Le visite dei pontefici
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Al l 'udienza generale di mercoledì 28 dicembre 1966, Paolo VI tenne una catechesi sull'origine della
rappresentazione della Natività e sul suo significato per i credenti. Ne riportiamo di seguito il testo, ora
ripubblicato nell'antologia curata da monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa
Pontificia, dal titolo Il Natale di Paolo VI (Monopoli, Edizioni Viverein, 2012, pp. 48), che raccoglie alcuni scritti
natalizi di Papa Montini: gli autografi delle catechesi per le udienze generali del 21 e del 28 dicembre 1966,
oltre a quelli dei sedici biglietti di auguri per il Natale dal 1963 fino alla sua morte (l'ultimo, preparato a luglio
del 1978, non fu mai pubblicato), e tredici preghiere tratte da discorsi dedicati al mistero dell'incarnazione,
pronunciati tra il 1963 e il 1977. Il primo biografo di san Francesco d'Assisi, fra Tommaso da Celano, in
Abruzzo, narra, al capitolo XXX della prima vita da lui scritta del santo (1228), per ordine di Papa Gregorio IX
, l'origine del presepio, cioè della rappresentazione scenica della nascita di nostro Signore Gesù Cristo,
secondo il Vangelo di san Luca, con l'aggiunta convenzionale del bue e dell'asinello ( Isaia , 1, 3, vi ha dato
occasione, e sant'Ambrogio, con altri, la ricorda nella sua Expositio Evang. Luc. 2, 42; PL 15, 1568). Scrive
fra Tommaso che il supremo proposito di san Francesco era quello di osservare in tutto e sempre il santo
Vangelo.
«Specialmente, egli scrive, l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione gli erano presenti alla
memoria, così che raramente voleva pensare ad altro.
Va ricordato a questo proposito e celebrato con
riverenza quanto egli fece, tre anni prima di morire, presso il paese che si chiama Greccio, per il giorno di
Natale del Signor nostro Gesù Cristo (cioè nel 1223). Viveva da quelle parti un certo Giovanni, di buona fama
e di vita anche migliore, che il beato Francesco amava particolarmente, poiché, essendo quegli nobile e assai
stimato trascurava la nobiltà del sangue e ambiva solo la nobiltà dello spirito. Il beato Francesco, come
faceva spesso, circa quindici giorni prima del Natale lo fece chiamare e gli disse: Se hai piacere che
celebriamo a Greccio questa festa del Signore, precedimi e prepara quanto ti dico.
Voglio infatti celebrare la
memoria di quel Bambino, che nacque a Betlem, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in
cui si trovava per la mancanza di quanto occorre ad un neonato; come fu adagiato in una greppia e come
giaceva sul fieno, vicino al bue e all'asinello.
Ciò udito, quell'uomo buono e pio se ne andò in fretta e preparò
nel luogo indicato tutto ciò che il Santo aveva detto» ( Vita prima , c. 30, Analecta Franciscana , X , p. 63).
Questa è l'origine del nostro presepio. Ed ora che questa popolare rappresentazione della storia evangelica è
nella mente di tutti, viene spontaneo riflettere come il Signore volle farsi conoscere e come il primo dovere
che noi uomini abbiamo verso questo misterioso Fratello venuto in mezzo a noi è di conoscerlo. La prima
conoscenza è quella sensibile, quella che san Francesco volle concedere a sé e agli altri con la
composizione del presepio, quella di contemplare in qualche modo con gli occhi del corpo, « utcumque
corporis oculis pervidere ». Ed è una forma naturalissima di conoscenza, che Cristo volle concedere a quei
fortunati, i quali poterono avvicinarlo durante la sua vita temporale, « in illo tempore », in quel tempo, come ci
istruisce la lettura evangelica della santa messa; ed è una forma desideratissima, che tutti vorremmo godere,
ed i santi più di tutti. Ricordate che cosa dicono i pastori, dopo l'annuncio dell'angelo: «Andiamo a vedere»? (
Luc . 2, 15) e il desiderio dei Gentili, presenti all'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme: «Vogliamo
vedere Gesù»? ( Io . 12, 21). E la testimonianza degli Apostoli: «...quello che abbiamo veduto con gli occhi
nostri, quello che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato...»? ( 1 Io . 1, 1). Era il desiderio
dell'apostolo Tommaso: «Se non vedo..., se non tocco..., io non credo» ( Io . 20, 25).
