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La Festa di San Francesco - l'Omelia di S. E. MONS. LUIGI BRESSAN per la celebrazione del Transito a S. Maria degli Angeli

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



La lettera di san Paolo ai Filippesi ci ricorda la dimensione trascendente della nostra esistenza e il senso stesso di un pellegrinaggio. Quando preghiamo il Salve Regina affermiamo di essere pellegrini in questo mondo; al contrario, pur di fronte alla realtà quotidiana della morte, la cultura odierna tende a offuscarne il ricordo, facendo dimenticare un aspetto che è componente essenziale della natura umana e con questo oblio si nasconde anche la speranza che ci propone invece la fede cristiana. San Paolo scriveva che non abbiamo qui una dimora permanente, ma “sappiamo che quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un'abitazione, una dimora non costruita da mani d'uomo, eterna, nei cieli” (2Cor 5,1). La morte corporale resta tuttavia dolorosa e sarebbe inaccettabile se significasse la fine della vita, l'immersione nel nulla. E ancora l'Apostolo Paolo commentava che saremmo ben infelici se credessimo soltanto in questa dimensione terrena dell'esistere (cfr. 1 Cor 15,19), mentre nell'approccio che egli ci testimonia nella lettura paolina che ci è stata proposta a commento del pio Transito di san Francesco, riscontriamo una serenità particolare che fu pure del santo di Assisi. I testi che abbiamo ascoltato testimoniano un'assunzione della vita in tutta la sua pienezza, ma anche la fiducia di incontrare, attraverso la morte, il Cristo che già è operante nella nostra esistenza, ma che si rivelerà a noi in modo più completo oltre la nostra tomba. E' lui infatti che dà senso al nostro esistere, lui che ha sofferto di fronte alla morte, ma che l'ha accettata in fedeltà alla sua missione e l'ha vinta non respingendola, ma attraversandola nella sua stessa esperienza, per essere in tutto nostro fratello; l'ha trasformata così da chiusura di un'esistenza in passaggio a uno stato più perfetto di appartenenza alla vita divina. La salvezza cristiana infatti non significa soltanto la sopravvivenza dell'anima ed anzi la sua elevazione, ma coinvolge tutto il nostro vivere quotidiano. Lo nota san Paolo: “So infatti che tutto questo – quanto sta sperimentando nella vita quotidiana, nella prigionia ma anche nel cammino delle comunità da lui fondate – servirà alla mia salvezza (…) nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia”.

Presi dalla dimensione sociale del cristianesimo, poniamo talvolta da parte la pietra fondamentale che è la stessa Persona di Cristo; rischiamo allora di essere come una pianta senza radici, destinata quindi a non produrre più frutti. Paolo invece sente che Cristo vive in lui o meglio egli vive in Cristo e prosegue: “tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose – compresi si può spiegare i suoi propri progetti di azione apostolica - al fine di guadagnare Cristo”. Non è alienante questo pensiero: basti pensare al costante impegno dell'Apostolo per il bene delle comunità e all'opera di san Francesco per la pace nella sua epoca e alla carità sempre esercitata dai seguaci di san Francesco ed ancora oggi praticata anche nelle nostre città. Come non ricordare qui poi l'immenso stuolo di missionari e missionarie che portano nel mondo il nome francescano e sono un così distinto onore per la Chiesa cattolica. Proprio in questo luogo, che ricorda anche la misericordia di Dio e l'interessamento di san Francesco per il perdono in favore degli altri, il cardinale Joseph Ratzinger, ora papa Benedetto XVI, commentava nel 1996: “Non si tratta di chiedere più: sarò salvato? Ma: che cosa vuole Dio da me perché altri siano salvati? (…) La Porziuncola e l'Indulgenza, che da lì ha avuto origine, diventano un compito, un invito a mettere la salvezza degli altri al di sopra della mia e, proprio in questo modo, a trovare anche se stessi (…). Ci lasciamo cadere nella comunione dei santi, per cooperare con essi alla vittoria del bene sull'apparente onnipotenza del male, sapendo che alla fine tutto è grazia.”

In questo testo si riflette una visione che viene da Gesù stesso che dichiarava: “Chi vuol salvare la sua vita [cioè conservarla per sé egoisticamente] la perde; chi la perde [apparentemente, perché si dona agli altri, in realtà] la guadagna”. E' una mentalità che va contro il senso dell'edonismo individualista ed è per questo che, proprio in questo luogo, sul giaciglio che lo accolse per gli ultimi giorni, il Padre Francesco raccomandava “più di ogni altra norma il Vangelo”, come abbiamo inteso dal racconto della sua morte. Per comprendere veramente la vita in tutte le sue dimensioni e poterla quindi realizzare secondo la vocazione che ciascuno ha, poiché ognuno è portatore di una missione, anche a noi è rivolto l'invito a leggere il Vangelo. Troppi cristiani si limitano a una catechesi per l'età infantile e adolescenziale, e non vanno oltre qualche titolo della stampa, qualche annuncio o dibattito televisivo, senza prendere in mano la Sacra Scrittura. Insieme con i vescovi del nordest, anche noi vescovi delle diocesi qui rappresentate abbiamo raccomandato che i genitori, che intendono accompagnare i figli nell'iniziazione alla vita cristiana, leggano integralmente almeno uno dei quattro Vangeli. La Parola di Dio scritta è un dono immenso che il Signore ci fa. Accanto ad esso vi è quello dei sacramenti, e soprattutto dell'Eucaristia, pane di vita. Immergendoci nella comunione fraterna, ascolteremo con più frutto la Parola di Dio, parteciperemo come cristiani attivi alla celebrazione della lode, della supplica, dell'accoglienza di Cristo fattosi carne per noi, che ora si offre per il nostro bene sotto le specie del pane e del vino consacrati. E' veramente il culmine e la fonte della nostra vita. Il soffermarci quindi sul Transito di san Francesco non è una semplice rievocazione storica; allo stesso modo, il considerare la morte di altri ci purifica circa la visione della vita e della nostra stessa responsabilità nel tempo concessoci; in questa riflessione comprenderemo la grandezza del dono che è fatto anche a noi, come a san Paolo, del conoscere Cristo Gesù, nel senso di essere amati da lui e di poterlo amare. Come san Francesco anche noi potremo diventare testimoni di speranza, anche di fronte alle prove della vita, ed anzi messaggeri di coraggio per tutti, fondandoci sulla verità di Cristo che nella sua risurrezione ha vinto la stessa morte.

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