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Cultura/Non abbiamo bisogno. Ottant'anni fa l'enciclica di Pio XI

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



Un'enciclica scritta insolitamente in italiano e dal tono quanto mai duro e amaro. Un'appassionata difesa dell'Azione cattolica e, insieme, un'energica e documentata protesta per le vessazioni messe in atto dal regime fascista contro quella che il Papa considerava la “pupilla dei suoi occhi”. “Non abbiamo bisogno di annunciare a voi, venerabili fratelli, gli avvenimenti che in questi ultimi tempi hanno avuto luogo in questa nostra Sede episcopale romana e in tutta Italia”, scriveva Pio XI in data 29 giugno 1931, e spiegava: “Si riassumono in poche e tristi parole: si è tentato di colpire a morte quanto vi era e sarà sempre di più caro al nostro cuore di Padre e Pastore”. E veramente, prendendo alla lettera l'incipit dell'enciclica, non c'era bisogno: perché ormai in Italia (grazie soprattutto alle denunce fatte dai vescovi nelle singole diocesi) e nel mondo si sapeva della campagna di repressione (culminata in violenze, intimidazioni, irriverenze anche blasfeme contro le persone, perquisizioni, sequestri, vandalismi contro le sedi) attuata per disposizione del regime ai danni dell'Azione cattolica italiana, al fine dichiarato di scioglierne le diverse associazioni, da quelle universitarie e giovanili a quelle infantili, con estensione perfino ad altre aggregazioni come gli oratori e le Figlie di Maria. I rapporti tra regime e Santa Sede erano peggiorati nella primavera del 1931, a poco più di due anni dalla firma del Concordato. In aprile Mussolini, attraverso l'ambasciatore De Vecchi, aveva presentato al nunzio in Italia, mons. Borgongini Duca, una nota di protesta per la pretesa politicizzazione dell'Azione cattolica e per l'orientamento della stampa cattolica non conforme alle direttive del Governo. Il nunzio, per ordine del Papa, aveva respinto la nota. La notte del 29 maggio arrivò alle questure di tutta Italia un telegramma del capo del Governo con l'ordine di chiudere tutti i circoli della gioventù cattolica e delle federazioni universitarie cattoliche. Il provvedimento trovò esecuzione in tutte le città, con contorno spesso di soprusi e incidenti provocati ad arte dalle squadre fasciste. Nei giorni successivi il clima rimase teso; il Papa, attraverso “L'Osservatore Romano” – che intanto, unico giornale libero, ospitava le ferme dichiarazioni di condanna dei vescovi per quanto stava accadendo e i messaggi di solidarietà da tutto il mondo –, ordinò di sospendere in tutte le città d'Italia le processioni, imminente allora (4 giugno) quella del Corpus Domini. Lo stesso Pio XI in discorsi pubblici e in una riunione di cardinali avvenuta il 18 giugno, denunciò la gravità dei fatti. Nuove note di protesta furono trasmesse dal nunzio apostolico in Italia al Governo, mentre la stampa fascista insisteva nell'accusa del complotto politico ordito negli ambienti dell'Azione cattolica contro il regime. In tale atmosfera rovente arrivò il 4 luglio la notizia della pubblicazione dell'enciclica del Papa contro la dottrina totalitaria del fascismo. Nel documento, ripreso dalla stampa di tutto il mondo, Pio XI ripercorre gli avvenimenti degli ultimi trenta giorni; ricorda la protesta già da lui espressa contro la “campagna di false e ingiuste accuse” precedente allo scioglimento delle associazioni cattoliche; denuncia i metodi brutali, prima ancora che polizieschi, adottati come se si procedesse contro una “pericolosa associazione a delinquere” anziché contro giovani e fanciulli “dei migliori tra i buoni”; controbatte puntualmente, punto per punto, le “falsità e le vere calunnie” raccolte in un messaggio sbandierato all'opinione pubblica dalla propaganda fascista, sia pure senza alcuna parvenza di ufficialità, messaggio che definisce “tanto tendenzioso” quanto “contrario a verità e giustizia”. Tutta l'amarezza del Papa emerge con evidenza nel passo dell'enciclica in cui si legge: “Un'altra riflessione inevitabilmente si impone. Non si è dunque tenuto nessun conto delle ripetute assicurazioni e proteste nostre, non si è tenuto conto alcuno delle proteste ed assicurazioni vostre, venerabili fratelli Vescovi d'Italia, sulla natura e sull'attività vera e reale dell'Azione cattolica e sui diritti sacrosanti ed inviolabili delle anime e della Chiesa in essa rappresentati e impersonati”. Il Papa, e con lui la Chiesa, offrono la testimonianza della fermezza con cui vanno difesi i princìpi fondamentali della libertà. Pio XI, che pure in precedenza era stato in un certo qual modo conciliante con il fascismo e con Mussolini, ora non fa più distinzione tra le intenzioni del Capo e le violenze perpetrate in periferia dai seguaci più zelanti del partito. Denuncia il regime, lo Stato totalitario, ne denuncia l'ideologia, che “dichiaratamente si risolve in una vera e propria statolatria pagana”, dichiara illecito il giuramento di fedeltà al Duce e al partito. Il regime accusò il colpo. Le risposte della stampa fascista furono violente ma controllate. Il più moderato risultò “Il Popolo d'Italia”, diretto allora da Arnaldo Mussolini. Si voleva evitare la rottura definitiva con la Chiesa, anche perché le reazioni internazionali di solidarietà a quanto denunciato dal Papa nell'enciclica non si fecero attendere. Il Direttorio fascista del 14 luglio confermava le accuse di politicizzazione dell'Azione cattolica e parlava ancora di inaudita alleanza tra Vaticano e massoneria nella comune ostilità allo Stato fascista. Ma la situazione d'attrito era destinata ad attenuarsi in agosto, quando da parte delle questure cominciò la restituzione delle sedi e dei documenti in precedenza sequestrati ai circoli cattolici. Secondo testimoni dell'epoca anche il cardinale Pietro Gasparri, allora non più segretario di Stato, intervenne personalmente per indurre Mussolini a posizioni meno intransigenti. La composizione del dissidio avverrà il 2 settembre quando fu annunciata la convenzione con un comunicato articolato in tre punti, che ebbero poi applicazione nei nuovi statuti dell'Azione cattolica, approvati dalla Santa Sede il 30 dicembre successivo. “L'Osservatore Romano” notificò “l'avvenuto accordo che, stante la dichiarata soddisfazione dell'una e dell'altra parte, fa sperare che non si rinnoveranno le cause di dolore”.(SIR)

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