Evento/E la Camera va a 'lezione' da San Francesco i Messaggi - FOTO E VIDEO
Guardare a San Francesco per imparare a dialogare e rispettarsi nella ricerca del bene comune:
pensiero accettato e praticato tra religiosi e credenti che ieri è stato il filo conduttore di una riflessione fatta
alla Camera, nella Sala della Lupa, dal presidente di Montecitorio Gianfranco Fini insieme a monsignor Mario
Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dal Pdl Maurizio Lupi e dal Pd Dario Franceschini,
con il direttore generale della Rai Lorenza Lei e padre Giuseppe Piemontese, Custode del Sacro Convento di
Assisi. «Non c'è dubbio che in Italia, più che altrove - ha detto Fini -, s'avverte il bisogno di ritrovare il senso
della coesione e del dialogo. E c'è purtroppo da aggiungere che la politica non sempre ha saputo o voluto
sanare le tante tensioni che si sono manifestate in questi anni nel Paese». Eppure - con le parole di
monsignor Toso - la pace va concepita come bene comune fondamentale e prioritario: tutti noi «dobbiamo
sentirci «pellegrini della verità partecipando ad un discorso comune», restando disposti «a una perenne
conversione intellettuale e morale» e respingendo «concezioni egemoniche, perché «occorre sentirsi parte di
un tutto che trascende ognuno e in cui l'essere e il sapere altrui sono un dono per me».
Poi Lupi ha ricordato
come San Francesco abbia fondato la sua missione sulla «certezza e non sull'incertezza» della propria
identità e dell'amore per Dio, perciò «le parole identità, valori e certezza» devono essere riferimenti necessari
per l'agire politico e per il dialogo. Se oggi si devono sintetizzare i valori francescani in politica, secondo
Franceschini occorre guardare alla «coerenza cristiana e alla gratuità» che caratterizzarono tutta la vita del
santo di Assisi: occorre «riconoscere le diversità», il «pluralismo culturale» e «sapere spiegare le regioni»
delle proprie posizioni. Infine per Lorenza Lei si deve tenere presente la «cultura della comprensione» e la
«radicalità del messaggio» di san Francesco, traendo l'insegnamento di evitare «la confusione» che troppo
spesso segna la comunicazione, specie quella televisiva che «fa spettacolo di tutto».(Avvenire)
Gianfranco Fini
Autorità, signore, signori!
Sono particolarmente lieto di inaugurare questo convegno dedicato al grande incontro interreligioso di Assisi del prossimo 27 ottobre, incontro che è stato promosso da Sua Santità Benedetto XVI sul tema "Pellegrini della verità, pellegrini della pace".
Saluto e ringrazio gli illustri relatori: Maurizio Lupi, Vicepresidente della Camera, Dario Franceschini, Presidente del Gruppo del Pd alla Camera, Lorenza Lei, Direttore Generale della Rai, Sua Eccellenza Monsignor Mario Toso, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Monsignor Lorenzo Leuzzi, Cappellano della Camera, Padre Giuseppe Piemontese, Custode del Sacro Convento di Assisi.
Il prossimo 27 ottobre ad Assisi il Pontifice intende solennizzare il 25° anniversario dello storico incontro tra i leader religiosi del mondo svoltosi, sempre nella città di San Francesco, per volontà di Giovanni Paolo II. L'incontro del 1986 fu uno dei grandi eventi del Pontificato di Papa Wojtyla e colpì profondamente l'opinione pubblica mondiale fornendo un nuovo, cruciale incitamento al dialogo interreligioso e alla cultura della pace.
Le parole pronunciate in quell'occasione da Giovanni Paolo II risuonano anche oggi in tutta la loro potenza evocatrice. "La pace -disse Papa Wojtyla - attende i suoi artefici (…). La pace è un cantiere, aperto a tutti e non soltanto agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale".
E' superfluo rilevare che tutte le forze impegnate a favorire il dialogo tra popoli, Paesi e culture si possono e devono ritrovare in questo umanesimo della speranza e dell'amicizia. L'aspirazione alla pace appartiene all'uomo in quanto tale ed è in grado di superare tutte le differenze culturali e di fede, accomunando con la medesima intensità chi professa credi religiosi diversi o non professa alcun credo religioso.
