempo e religione. Il suo ascendente, ancora oggi, non è quello del mercante convertito, del penitente o del povero che soffre, né del mistico stigmatizzato. C'era una preoccupazione inquieta, nonché una freschezza e una spontaneità incomparabile, nelle parole di fra Masseo che, incontrando il Poverello, gli chiese: «Perché a te, perché a te, perché a te? Santo Francesco risponde: “Che è quello che tu vuoi dire?”. Disse frate Masseo: “Dico, perché a te tutto il mondo viene dirieto, e ogni persona pare che desideri di vederti e d'udirti e d'ubbidirti? Tu non se' bello uomo del corpo, tu non se' di grande scienza, tu non se' nobile; onde dunque a te che tutto il mondo ti venga dietro?”».
Francesco ci spiega il senso autentico della Bellezza, quella che salverà il mondo. Non è bello ciò che piace, né la forma perfetta, nell'armonia tra le parti: è bello ciò che riconcilia, ciò che ci dona pace. Francesco era bello, ed è bello, perché è un uomo riconciliato, è una creatura pacificata che pacifica. Il canone della Bellezza non è estetico ma soteriologico: è bello ciò che ci salva. E, per Francesco, il volto del Cristo-Crocifisso è il volto più bello che egli abbia mai incontrato. La Bellezza da lui cantata è la forma dell'Amore-crocifisso. Anche noi, oggi, nel Terzo Millennio, nella vita di comunità e nell'annuncio del Vangelo, più che strategie ammalianti e accattivanti, dobbiamo scoprire questo fascino della Bellezza ultima, il Cristo, liberandoci dalle smanie delle bellezze penultime, quelle che finiscono, quelle che ci lasciano attaccati solo a sorella Terra e non ci permettono di cantare “sorella morte” e di attendere il Regno di Dio. In tal senso, Francesco non è semplicemente “il più santo tra gli italiani e il più italiano fra i santi”, bensì “il più bello fra i santi e gli italiani”. Egli è bello perché resta attaccato a Dio, alle cose ultime e nuove, a quell'Amore eterno e crocifisso, divino e carnale, scandalosamente umano, troppo umano, che è il Verbo della vita, Gesù Cristo, il Figlio di Dio che verrà a giudicare il mondo e i popoli alla fine dei tempi.
Edoardo Scognamiglio
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