Presepe e statuine Quelle da tenere (e quelle da buttare)
Dalla lezione di San Francesco al folklore Un tempo c'era il macellaio (ora in discesa), oggi andrebbero aggiunti i nuovi poveri
Si può discutere sino a stancarsi sull'origine del presepe. Forse perché, tra le possibili raffigurazioni del
mondo cristiano, quella della Natività trovò particolare fortuna tra le gente semplice e si adattò ai gusti
popolari. Una tradizione ben fondata ricorda che San Francesco, la notte di Natale del 1223, «inventò» il
presepe così come noi lo pensiamo ponendo in una grotta un'immagine del Bambino accanto a un bue e a un
asino. Certo, questi elementi, se fossero passati al vaglio della filologia, avrebbero dei problemi, giacché i due
animali nascono soprattutto da un commento di Sant'Ambrogio al vangelo di Luca, da alcuni passi dei testi
apocrifi (pseudo Matteo, Protovangelo di Giacomo eccetera) e da versetti dell'Antico Testamento. Come
quello di Isaia: «Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone» (1,3), che nel latino della
Vulgata suonava così: «Cognovit bos possessorem suum et asinus praesepe domini sui». Non sono che
esempi, ai quali se ne possono aggiungere innumerevoli altri. Una storia infinita.
Dalla semplice rappresentazione del Poverello di Assisi l'arte e l'immaginazione trovarono continue
ispirazioni. Già nel Trecento artisti quali Duccio di Boninsegna, Simone Martini, Giotto, Giovanni Pisano, solo
per limitarci ad alcuni, riprendono, modificano e ampliano la prima iconografia. Sino ad arrivare, per
aggiungere un caso eloquente, a Benozzo Gozzoli: nella cappella del palazzo dei Medici a Firenze riprende
quella scena ormai entrata negli occhi di molti e la trasforma in un superbo corteo che esalta lo splendore
della corte dei signori della città. Certo, ogni artista era attento alle richieste del committente. Il presepe,
insomma, si trasformò anche in un pretesto politico oltre che in una riflessione di fede semplice. Dal Seicento
esce dai luoghi di raccoglimento e preghiera e comincia a diffondersi nelle case aristocratiche, sovente come
una specie di soprammobile; a volte, però, si tratta di cappelle in miniatura. Fece molto, in tal caso, l'invito
che venne diffuso durante i giorni del Concilio di Trento: si pensava che il presepe aiutasse a trasmettere
visivamente la venuta del Cristo. Il grande sviluppo delle sculture si ha nel mondo barocco. Nacque persino
una gara per possedere le più belle, come a Napoli.
Solo verso la fine dell'Ottocento questa rappresentazione giunge nelle case borghesi e in quelle popolari. La
tradizione continua ancora oggi. Tutti aggiungono, reinventano l'omaggio a Gesù. I rappresentanti dei
mestieri o anche personaggi stravaganti si uniscono agli antichi in quel corteo, senza bisogno di spiegazioni
teologiche. La stessa arte, d'altro canto, ha sempre cercato variazioni sul tema. La scena si presta a
diventare essa stessa argomento di riflessione o a dar vita a ulteriori suggestioni. Leonardo, tra i molti, mostra
esempi nell'Adorazione degli Uffizi o nelle due versioni della Vergine delle Rocce, presenti al Louvre e alla
National Gallery.
Il presepe diventa folklore. Si fa storia particolare, si adatta ai materiali diversi; i suoi personaggi si
moltiplicano. Si pensi, per fare ancora un esempio tra i mille possibili, a quello napoletano di San Giovanni in
Carbonara (1484), dove c'è la presenza dei profeti e delle sibille. Non conta la verità storica ma il bisogno di
essere presenti. Tutti, violando le leggi del tempo e della geografia, accorrono ad adorare Gesù appena nato.
E allora ecco i pupazzi, le statuine, le sagome, quel che la fantasia suggerisce: dai capolavori seisettecenteschi
si giunge al piccolo presepe postmoderno, sovente realizzato con mezzi di fortuna. Tutti hanno
bisogno di dar vita a una rappresentazione della Natività. Non ci sono limiti, barriere, vincoli da rispettare.
Il presepe, in altri termini, è l'immagine di chi lo realizza. Riflette l'epoca, il bisogno, le piccole necessità.
I
personaggi possono anche essere attualizzati sino al politico del momento o all'intrattenitore televisivo. In
questi giorni qualcuno vorrebbe aggiungere Verdi e Wagner: in termini diversi anch'essi hanno pensato a
Gesù. Se un tempo c'era il macellaio, perché almeno a Natale si mangiava la carne, oggi non dovrebbe mancare chi impone le tasse. A Natale non si pagano ma si ricordano. E perché non metterci i nuovi poveri?
Non sono forse tra i più bisognosi? Siamo in un ritrovo di simboli e ognuno di essi è in quel corteo per una
ragione profonda o per un semplice capriccio. La presenza del Bambino avvicina a tutti i convenuti e alle
rispettive ragioni. Siamo noi che ci travestiamo nel presepe da personaggi improbabili per omaggiare colui
che è «sceso dalle stelle».(Corriere della Sera)
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