E credo sia di grande significato morale e ideale la presenza quest'anno ad Assisi, accanto a Benedetto XVI e ai rappresentanti delle religioni del mondo, di alcune personalità della cultura e della scienza non appartenenti ad alcuna confessione religiosa che tenderanno a rappresentare idealmente la prospettiva dei non credenti. E' una novità che deve essere accolta con grande interesse perché in grado di offrire un importante momento di dialogo e di confronto, simboleggiando in modo nobile, e spiritualmente elevato, la comune aspirazione a un mondo affrancato dal pregiudizio nonché rispettoso dei valori dell'uomo.
Molto c'è purtroppo ancora da fare per giungere alla fraterna convivenza tra uomini e culture in tutte le aree della Terra. Cadute le ideologie e le barriere politiche della guerra fredda, le odierne spinte all'intolleranza e alla violenza tendono ad assumere sempre più spesso le forme del pregiudizio etnico-culturale, del fanatismo nazionalista, dell'estremismo integralista. Da tempo assistiamo sgomenti alla recrudescenza delle violenze contro le comunità cristiane in diversi Paesi funestati dall'odio religioso, e parallelamente osserviamo con preoccupazione la diffusione di pregiudizi e sentimenti di antisemitismo e islamofobia in Europa.
Sempre più forte e diffuso è inoltre il timore che le paure prodotte dalle difficili sfide dell'età globale possano produrre una degenerazione del concetto di identità collettiva, offrendo così un terreno fertile alla diffusione di mitologie e teorie che, in vario modo e in diverse parti del mondo, vagheggiano il ritorno a società chiuse, egoiste, immobili.
Mai come oggi c'è dunque bisogno di affermare i valori del dialogo e della dignità della persona come antidoto all'intolleranza e come condizione necessaria per disattivare le tensioni che attraversano la società contemporanea.
E' mia convinzione che per giungere ad una sempre più forte affermazione della cultura della pace occorra una convergenza di sforzi da parte delle confessioni religiose, delle Istituzioni laiche, delle forze sane della società civile. Un importante riferimento, sia per i laici sia per i cattolici, è contenuto ad esempio nell'esortazione venuta da Benedetto XVI durante il discorso ai rappresentanti del mondo musulmano tenuto il 25 settembre del 2006:. "Il dialogo interreligioso e interculturale - disse il Pontefice - costituisce una necessità per costruire insieme il mondo di pace e di fraternità ardentemente auspicato da tutti gli uomini di buona volontà".
E non c'è dubbio che la diffusione, in questi venticinque anni, dello "spirito di Assisi" abbia fornito un importante contributo a un grande processo di maturazione culturale e civile.
Desidero infine ricordare che il Parlamento italiano, con la Legge 10 febbraio 2005, ha riconosciuto il 4 ottobre come solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse, in onore dei Patroni speciali d'Italia San Francesco d'Assisi e Santa Caterina da Siena.
Questa Legge, nel suo promuovere il dialogo tra culture e religioni diverse, offre inoltre un esempio di quella "laicità positiva" cui si fa spesso riferimento nel dibattito italiano: una laicità che riconosce e apprezza la dimensione civile e sociale del fenomeno religioso e che, rifiutando l'uso dogmatico della ragione, sa assecondare la naturale attitudine di questa a interrogarsi.
L'intento delle Camere non è stato quindi soltanto quello di ripristinare una ricorrenza della tradizione italiana ma di riproporla in termini nuovi, quale vera e propria giornata della riconciliazione e del proficuo confronto interculturale. E ciò nella consapevolezza che la figura di Francesco d'Assisi rimane uno dei modelli e dei simboli più alti di quella aspirazione alla pace che attraversa la storia dell'umanità raggiungendo, con il suo intenso messaggio di fratellanza, il cuore dell'uomo contemporaneo.
L'esortazione alla concordia che viene dall'insegnamento del Patrono d'Italia ha infatti un sublime valore universale, in grado di essere inteso e accolto in ogni angolo della Terra.
Ma da esso possiamo anche trarre un significato più specificamente riferito al nostro Paese, di cui troviamo esplicito richiamo nel titolo dell'odierno convegno, laddove si fa riferimento alla società italiana e alla sfida del dialogo nello spirito del Santo di Assisi.
