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Papa Francesco: i vescovi siano testimoni, non manager

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Vescovi che non siano “apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie” e non vengano scelti in base a “eventuali scuderie, consorterie o egemonie”. Vescovi che rimangano in diocesi e non vadano in giro per “incontri e convegni”. Vescovi selezionati in Vaticano perché “scelti dallo Spirito santo”, richiesti dal “Popolo santo di Dio” (“Non esiste un pastore standard per tutte le Chiese”), testimoni della risurrezione, annunciatori della salvezza, pastori capaci di agire non “per sé” ma “per la Chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare”. Papa Francesco ha concesso stamani una inedita udienza alla congregazione per i vescovi, il dicastero vaticano che selezione i vescovi di tutto il mondo. Ha ringraziato il cardinale prefetto Marc Ouellet, i cardinali, i vescovi, gli officiali per il “compito generoso e impegnativo”. Ed ha indicato, in un discorso lungo e molto personale, i criteri e il senso della scelta dei successori degli apostoli.

Il Papa è partito dalla domanda di rito posta da chi presiede un’ordinazione episcopale alla “Chiesa riunita” che presenta il candidato, “Avete il mandato?”, per spiegare che tale questione “si potrebbe anche esprimere così: Siete certi che il suo nome è stato pronunciato dal Signore”. Di conseguenza, “questa Congregazione – ha detto il Papa nel discorso pronunciato alle 9.30 nella sala Bologna del palazzo apostolico e diffuso in fine mattinata dalla sala stampa della Santa Sede – esiste per aiutare a scrivere tale mandato, che poi risuonerà in tante Chiese e porterà gioia e speranza al Popolo Santo di Dio. Questa Congregazione esiste per assicurarsi che il nome di chi è scelto sia stato prima di tutto pronunciato dal Signore. Ecco la grande missione affidata alla Congregazione per i Vescovi, il suo compito più impegnativo: identificare coloro che lo stesso Spirito Santo pone alla guida della sua Chiesa”.

“Il Popolo santo di Dio – ha detto Bergoglio – continua a parlare: abbiamo bisogno di uno che ci sorvegli dall’alto; abbiamo bisogno di uno che ci guardi con l’ampiezza del cuore di Dio; non ci serve un manager, un amministratore delegato di un’azienda, e nemmeno uno che stia al livello delle nostre pochezze o piccole pretese. Ci serve uno che sappia alzarsi all’altezza dello sguardo di Dio su di noi per guidarci verso di Lui”. Per questo, “la gente percorre faticosamente la pianura del quotidiano, e ha bisogno di essere guidata da chi è capace di vedere le cose dall’alto. Perciò non dobbiamo perdere mai di vista le necessità delle Chiese particolari a cui dobbiamo provvedere. Non esiste un pastore standard per tutte le Chiese. Cristo conosce la singolarità del Pastore che ogni Chiesa richiede perché risponda ai suoi bisogni e la aiuti a realizzare le sue potenzialità. La nostra sfida è entrare nella prospettiva di Cristo, tenendo conto di questa singolarità delle Chiese particolari”.

Il Papa ha poi ricordato “il momento in cui la Chiesa Apostolica deve ricomporre il Collegio dei Dodici dopo il tradimento di Giuda” per indicare i criteri di riferimento: “C’è bisogno di selezionare tra i seguaci di Gesù i testimoni del Risorto”. Innanzitutto, “il coraggio di morire, la generosità di offrire la propria vita e di consumarsi per il gregge sono inscritti nel DNA dell’episcopato. La rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale. E questo voglio sottolinearlo: la rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale. L’episcopato non è per sé ma per la Chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare”. Pertanto, “per individuare un vescovo, non serve la contabilità delle doti umane, intellettuali, culturali e nemmeno pastorali” e “il profilo di un vescovo non è la somma algebrica delle sue virtù”. Certo servono persone che hanno “relazioni sane”, “solidità cristiana”, “comportamento retto”, “preparazione culturale”, “ortodossia”, “discipilina”, “capacità di governare con paterna fermezza”, “trasparenza” e “distacco nell’amministrare i beni della comunità”, ma “tutte queste imprescindibili doti devono essere tuttavia una declinazione della centrale testimonianza del Risorto, subordinati a questo prioritario impegno”.

Nella selezione dei vescovi di tutto il mondo, la congregazione vaticana deve poi “assicurare la sovranità di Dio”, che è “il vero Autore delle nostre scelte”: “Le scelte non possono essere dettate dalle nostre pretese, condizionate da eventuali ‘scuderie’, consorterie o egemonie. Per garantire tale sovranità ci sono due atteggiamenti fondamentali: il tribunale della propria coscienza davanti a Dio e la collegialità”.

I vescovi devono poi essere “kerigmatici” e annunciare la salvezza: “Uomini custodi della dottrina non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo. La Chiesa – ha detto il Papa argentino – non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza. Vescovi consapevoli che anche quando sarà notte e la fatica del giorno li troverà stanchi, nel campo le sementi staranno germinando. Uomini pazienti perché sanno che la zizzania non sarà mai così tanta da riempire il campo”. I vescovi devono pertanto essere pazienti. “Dicono – ha detto a questo punto Bergoglio – che il cardinale Siri soleva ripetere: ‘Cinque sono le virtù di un Vescovo: prima la pazienza, seconda la pazienza, terza la pazienza, quarta la pazienza e ultima la pazienza con coloro che ci invitano ad avere pazienza’”.

Il vescovo, ancora, deve essere “orante”, uomo di preghiera, “capace di ‘entrare in pazienza’ davanti a Dio, guardando e lasciandosi guardare, cercando e lasciandosi cercare, trovando e lasciandosi trovare, pazientemente davanti al Signore”, perché “un uomo che non ha il coraggio di discutere con Dio in favore del suo popolo non può essere vescovo - questo lo dico dal cuore, sono convinto - e neppure colui che non è capace di assumere la missione di portare il popolo di Dio fino al luogo che Lui, il Signore, gli indica”.

Infine, i vescovi devono essere pastori “vicini alla gente”, ha detto il Papa rievocando il suo discorso ai rappresentanti pontifici: “La Chiesa – ha detto citando il testmaneto dell’apostolo Paolo – rimane quando si dilata la santità di Dio nei suoi membri. Quando dal suo cuore intimo, che è la Trinità Santissima, tale santità sgorga e raggiunge l’intero Corpo”. Il Concilio Vaticano II, ha ricordato, afferma che ai vescovi “è pienamente affidato l’ufficio pastorale, ossia l’assidua e quotidiana cura del gregge”. In questo senso, “è importante ribadire che la missione del vescovo esige assiduità e quotidianità. Io penso che in questo tempo di incontri e di convegni è tanto attuale il decreto di residenza del Concilio di Trento: è tanto attuale e sarebbe bello che la Congregazione dei Vescovi scrivesse qualcosa su questo. Al gregge – ha detto il Papa – serve trovare spazio nel cuore del Pastore. Se questo non è saldamente ancorato in sé stesso, in Cristo e nella sua Chiesa, sarà continuamente sballottato dalle onde alla ricerca di effimere compensazioni e non offrirà al gregge alcun riparo”. Il Papa ha concluso augurando alla congregazione per i vescovi di vivere di una “santa inquietudine”.Vatican Insider

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