Ma questa conoscenza
sensibile ha avuto la sua funzione iniziale, parziale e passeggera per dare certezza concreta, positiva, storica
a coloro che avrebbero poi avuto la missione di predicare la testimonianza circa la realtà umana e prodigiosa
di Gesù, e di suscitare quella nuova forma di conoscenza, sulla quale è fondato tutto l'edificio religioso
stabilito da Cristo: la fede. Fu Lui ad ammonirci: «Beati coloro che avranno creduto, senza avere veduto» ( Io
. 20, 29).
«Per fede, scrive san Paolo, noi camminiamo non per visione» ( 2 Cor . 5, 7). Ma sta il fatto che la venuta di Cristo nel mondo genera per noi il problema e il dovere di conoscerlo. Come conoscerlo? Ecco la
domanda che ciascuno deve porre a se stesso: conosco io Gesù Cristo? Lo conosco davvero? Lo conosco
abbastanza? Come posso conoscerlo meglio? Nessuno è in grado di rispondere in modo soddisfacente a
questi interrogativi, non solo perché la conoscenza di Cristo pone tali problemi e nasconde tali profondità, che
solo l'ignoranza, non l'intelligenza, può dirsi paga d'una qualsiasi nozione su Cristo; ma anche perché ogni
nuovo grado di conoscenza che di Lui acquistiamo, invece di calmare il desiderio della conoscenza di Cristo,
vieppiù lo risveglia: l'esperienza degli studiosi, e ancor più quella dei santi, lo dice. Allora, figli carissimi,
bisogna che ci mettiamo alla ricerca di Gesù, cioè allo studio di quanto possiamo sapere su di Lui; ed ecco
che ritorna a noi l'immagine del presepio, cioè il ricordo del racconto evangelico. La prima conoscenza, che
dovremo avere di Cristo, è quella documentata dai Vangeli. Se non abbiamo avuto la fortuna della
conoscenza diretta e sensibile del Signore, dobbiamo cercar di avere una conoscenza storica, una memoria
sicura di Lui, dando la dovuta importanza alla forma umana, con cui il Verbo di Dio si è rivelato.
E qui, subito,
grandi discussioni, grandi difficoltà, grandi incantesimi di studi e di interpretazioni, che tentano diminuire il
valore storico dei Vangeli stessi, specialmente quelli che si riferiscono alla nascita di Gesù e alla sua infanzia.
Accenniamo appena a questa svalutazione del contenuto storico delle mirabili pagine evangeliche, affinché
sappiate difendere, con lo studio e con la fede, la consolante sicurezza che quelle pagine non sono
invenzione della fantasia popolare, ma dicono la verità. «Gli apostoli - scrive chi se ne intende, il cardinale
Bea - hanno un autentico interesse storico. Non si tratta evidentemente di un interesse storico nel senso della
storiografia greco-latina, cioè della storia ragionata e cronologicamente ordinata, che sia fine a se stessa,
bensì di un interesse agli avvenimenti passati come tali e dell'intenzione di riferire e tramandare fedelmente
fatti e detti passati. Ne è una riprova il concetto stesso di "testimone", "testimonianza", "t e s t i m o n i a re ",
che nelle sue varie forme ricorre nel Nuovo Testamento più di 150 volte» ( La storicità dei Vang. sin. , in «La
Civiltà Cattolica», 1964; II , 417-436 e 526-545). Né altrimenti l'autorità del concilio si è pronunciata: «Gli
autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce, o
anche in iscritto, alcune altre sintetizzando, altre spiegando con riguardo alla situazione delle Chiese,
conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù con sincerità e
verità» ( Dei Verbum , 19).
Rassicurati così, i fedeli devono dedicarsi innanzi tutto con devota passione alla
lettura e allo studio delle fonti scritturali, che ci parlano di Gesù. La fede dev'essere nutrita di questa sacra
dottrina. Se abbiamo bene celebrato il Natale, se ci siamo soffermati anche noi, con sapiente semplicità,
davanti al presepio, dobbiamo noi pure desiderare quella «eminente scienza di Gesù Cristo» ( Phil . 3, 8), che
San Paolo anteponeva ad ogni altra cosa. Conoscere Gesù Cristo: questa è oggi la nostra esortazione, Figli
carissimi, con la nostra Apostolica Benedizione.
(Osservatore Romano)
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