Tutte le società moderne - e quelle europee in particolare- hanno certamente bisogno di rafforzare la collaborazione sociale e di accogliere la multiculturalità come una risorsa, superando l'individualismo esasperato e il pregiudizio etnico-religioso.
Ma non c'è dubbio che in Italia, più che altrove, s'avverte il bisogno di ritrovare il senso della coesione e del dialogo. Da tempo la nostra società risulta troppo frequentemente attraversata da sentimenti di sfiducia, di egoismo e rancore, un fenomeno che si presenta sotto i profili più diversi: da quello sociale a quello geografico, a quello dell'accoglienza degli immigrati. E c'è purtroppo da aggiungere che la politica non sempre ha saputo o voluto sanare le tante tensioni che si sono manifestate in questi anni nel Paese.
Queste pulsioni all'inimicizia non hanno però minimamente intaccato le enormi risorse di civiltà, umanità, solidarietà presenti nel nostro popolo. Ed è proprio la consapevolezza di questa ingente ricchezza morale che deve fornire un ulteriore incitamento a tutte le forze, sia laiche sia religiose, che operano per la ricomposizione civile dell'Italia, nella coscienza che la valorizzazione del pluralismo culturale non vuol dire relativismo ma invito al dialogo e al riconoscimento di comuni obiettivi di civiltà.
Anche per questo sono certo che l'incontro interreligioso del prossimo 27 ottobre saprà rinnovare una grande speranza di pace e di riconciliazione, una speranza per tutti i popoli e per noi italiani, che da sempre riconosciamo in Assisi uno dei grandi luoghi simbolo dell'umanesimo dell'amicizia.
P. Giuseppe Piemontese
Onorevole Presidente Fini, onorevoli Deputati, Eccellenze Rev.me, frati e amici, a tutti voi porgo un deferente saluto con le parole di Francesco d'Assisi: il Signore vi dia la Pace!
Rivolgo un vivo ringraziamento al Presidente Fini per l'invito alla manifestazione, che si svolge in questo luogo, “Tempio delle Istituzioni”, in occasione della ricorrenza della festa di S. Francesco d'Assisi, Patrono d'Italia. Il Parlamento italiano ha dichiarato il 4 ottobre “giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse”. E' con questo spirito che intendiamo partecipare all'incontro odierno.
Vari sono i temi con cui siamo chiamati a confrontarci nel corso di questo incontro, programmato ad un mese esatto dal pellegrinaggio, che Sua Santità Benedetto XVI insieme ai capi delle Religioni mondiali, compirà ad Assisi. Quello del prossimo 27 ottobre sarà un Pellegrinaggio all'insegna dei valori della verità, della pace, del dialogo, della fraternità, nello spirito del Patrono d'Italia.
La prima domanda che sorge spontanea è quali opportunità di successo può avere oggi nella società la sfida del dialogo? Non riscontriamo una risposta univoca a tale domanda perché vi è chi è convinto che il dialogo non sia uno strumento efficace per costruire la società, e soprattutto quella sognata dagli italiani. Personalmente sono convinto che sia nell'ambito individuale, che sociale e civile, o culturale, politico e religioso non vi sia altra strada che porti alla convivenza pacifica e duratura al di fuori del dialogo. Ogni altra opzione, come nel passato anche ai nostri giorni, è destinata a fallire, a gettare la società nel caos, in un conflitto senza fine e nell'ansia permanente. Non è l'egemonia della maggioranza di qualunque natura, sia essa etnica, sociale, politica, culturale o religiosa, ad avere successo: a lungo andare essa genera insurrezioni e reazioni anche violente e ne riproduce le dinamiche a parti invertite. Per conquistare la pacifica convivenza, non è neppure efficace l'arroccamento in recinti protetti o territori definiti da confini apparentemente invalicabili perché l'istinto di conservazione, l'anelito degli uomini alla libertà, la “provocazione” esterna e l'assalto cibernetico hanno facile ingresso nel mondo globalizzato, soprattutto attraverso la comunicazione e distruggono, senza esitazione, ogni roccaforte sia essa reale che virtuale. La guerra, come ben sappiamo, impone la propria visione del mondo, la supremazia e le proprie ragioni con la forza. Le nostre storie personali e familiari, ed anche quelle sociali, politiche e religiose ci insegnano che tale mezzo riproduce solo altri odi, è destinato a ripetersi all'infinito e a invertire con facilità, i torti e le ragioni. La strada maestra, l'unica percorribile per una pacifica convivenza e benessere civile e che porta alla convivialità delle differenze è dunque il dialogo sincero e tenace.
