cronaca

Il magistrato e il narcotrafficante: 'Da bambini giocavamo assieme'

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

«Lui era un ragazzo dolcissimo», dice Nicola Gratteri. Come nel film Sliding doors, dalle porte che girano nella vita, si intrecciano storie opposte e così uguali, guardie e ladri, destini perduti nelle misteriose salite dell’esistenza.

L’altro giorno se l’è trovato davanti, nel carcere di Miami, per interrogarlo. Ogni rito ha sempre qualcosa di assurdo, e Gratteri l’avrà pensato mentre leggeva il luogo, la data, il nome dell’imputato: Luigi Barbaro, nato a Gerace, provincia di Reggio Calabria. Le parole erano inutili. «Non ci siamo detti niente. Non c’era bisogno». Erano cresciuti insieme, «giocavamo a pallone, ci si vedeva tutti i giorni e lui stava a 700 metri da casa mia».

Da una parte il grande magistrato della lotta antimafia e dall’altra il grande corriere della droga, appena fermato su un veliero con 700 chili di cocaina da trasportare in America. Quel ragazzo dolcissimo, ricorda adesso Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Dda, «non avrei mai potuto pensare che sarebbe diventato quel che è oggi. Niente lo lasciava capire. E’ che a volte il nostro destino lo fa il luogo». Il luogo e il tempo. Perché sempre, fra le porte girevoli, è la scansione del tempo che decide in un senso o in un altro, dentro a questa storia, e come in un film, il grande boss che comandava Luigi Barbaro è stato arrestato solo l’altro giorno a Medellín, Colombia, vita da nababbo, un mucchio di soldi in tasca, chili di cocaina da spedire in Europa e negli States.

Ma i carabinieri del Ros l’avevano trovato un anno e mezzo fa, Domenico Trimboli, 59 anni, pezzo grosso della ’ndrangheta fra i cento ricercati più famosi d’Italia, e per tutto questo tempo avevano dovuto aspettare di prenderlo perché dalla Calabria non era ancora stata perfezionata la richiesta di rinvio a giudizio. L’importante era non perderlo mai di vista. Forse è così che nelle maglie dell’indagine è finito Luigi Barbaro. Il ragazzo generoso, che lottava su ogni pallone cercando di non far male all’avversario, il compagno di giochi dallo sguardo quasi timido che ricordava Nicola Gratteri, s’era già lasciato indietro quelle partite e le rupi di arenaria e gli archi a volta, e le case scavate nella roccia di Gerace, i libri e la scuola, tutto un pezzo della sua vita.

In quel borgo di duemila anime, affacciato su un territorio dal chiaro marchio mafioso come quello della Locride, wikipedia riunisce i nomi che danno lustro a quell’origine, e assieme a Nicola Gratteri, magistrato, c’è la giornalista Anna Larosa e persino Leon Panetta, ministro della Difesa di Obama. Non ci può stare Luigi Barbaro. Ma dentro a un libro sì, ed è questa la cosa incredibile, perché quasi come a un tributo a quella memoria, il corriere della cocaina Luigi Barbaro era finito dentro a un capitolo di un volume scritto proprio da Gratteri assieme ad Antonio Nicaso, pure lui calabrese, di Caulonia, provincia di Reggio, un altro figlio di queste sliding doors, laureato a Messina grazie alla pensione di reversibilità della mamma, costretto a emigrare in Canada senza una lira, cominciando da correttore di bozze in un giornale per italiani, prima di diventare un rinomato docente di storia delle organizzazioni criminali al Middlebury College nel Vermont. Quel libro, «La Malapianta», Mondadori, un successo editoriale da 140 mila copie vendute, aveva dedicato il capitolo numero 10 anche a quel compagno di giochi dell’infanzia: «Le radici».

Il bandito e il giudice, lo storico e il boss, dentro a questa storia di porte girevoli sono legati insieme dal tempo e dal luogo, che forse alla fine sono davvero le tracce più importanti della vita. Niente esiste senza tempo e senza luogo. Il tempo aveva costruito la fuga del boss, Domenico Trimboli, detto Pasquale, arrestato dai carabinieri l’11 gennaio 2008 in un bunker nelle campagne di Platì con il fratello Saverio. Aveva accumulato condanne di 12 anni, per reati legati al traffico di droga, prima di rendersi di nuovo latitante mentre era in libertà provvisoria. Lo cercavano in Piemonte, dove si era trasferita la sua famiglia, ad Alessandria. Lo hanno trovato in Colombia. Lentezze burocratiche e rigidità burocratiche ne hanno rallentato l’arresto. In compenso, il giudice e i carabinieri hanno avuto il tempo di studiarlo bene: viveva con grandi mezzi godendo di molto rispetto. «Si muoveva come se fosse a casa sua».

A tutti gli effetti, era il referente dei cartelli colombiani per conto della ’ndrangheta. Ma anche, forse, qualcosa di più. Nella stessa indagine, è finito impigliato Luigi Barbaro. C’è voluto il tempo giusto. Il luogo, invece, era un altro. L’ha visto quando Gratteri ha aperto la porta del carcere di Miami. Il suo luogo veniva da lontano. E aveva fatto il loro destino.(La Stampa)

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