LA CHIAVE DI TUTTO, IL TESTAMENTO DI FRANCESCO

di Franco Cardini

E’ davvero straordinario come, in confronto ad esempio del Cantico delle Creature – senza dubbio una delle poesie più belle che siano mai state scritte al mondo -, si legga ancora poco, e meno si mediti, quello straordinario documento che è il Testamento di Francesco. Si continua a discutere a proposito della conversione di Francesco e delle relative circostanze: eppure è molto difficile riuscire a comprendere sino in fondo, a cogliere il nucleo e la chiave di tutto contenuti in queste semplici parole, pure e cristalline come l’acqua di fonte: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse tra loro e usai con essi misericordia”. Dicono che in una sola goccia v’è un universo, milioni di mondi, miriadi di sistemi solari. Così in queste poche parole. Anzitutto lo sconfinato amore e la straordinaria predilezione di Dio; e il dono della penitenza, lo strumento che apre ogni porta, che prosciuga i mari e spiana le montagne. La penitenza è come la rete gettata dalla sponda della barca dei pescatori del lago di Genezareth: l’anima, povero pesciolino ignaro, non sa niente, ma il groviglio delle forti fibre la ghermisce ed essa si ritrova là dove pensava ci fosse la morte, rovesciata con i suoi compagni sulle ruvide assi del ponte. Solo che, là dov’era convinta di trovare la morte, s’imbatte invece nella Vita più vera. Quella Vita è la misericordia. Doveva esser baldo e coraggioso, il giovane Francesco di Bernardone. Certo non temeva la morte: lo aveva dimostrato, là sulla piana tra Perugia e Assisi, quando lo avevano preso prigioniero. Dicono che restasse fiero e allegro, che facesse coraggio agli altri. Forse pensava a Rolando ferito che impugna Durendal di chiaro e puro ferro, che suona il suo corno da caccia sino a farsi scoppiare le vene delle tempie. E’ dolce la morte del cavaliere, quando gli angeli scendono a raccogliere il guanto ch’egli offre loro in segno di fedeltà a Dio e lontano, nelle quiete stanza di un’alta rocca, c’è una ragazza che piange e che prega che lui torni… …ma non così, non così! Oh Signore Dio degli Eserciti, dammi la bella morte attorniato dai tuoi nemici, dai cani saraceni, dai barbari mostruosi, dammi la morte che sa di sudore e di sangue, che odora dell’erba dei prati calpestati dagli zoccoli dei destrieri e dell’afrore del cuoio delle selle! Ma allontana da me quella morte, l’orrore del corpo che si liquefa in pus e croste orribili, la cancrena degli arti che cadono, la carne livida di marciume e tanto sofferente da non avvertire più nemmeno il morso del ferro tagliente, lo schiaffo del fuoco atroce! Ed ecco che invece è tutto diverso. Il Signore ti ha preso per mano, Francesco di Bernardone, e ti ha condotto in mezzo ai fratelli lebbrosi. E quel che ti pareva amaro ti è apparso dolce, e quel che ti faceva ribrezzo e orrore si è trasformato in una coltre di rose, in un profumato mare di spezie preziose. La misericordia che hai provato una volta per tutte e che poi hai continuato a provare per sempre, frate Francesco, è la formula magica che domina il mondo, che schiude i fiori e matura i frutti, che attrae verso le gemme chiuse nel ventre della terra la potenza virtuosa degli astri e che dall’amore di un uomo e di una donna sa generare nuova vita. “L’Amor, che mòve il sole e l’altre stelle”.