Di quale dialogo parliamo
“Dialogo (dal greco “dià-lòogos” = attraverso il discorso, il ragionamento) indica il processo attraverso cui vari interlocutori tendono a conseguire una qualche conoscenza, una qualche verità” (cfr R. Di Ceglie, Recuperare l'identità europea come cultura del dialogo. Verità. Filosofia, scienze, cristianesimo. Firenze 2006). In senso strettamente antropologico, dialogo significa comunicazione reciproca per raggiungere una verità, una conoscenza condivisa, un fine comune o una comunione interpersonale. Tale comunicazione interpersonale può riguardare aspetti immediati dei dialoganti, società più ampie, culture differenti. Il Papa Giovanni Paolo II, in occasione della giornata mondiale della pace del 2001, ha invitato a riflettere sul dialogo tra le differenti culture e tradizioni dei popoli, un tema decisivo per le prospettive della pace, fatto proprio anche dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, che dichiarò il 2001 «Anno internazionale del dialogo fra le civiltà ». In ambito cattolico, il dialogo può essere considerato un atteggiamento di rispetto e amicizia, che permea o dovrebbe permeare tutte quelle attività della Chiesa che costituiscono la sua missione evangelizzatrice, ciò può essere appropriatamente definito “lo spirito del dialogo”. Infine, nel contesto del pluralismo religioso, dialogo significa “ogni tipo di relazione interreligiosa positiva e costruttiva con individui e comunità appartenenti ad altre fedi, che sia mirato alla mutua comprensione e al mutuo arricchimento”, nel pieno rispetto della verità e della libertà. Esso comprende sia la testimonianza, sia l'esplorazione delle rispettive convinzioni religiose. (cfr “Il dialogo e l'annuncio, riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso”, Roma 19 maggio 1991). Tuttavia qualunque dialogo ha due presupposti essenziali: esclude l'indifferentismo culturale o religioso e richiede che gli interlocutori siano intimamente disposti all'ascolto.
Lo stile dialogico di Francesco d'Assisi Una grande lezione viene dalla vita di Francesco d'Assisi trascorsa all'insegna del dialogo nell'accezione più profonda del termine. Egli ne fece la sua filosofia, la sua visione dell'uomo nel mondo e nella storia. Con il dialogo si adoperò perché ogni uomo, considerato “fratello”, potesse raggiungere la verità sul mondo, la gioia di vivere, la pace e la comunione con ogni essere creato. Origine di tale convincimento fu la partecipazione alla guerra contro Perugia (1202) e l'esperienza tragica della violenza, del sangue, della prigionia e della malattia, che ne seguì. E' lì la radice della sua convinzione che altri erano e sono i metodi per una pacifica convivenza. Francesco era mosso dalla consapevolezza che l'uomo è al centro di un intreccio di relazioni con realtà, relazioni che vanno curate, coltivate e promosse attraverso il dialogo amichevole e cortese per giungere alla libertà totale, alla verità e alla “perfetta letizia”. Prima esperienza di dialogo di Francesco fu quella drammatica, ma liberante, vissuta col padre Pietro di Bernardone, al quale riconsegnò non solo il diritto all'eredità, rinunciandovi, ma tutto ciò che gli apparteneva, perfino gli abiti indossati. La drammaticità di tale dialogo risalta nell'affresco giottesco della Basilica superiore di Assisi in cui è visibile la mansueta disponibilità e remissione di Francesco e la violenza del padre, ritratto nell'atto di sferrare un pugno al figlio, ma che è frenato da una mano amica. Un dialogo amaro, che lasciò entrambi i cuori sanguinanti, ma che diventò l'overture di un'avventura che avrebbe cambiato il modo di rapportarsi tra uomini e cittadini e che porterà fino ad oggi una schiera di uomini e donne a seguire le strade della semplicità, della povertà, del rapporto fraterno con ogni creatura per costruire la pace personale, sociale e religiosa. Francesco d'Assisi andava a tentoni, poiché nessuno gli indicava la misteriosa strada , che Dio andava disegnando per lui e rispondente alle aspirazioni del suo cuore. Nell'incontro e nel servizio caritatevole e amorevole ai segregati lebbrosi, i diversi, che potevano aggirarsi solo nei boschi, ai margini delle città e della società, scoprì e riconobbe la sua vocazione, che sarà quella di vivere secondo il Vangelo, lo spirito delle beatitudini: beati i poveri in spirito, beati i miti, beati i misericordiosi, beati i pacifici… Nel volto dei lebbrosi, dei poveri e di ogni uomo scorge il volto di Gesù Cristo, il suo maestro e modello, e con loro dialoga e a loro si rapporta come a fratelli.
