Curiosità: un paese si compra il convento per tenerlo aperto
Colletta pubblica degli abitanti di Lugnano in Teverina per evitare che Sant'Antonio dei Cappuccini venga venduto agli speculatori
Chissà la faccia che hanno fatto!», attacca Lamberto. «Chissà la sorpresa...», gli sta dietro Mauro. Poi è tutto
uno sbattere di mani che escono da camicie arrotolate, dita nodose a coprire i sorrisi. Alla fne Nevino compie
il senso, con l'entusiasmo di chi potrebbe ricominciare una storia all'infnito: «Ma lei s'immagina? Uno alza la
cornetta e sente: "Salve, siamo i cittadini di Lugnano in Teverina, vorremmo acquistare il Convento di
Sant'Antonio dei Cappuccini"». Dove "uno", sta per il curatore amministrativo della Diocesi di Terni, Narni e
Amelia, cui fa riferimento l'agenzia immobiliare incaricata della vendita dei beni di proprietà della Curia, per
sanare un grosso ammanco più volte salito in cronaca. Ma quando nell'elenco è comparso l'antico
monumento francescano, che nel 1579 i lugnanesi avevano costruito portando da sé pietra su pietra per
farne dono alla confraternita, nelle viuzze di pietra del piccolo centro medievale, catalogato tra i Borghi più
belli d'Italia, si è iniziato a fare pratica con parole come "fundrising".
Che dalle botteghe della piazza è
rimbalzato di porta in porta come: "la grande colletta cittadina e nazionale". Così, se l'Italia in affanno mette
sul mercato i simboli artistici della sua storia, se grandi aziende di Stato hanno timbrato il passaporto, se
persino una squadra come l'Inter ha espatriato i suoi regnanti, a Lugnano si prova a fare lezione di orgoglio
nazionale e a ridare senso al concetto di "bene comune".
Parte prima: nella campagna. Ma questo accade
nel mezzo della giornata, con le sedie già in cerchio nell'imponente ex fabbrica di trasformazione alimentare e
olearia di inizio Novecento all'entrata del paese, e con i promotori dell'iniziativa che confabulano tra loro. Il
nostro racconto comincia invece qualche ora prima, tra infniti colli gonf di pioggia, e cieli che ribollono sole e
nuvole, stampando sulla rètina mosaici pezzati di verde e oro. È questo il versante meridionale dell'Umbria
che guarda al Lazio, che non è solo terra mistica: ma civiltà rurale con grande passato di autonomia, e dove
molti artisti hanno trovato il loro "buen retiro".
Tra questi, è toccato ad Arturo Annecchino, musicista tra i più
amati in teatro e al cinema, residente qui da tanti anni da chiamare Lugnano la sua terra, di imbattersi un
giorno d'estate nell'annuncio in internet: «Vendesi antico monastero, inserito in meraviglioso parco di 60mila
metri quadrati...». «Non ci volevo credere!» ricorda: «E siccome all'incredibile si risponde con i sogni,
parlando con un vicino nasce l'idea di ricomprarlo noi lugnanesi». Detto fatto: Arturo chiama Mauro
l'elettricista, che chiama Lamberto l'idraulico che ne parla in paese, e così inizia il telefono senza fli che a
poco a poco trasforma il sogno in progetto. «La reazione è sempre la stessa», sorride il musicista in una nube
di capelli brizzolati: «Prima l'incredulità, una notte di pensieri, e poi ti richiamano: ci sto». Iniziano dunque le
riunioni di cittadini: alla prima, ad agosto, sono in tre; alla seconda si aggiunge Nevino, imprenditore edile, e
politici di sinistra e di destra a fare otto; alla terza sono già in trenta e ci sono pure il parroco Don Cristoforo e
il presidente della banda; la pro loco e associazioni varie di arti e mestieri.
Il Palazzo e il Campanile,
insomma, uniti per restituire un bene alla comunità, con buona pace dei guelf che governarono in queste terre
ex pontifcie, e dei vicini ghibellini che cercarono di farne preda.
