San Francesco e le stigmate, un secolo di dibattiti
Stigmata: in latino «segni», «punture», «tatuaggi». In italiano sappiamo
di che cosa si tratta. O crediamo di
saperlo: perché in realtà il problema è
complesso. Per molti di noi, che amano
Francesco d’Assisi anche senza saperne
granché, l’immagine resterà sempre
quella, sempre così: lui inginocchiato sullo sfondo di rocce e di boschi, lo sguardo
rivolto al cielo; e su di lui un arcano Volatile, un Essere avvolto in sei ali di fuoco, e
5 raggi d’oro che dall’alto trafiggono le
mani, i piedi, il costato del povero fraticello. Questo ci basta, continuerà a bastarci. Non era mai successo prima; sarebbe successo dopo, più volte: a Caterina da Siena, a Teresa d’Avila, a
Pio da Pietrelcina. Ferite che,
con alcune variabili, appaiono
simili a quelle inferte al Cristo
sulla croce. Ma erano davvero
così, quelle del Cristo? E come si
sono manifestate, poi, sul corpo
di alcuni fedeli dolorosamente
«privilegiati»?
E, nel caso di
Francesco, che aspetto avevano? E lui come le accolse? E i
suoi compagni, e i capi della
Chiesa che da vicino lo sorvegliavano, e il popolo di Dio che lo amava,
come accolsero quella novità così sconvolgente, così inattesa? Il problema delle
stimmate nel Povero d’Assisi fu affrontato
non molti anni fa, con spregiudicato coraggio, da Chiara Frugoni in un discusso
libro dal titolo provocatorio, ma col quale
è stato da allora in poi inevitabile fare i
conti: Francesco e l’invenzione delle stimmate (Einaudi 1993). Da lei, che aveva
studiato con attenzione le prime immagini pittoriche del Santo e le aveva confrontate con le testimonianze scritte – dal
primo annunzio, dato da frate Elia dopo
il suo transito, in poi –, apprendemmo fra
l’altro che le constatazioni più antiche di
quei segni testimoniavano, almeno per
quelli alle mani e ai piedi, come si trattasse di escrescenze carnose scure, in forma
di chiodi, piuttosto che non di ferite.
Una
grazia specialissima, per molti fedeli: non
per tutti, dal momento che la fede nelle
stimmate, come quella nelle reliquie o
nei miracoli, non è articolo di fede; e, del
resto, in materie come questa la Chiesa ci
va tradizionalmente con i piedi di piombo. Eppure si tratta di un fenomeno constatato e constatabile come fisico, che si è
ripetuto in seguito di rado, ma con una
frequenza superiore a quanto non si creda; che è stato testimoniato, analizzato,
studiato. Per Francesco, certo, è un problema di fonti, cioè di testimonianze:
scritte, iconiche, materiali che siano.
Quello delle stigmate non era mai stato
tutto sommato un gran problema culturale, ma tutto cambiò alla fine dell’Ottocento, nel clima di crescente tensione
che nei Paesi cattolici si era ormai creato
tra la Chiesa e i credenti da una parte, il
mondo laico – e "laicista" – dall’altra.
Quel clima politico e civile andò anche riflettendosi, nel mezzo secolo a cavallo tra
i due secoli, anche nel mondo scientifico
e nell’atteggiamento di studiosi e di ricercatori. Nel 1893 venne pubblicato a Parigi
(e l’anno successivo inserito dalla Chiesa
nell’Index librorum prohibitorum) un
ponderoso e fondamentale saggio di Paul
Sabatier, protestante e allievo di Ernest
Renan, Vie de François d’Assise.
e. Da allora
al biennio 1924-26, settimo centenario
delle stimmate e quindi del transito
dell’Assisano, nacque un’accesa e interminabile polemica proprio sulla natura,
sulla realtà, sulla plausibilità scientifica
delle stimmate: in essa entrarono studiosi di varia estrazione e indirizzo, da Ruggero Bonghi a Étienne Gilson, mentre si
facevano strada nella cronaca nuovi veri
o supposti casi di stimmatizzazione. La
complessa, intricata questione è stata ora
studiata e analizzata con sterminata pazienza e con vigile intelligenza analitica
in un’opera imponente da Liviana Bortolussi, teologa e giurista impegnata nella
Fraternità francescana
di Betania.
Il lavoro è distinto in due parti che
seguono una scansione
cronologica: la prima intitolata «L’ottica storicocritica dal 1882 al 1910»,
la seconda – forse più
interessante, di certo più
divertente – «Le stigmate tra scienza e fede: il
contesto polemico del
dibattito». Emerge, tra
l’altro, come i credenti siano sovente
molto meno creduli di quanto non sembrino; i razionalisti siano spesso molto
meno razionali e soprattutto meno ragionevoli di quanto non si dica; e infine gli
scienziati non di rado siano meno scientifici di quanto non vogliano far credere.(Avvenire)
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