Il desiderio del dialogo con l'uomo di qualunque condizione lo spinse a dare vita a quella nuova agorà, già luogo classico del dialogo sociale, che è la fraternità, forma di vita cui fanno riferimento i suoi frati, le suore, i cittadini laici che costituiranno il nucleo delle società pacificate.
“I frati quando vanno per il mondo, non litighino, ed evitino le dispute di parole, né giudichino gli altri; ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente con tutti, così come conviene. In qualunque casa entreranno prima dicano: Pace a questa casa. E secondo il santo Vangelo potranno mangiare di tutti i cibi che saranno loro presentati” (FF 85).
Essi perciò, sono chiamati a rapportarsi pacificamente con tutti: dotti, semplici e ignoranti, giusti e peccatori. I laici francescani sono inviati nella società col preciso compito di mostrarsi fratelli e sorelle di tutti, di seminare la pace e il bene nel mondo, con la proibizione di portare le armi, ma forti della convinzione dell'efficacia del dialogo della bontà, della cultura. (mi piace ricordare che anche Dante Alighieri era terziario francescano). Fieri della propria identità di cristiani, da testimoniare senza paura, i francescani, frati e laici, hanno la consegna di mostrarsi sottomessi a tutti e trovandosi in terre lontane, quali missionari, devono prediligere l'esemplarità della concordia fraterna e della convivenza pacifica. “I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L'altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non rinascerà per acqua e Spirito Santo non potrà entrare nel regno di Dio” (FF 43 Regola non bollata – XVI).
Significativo e raro esempio di dialogo con uomini di altre religioni è l'incontro con il sultano Melek El Kamel, a Damietta in Egitto (1219). Francesco si unisce alla crociata per recarsi a Gerusalemme. Sconsiglia lo scontro delle armi, ben conoscendone le conseguenze. Riesce ad incontrare il sultano, che dopo averlo ricevuto con rispetto, lo ascolta con ammirazione, dialogando con lui e rimandandolo incolume e con doni. Anche questo incontro è stato immortalato da Giotto tra le storie francescane, affrescate nella basilica superiore di Assisi. In esso si ammira la sfida dell'ordalìa proposta da Francesco al sultano e ai suoi ministri. La riuscita dell'incontro e la benevolenza, suscitata in quella occasione, è testimoniata dal corno d'avorio e d'argento, donato a Francesco dal Sultano, dono ancora oggi custodito nella Basilica di S. Francesco Questo incontro, ormai famoso ed esemplare per un vero dialogo tra le culture è stato richiamato anche dal Papa nell'udienza del 27 gennaio 2010. “In un'epoca in cui era in atto uno scontro tra il Cristianesimo e l'Islam – ha detto Benedetto XVI – Francesco, armato volutamente solo della sua fede e della mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo. Le cronache ci parlano di un'accoglienza benevola e cordiale ricevuta dal sultano musulmano. E' un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione”.