Parte seconda: a Lugnano. E ritorniamo nel
cerchio di sedie dell'ex fabbrica, a conoscere altri protagonisti. L'agitazione è molta: in serata si terrà qui la
prima riunione di tutta la cittadinanza. Alle prove pomeridiane c'è anche il sindaco, Nadia Moretti, e gli siede
accanto il consigliere di minoranza Alessandro Dimiziani, entrambi in veste di privati cittadini: «Perché si
tratta di Polis non di Politica», chiariscono. Arrivano poi Claudio il commercialista, Gianluca il fotografo, Laura
che fa l'insegnante e Matteo l'architetto... «È stato lui a chiamare la Curia», viene segnato a dito quest'ultimo.
«Tre milioni e trecentomila euro è la richiesta», scuote la testa Lamberto. Cristian, avvocato arrivato
appositamente da Perugia per mettere a disposizione il suo servizio, è ottimista: «Vi verranno incontro,
vedrai», ribatte, mentre la comitiva si sposta in visita al convento, un paio di chilometri dal borgo.
Di come
raggiungere l'altissimo montepremi se ne parla con le braccia incrociate dietro schiene curve, mentre camminiamo nell'immenso patrimonio verde del costrutto: chilometri di sentieri tracciati intorno a un corpo
principale adibito a struttura ricettiva dopo un brutto restauro per il Giubileo, un vecchio chiostro interno e una
chiesa consacrata su un lato. Dai Cappuccini il monastero e la sua terra passarono a privati, quindi alla
Fondazione Gnocchi, e dalla fne dei '90 alla Curia. «E ora si rischia che se lo prenda qualche nuovo
feudatario e lo tolga alla città, come è successo al nostro Convento di San Francesco», sbotta Nevino che è il
più loquace, e indica oltre gli ulivi bagnati a valle, più di ottocento varietà da cui si trae olio pregiatissimo, fino
al vecchio monastero del 1212, dove si ricorda il miracolo del lupo del Santo di Assisi, oggi divenuto
residence.
«Invece no», prende per le corna lo sconforto Alessandro: «Perché Lugnano è stato sempre libero
Comune, e qui i nobili non ce li abbiamo mai voluti, è scritto così anche nello Statuto del '500».
Parte terza:
all'ex fabbrica. Quando i cittadini iniziano ad arrivare alla riunione serale, degli occhi stupiti e buoni da santi
contadini pare di sentire il bisbiglio: «È una follia, noi siamo solo in 1.600 abitanti, e il prezzo è altissimo». Si
dividono, allora, in due liste: di qua chi già sa i dettagli, di là chi vuole ascoltarli. E gli uni raccontano agli altri
che non è giusto, che quello è un bene di tutti, che si tratta di rinunciare a una pizza al mese, che si inizia con
una colletta in paese e poi altri seguiranno da tutta l'Italia. «Proprio così», alzano la posta alcuni arrivati dai
paesi vicini, Amelia e Porchiano.
«Anche da noi vendono castelli e mulini: facciamo una colletta tutti, e
salviamo i nostri monumenti». Qualcuno prende anche degli applausi, e poi la paura si scioglie in desideri:
«Nel convento potremmo fare un orto comunitario», inizia uno. «Un ostello e punto ristoro che autofnanzi le
spese», si alza un altro. «Un rifugio per i bambini profughi», aggiunge un giovane. «Un luogo di meditazione,
di yoga, di incontro di tutte le religioni...», si continua da più parti. Non si fnirebbe più, ma bisogna fssare dei
punti, e Arturo Annecchino riprende qui il bandolo della faccenda: «Facciamo una fondazione, ci diamo un
nuovo statuto, e iniziamo a trattare con la Curia». E così si è deciso, e pure che partirà una lettera a Papa
Francesco. Tutto questo accadeva un giorno di ottobre. Dopo la riunione nuvole gravide facevano a gara col
buio. Ma l'entusiasmo era ormai più forte della paura, e da allora non si è più fermato. In un buffet
improvvisato, si sbattevano bicchieri, si parlava felici con la bocca piena di bruschette di pane sciapo. «Ma
non è un fnale a tarallucci e vino», sentiamo in un orecchio: «Perché questo è l'olio di Lugnano, e ce lo
invidiano in tutto il mondo».(Corriere della Sera - Sette)
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