Dialogo con il Creato
Lo stile dialogico di Francesco non si limita alla sfera degli uomini, esso si estende a tutto il mondo circostante, al creato. L'atteggiamento di semplicità, di benevolenza e di sintonia per tutto ciò che è sulla terra, lo porta a parlare, dialogare anche con gli animali (la predica agli uccelli, l'incontro col lupo) stabilendo e prolungando quella empatia con tutte le creature che è nostalgia e speranza di tutta l'umanità. “In ogni opera loda l'Artefice; tutto ciò che trova nelle creature lo riferisce al Creatore. Nelle cose belle riconosce la Bellezza Somma, e da tutto ciò che per lui è buono sale un grido: «Chi ci ha creati è infinitamente buono». Abbraccia tutti gli esseri creati con un amore e una devozione quale non si è mai udita, parlando loro del Signore ed esortandoli alla sua lode”. FF. 750). L'affresco giottesco, che ritrae la predica agli uccelli, si può ammirare nella basilica superiore di Assisi Quale è la radice e l'origine delle scelte di Francesco d'Assisi e dei suoi successi? La concezione dialogica della vita ha origine in Francesco d'Assisi dalla convinzione che tutti gli uomini sono fratelli, creati da Dio, a sua immagine e somiglianza, accomunati dalla medesima dignità inviolabile e dallo stesso destino. Tale consapevolezza in Francesco viene rafforzata dalla fede in Gesù Cristo, che ha rivelato l'unica paternità di Dio, ed ha purificato il cuore degli uomini da ogni egoismo. In tutta la sua vita Francesco ha voluto imitare l'amore e la fraternità di Gesù Cristo e di questo ha reso partecipe ogni uomo, specie quelli poveri. Tale fraternità ha voluto allargarla ad ogni essere che è sulla terra, che è stato creato da Dio e “di Lui porta significazione”. Il cantico di frate sole o delle creature, primissima opera della lingua e della cultura italiana, illustra tale visione. Laudato sii mi Signore cum tucte le tue creature…
Il dialogo con gli uomini, senza distinzione, e con la creazione trova in Francesco espressione altissima e fondamento, nel dialogo con Dio, l'Onnipotente bon Signore. Un dialogo continuo, gioioso, poetico, che raggiunge le vette di un'altra dimensione, quella della contemplazione. Mentre Francesco dimora sul monte della Verna (Arezzo), “ Nel crudo sasso intra Tevere et Arno, da Cristo prese l'ultimo sigillo che le sue membra due anni portarno”. Così si esprime Dante. In quei giorni di intimo dialogo sponsale, mentre constatava le stimmate nel suo corpo, i segni della passione di Gesù Cristo, la risposta a tanto amore e benevolenza di Dio, compone e si esprime ne “Le lodi di Dio Altissimo”, una preghiera, scritta di suo pugno e conservata nella Basilica inferiore di Assisi. Non contiene discorsi, invocazioni o richieste per sé o per altri, né argomentazioni filosofiche o teologiche, ma solo l'espressione di quanto il suo cuore conserva e di quanto le sue labbra umane sono capaci di pronunziare nel momento più alto di elevazione in Dio: una successione di infocati e teneri attributi:
“Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende. Tu sei grande. Tu sei l'Altissimo. Tu sei il Padre santo. Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene. Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà. Tu sei pazienza. Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei la pace. Tu sei gaudio e letizia. Tu sei mitezza. Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore”. (FF. 261).
Dalla Verna Francesco riparte, per gli ultimi due anni di vita, incontro all'umanità, che vuole abbracciare colle mani e il corpo stigmatizzato, con il cuore elevato in Dio e il desiderio che il dialogo e la riconciliazione tra gli uomini ristabiliscano la concordia e la pace. E' di quest'ultimo periodo l'invito alla riconciliazione tra il Vescovo e il Podestà di Assisi, sollecitata con il Cantico delle creature. ” Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore e sostengo infirmitate e tribulazione. Beati quelli che ‘l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati”. (FF 263).
La società italiana e la sfida del dialogo, oggi Oggi, la nostra società italiana appare frammentata, divisa e contrapposta. Il dialogo si esprime in una maniera tanto flebile quanto impercettibile. Le cause sono tante, ben note a tutti e rese ancora più complicate per la presenza di persone o cittadini di altre società, culture e religioni. Purtroppo tale situazione, che si esprime, potremmo dire, in un vociare scomposto e fastidioso, non porta ad alcun progresso civile, sociale e religioso. Eppure gli italiani, nel loro patrimonio genetico, sono ricchi di risorse di mente, di tradizione, di cultura, di cuore e di accoglienza tra di loro o con l'ospite temporaneo o permanente. Il ricorso alle nostre doti, la tenacia per progetti arditi, il desiderio di una società pacifica e allegra, se incentivati possono farci ritrovare quella convivialità tanto desiderata e necessaria per una serena convivenza. Francesco d'Assisi, Patrono d'Italia ha espresso uno stile ed una linea di sicuro successo, espressione della nostra cultura e mentalità, eredità che possiamo fare nostra e tramandare alle generazioni future. I milioni di persone, turisti e pellegrini, che ogni anno vengono in Assisi e si confrontano con S. Francesco, stanno ad indicare una profonda nostalgia per i valori vissuti da Francesco e per lo stile di vita che lo rende accessibile, simpatico e tipicamente italiano. L'augurio di Francesco: Il Signore vi dia la Pace, si trasformi per ciascuno nell'auspicio: Fa' di me uno strumento della tua pace! E' comune desiderio che il pellegrinaggio di papa Benedetto. insieme alle tante Autorità religiose e i rappresentanti del mondo della cultura, nel prossimo 27 ottobre, segni la tanto invocata svolta per una società migliore con il dialogo delle verità e della pace sulle orme di Francesco, Santo italiano, Santo degli italiani.
Monsignor Mario Toso
Si intende offrire qui alcune riflessioni a partire dalla giornata di Assisi 2011, che sarà celebrata il prossimo 27 ottobre e che ha come tema «Pellegrini della verità, pellegrini della pace». Con una simile giornata, voluta da Benedetto XVI per solennizzare il 25° anniversario dello storico incontro tenutosi nel 1986, e che ha visto pellegrini nella città di san Francesco, assieme al Beato Giovanni Paolo II, i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle grandi tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, si vuole mostrare che la pace è possibile e che, più che di discussioni, di dibattiti e di negoziazioni, essa ha bisogno anzitutto dell'amicizia tra le religioni. La pace attende che i suoi artefici sappiano convergere ed incontrarsi. Non c'è solo il linguaggio verbale, bensì anche il linguaggio eloquente dell'empatia, dei gesti: come l'intrapresa di un lungo viaggio, l'accoglienza, a partire da una previa fiducia accordata. L'apertura e il disarmo degli animi vengono prima di ogni altro passo. Oltre alla dolcezza dell'ospitalità, c'è la «bellezza» corroborante della condivisione degli stessi ideali, di una responsabilità universale. La pace è, anzitutto, l'esperienza di una fraternità trascendente, dell'appartenenza alla stessa famiglia umana che cammina unita e che percepisce nel profondo del suo essere una comune origine e un comune traguardo.
Il tema scelto da Benedetto XVI intercetta pienamente l'esigenza del dialogo evocata nel titolo di questo incontro: sia perché ogni discussione pubblica se non avvenisse sulla base della ricerca sincera della verità si tramuterebbe presto in una “fiera delle falsità”, sia perché lo stesso confronto civile, sia pure tra parti avverse, sarebbe impossibile. Il dialogo pubblico c'è ed è fruttuoso se tutti coloro che vi partecipano ricercano il vero, e si impegnano a farlo mediante un atto comunitario, quale «luogo ermeneutico e pedagogico». Proprio perché ognuno è «pellegrino» della verità - è cioè sì capace di attingerla ma, nello stesso tempo, non la possiede in toto, lo eccede oltre che precederlo - è chiamato a partecipare con umiltà al dialogo sociale, riconoscendo i propri limiti, il bisogno del confronto e di essere «integrato» nella propria esperienza cognitiva, culturale e religiosa, entro l'alveo di un itinerario condiviso. Il dialogo non c'è o viene interrotto non solo quando non si comunica più e ci si «ritira sull'Aventino», bensì anche quando non si riconosce la verità o si dichiara che la propria è totalmente incommensurabile rispetto a quella altrui. Sia il rifiuto di incontrarsi e di parlarsi, sia lo scetticismo e il relativismo assolutizzati sono ostacoli radicali al dialogo pacifico tra persone, popoli, famiglie spirituali e civiltà.
Condizione imprescindibile della pace, cioè del bene comune - per i pontefici la pace si identifica, in certa maniera, col bene comune, con un retto ordine sociale - è, dunque, non il mettere tra parentesi o il prescindere dalla propria capacità cognitiva e volitiva del vero bene, come suggeriva il noto giurista di origine austriaca, Hans Kelsen, secondo cui chi dichiara di possedere la verità è nemico della democrazia - quanto, piuttosto, l'essere e il sentirsi tutti «pellegrini della verità» partecipando ad un discorso comune: coltivando un'incessante «estasi» nei confronti della verità intera, parzialmente raggiungibile, mai sondabile e fruibile esaustivamente; disposti, pertanto, ad una perenne conversione intellettuale e morale. In tale esperienza di comunione nello scibile occorre sentirsi «parte» di un «tutto» che trascende ognuno, e in cui l'essere e il sapere altrui sono un «dono per me», che sono ontologicamente, intellettualmente e moralmente limitato. È all'interno di un'esperienza comunitaria del sapere e di buone pratiche che si forgiano autonomamente le nostre conoscenze, la nostra sapienza, l'ethos di un popolo. Questo, in sintesi, il messaggio che Benedetto XVI desidera diffondere, invitando i vari capi delle religioni e gli uomini di buona volontà a convenire ad Assisi, la città di san Francesco, uomo di pace, perché umile e sincero pellegrino del Sommo Vero e del Sommo Bene: il bene comune mondiale e nazionale verso cui, nelle varie e mutevoli condizioni storiche, si è sempre mobilitati, può essere riconosciuto e costruito se ci si pone - credenti e non credenti - entro un cammino, universale e comunitario, di autotrascendimento di se stessi verso il Lógos e l'Agápe.
Questa è l'esperienza che Benedetto XVI desidera condividere, conscio che dall'intrinseco anelito di ogni persona al vero, al bene e a Dio, viene un forte impulso alla collaborazione sociale. Tale propensione deriva da quella «natura» umana o «struttura d'essere per la comunione e per il dono» che è stata seminata in ogni persona dal Creatore e che rende ogni persona un «bene per me», aspetto questo spesso ignorato sia dal pensiero politico neoliberale che dal pensiero dei neocomunitaristi, per i quali l'essenza della libertà umana si stempera in un specie di indifferenza nei confronti del vero e del bene.
Per Benedetto XVI, l'empatia e la fraternità fra gli esseri umani, mentre costituiscono un patrimonio innato di pace, vanno rese più vive e rafforzate mediante la recta ratio, una vita buona: ciò che preesiste ad ogni libertà, innervandola dal di dentro, va riconosciuto ed assunto più responsabilmente, con perseveranza. Il processo della pace, quale costruzione del bene comune, necessita della verità integrale sull'uomo e sulla storia, come di una luce che lo illumina e lo guida. La verità del bene comune - per giungere al tema del dialogo e della pace nel nostro Paese -, esige che si viva sinceramente il cammino di un'umile, appassionata e corale ricerca di ciò che è vero bene per il popolo italiano. Solo questo atteggiamento, fuori dal clamore della politica gridata o dalle “isterie delle Borse”, consentirà di cogliere il limite delle letture neoliberistiche dell'economia e della finanza.
Senza la verità sul bene comune, inteso come bene di tutti, bene relativo all'uomo globale, si continuerà a pensare ad esso con una visione parziale: l'etica della pace sarà vissuta in contrapposizione all'etica della vita; la finanza continuerà ad usurpare il primato alla politica e ad essere gestita secondo criteri utilitaristici; le politiche del risanamento non saranno raccordate adeguatamente con quelle dello sviluppo solidale e sostenibile; aumenterà il peso del debito pubblico e delle distruzioni ambientali sulle spalle delle future generazioni; i giovani disoccupati resteranno senza la possibilità di fare l'esperienza del lavoro, che consente di crescere umanamente, mediante libertà e responsabilità; le riforme strutturali tarderanno, assieme ai necessari investimenti nella ricerca e nell'innovazione.
La pace esige la verità sull'uomo e sulla politica: ecco la piattaforma di una speranza non velleitaria, ecco l'uscita di sicurezza per ogni popolo.
Se non esistesse una verità morale, certa e fondata, non si potrebbe smascherare la menzogna, non sarebbe possibile dire che l'omicidio è omicidio; non si potrebbe chiamare col loro nome i massacri di uomini e di donne, qualunque sia la loro appartenenza etica e religiosa. Chi ama davvero la pace non può essere come Pilato che dubita della verità e non la fa sua perché accettarla significherebbe compromettere il proprio status.
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